Gad Lerner. Ti rivolgo un invito: vieni con me e i miei figli al tempio

Dino Boffo. Ci sarò, contaci. Non vi lasceremo soli.

Arcidiocesi di Milano: «Accanto a voi nelle sinagoghe»

 



Un evento incancellabile del passato


Lerner
Ti rivolgo un invito: vieni con me e i miei figli al tempio    
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Caro Dino,
ti scrivo avvertendo il bisogno di comunicare con un amico, in un momento brutto, ma mi rivolgo anche al giornalista capace di riconoscere una notizia grossa, dalla quale corriamo però il rischio di non lasciarci più impressionare. La notizia è questa: ci sono molti ebrei italiani che hanno paura. Hanno paura di andare a pregare il sabato mattina in sinagoga, onorando il precetto del riposo festivo attraverso la lettura collettiva della Torah. Sarà poi il caso di portarci i bambini?

Già da qualche tempo siamo abituati a dispensare sorrisi di riconoscenza agli agenti di polizia e ai carabinieri che vigilano sulla soglia dei nostri luoghi di culto. Ci stringe il cuore vedere i nostri rabbini o i nostri anziani portavoce giungere sotto scorta armata. E adesso pure i blindati, le transenne, i panettoni di cemento…

Comprendo di scriverti nel giorno peggiore, lutto nazionale per i nostri poveri morti di Nassiriya. L'attenzione è giustamente tutta lì. Gli altri restano sullo sfondo (a proposito, qualcuno ha tenuto il conto di quanti siano i morti iracheni in quello stesso attentato?). Restano sullo sfondo anche i 24 morti e 300 feriti alle sinagoghe di Istanbul. Inevitabile.
Ma un sussulto di condivisione mi sento ugualmente di proporlo, in spirito di amicizia. E lo propongo a te perché - per la prima volta - non riesco a considerare maniacale, esagerata questa paura diffusa fra molti ebrei italiani. Il nostro Paese non è forse già stato indicato come bersaglio e attaccato dal fascismo islamico? E Istanbul - storicamente - non era forse luogo altrettanto tranquillo delle nostre città, per gli ebrei? (È vero, vi fu un terribile attentato nel 1986 nella stessa sinagoga Neve Shalom di Istanbul, ma quattro anni prima la stessa mano assassina aveva colpito il Tempio maggiore di Roma).

Lo so che già altra gente pacifica riunita in preghiera è stata assassinata nel corso di quest' anno: cristiani nelle chiese del Pakistan, musulmani nella moschea sciita irachena di Najaf. Non pretendo che gli ebrei godano di uno statuto speciale, né che vengano considerati "più vittime" degli altri per via della loro tragedia novecentesca; o per l'esiguità numerica della loro presenza, cui corrisponde una sproporzionata ostilità.
Mi accontento sommessamente di ribadire la notizia di cui sopra: sabato scorso hanno massacrato vicino a casa nostra della gente che era andata a pregare nel suo solito posto di sempre; e adesso ci sono dei nostri concittadini, né mitomani né visionari, i quali sanno benissimo che c'è l'intenzione di rinnovare questa strage - perché tutti gli ebrei vengono considerati colpevoli dell'esistenza di Israele - e dunque temono possa capitare anche qui fra noi.

Una pretesa a questo punto la accampo. Pretendo cioè che lo sentiate tutti come un problema vostro. Vostro di cristiani che avete rinnovato nel Giubileo del Duemila il legame di una comune discendenza. Vostro di cittadini cresciuti nel solco di una democrazia che ha rifiutato di considerare gli ebrei come stranieri alla nazione. Vostro di musulmani che per primi avete pagato il prezzo insanguinato del fascismo islamico.
Caro direttore, le sinagoghe sono luoghi di preghiera ma anche luoghi di dialogo comunitario e di testimonianza. Vi si celebra l'incontro fra il popolo ebraico e il Signore attraverso la lettura della Torah, ma nessuno che si presenti da amico alla porta del tempio verrebbe mai escluso. Ti rivolgo un invito, e tu se ritieni estendilo a chi credi: vieni con me e i miei figli sabato prossimo alla sinagoga milanese di via Guastalla. Un semplice gesto di condivisione per dire che chi minaccia la preghiera degli uni colpisce la civiltà di tutti. La kippà se vuoi te la forniamo all'ingresso. Ma va benissimo anche un qualsiasi altro copricapo.

Gad Lerner




Boffo
Ci sarò, contaci. Non vi lasceremo soli    
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Caro Gad,
accetto subito, e di slancio, la tua nobile proposta . L’accetto con commozione e, se devo dirlo, con stupore: perché hai indovinato un mio desiderio ancora informe, hai interpretato al meglio quel che dicevamo in un titolo di domenica scorsa: "In quelle sinagoghe c’eravamo proprio tutti". 

D’altra parte, non avrei osato - te lo confesso - azzardare un’idea del genere, temendo di importunare e non rispettare il vostro costume di sacra "separatezza". Avevo chiaramente torto. Sei tu infatti ad aprire uno di quei ponti di cui - lo ricordava il Papa sempre domenica - abbiamo bisogno in questi tempi di odio, di fuoco e di sangue. Come non accettare di percorrerlo insieme, questo ponte?

La tua idea mi piace per la sua semplicità. Nostri concittadini, di fede ebraica, esitano ad andare alla sinagoga per la non infondata paura di attentati. Tu mi chiedi di venire con te e i tuoi figli, di condividere la vostra paura e il vostro coraggio. Ci sarò, sabato, non dubitare. Fiero dell’invito che mi rivolgi, lieto di mettermi al passo con i tuoi figli, di tenerli anch’io per mano. E varcare insieme a voi la porta del tempio, lasciandomi istruire dai vostri gesti. Tu mi chiedi anche di passar parola, di dirlo ai miei colleghi, ai miei lettori, nel desiderio che questi a loro volta lo dicano ad altri. Ecco fatto. Ad un primo anello di persone la notizia è data, speriamo ora che rimbalzi di città in città, ovunque c’è una sinagoga e vi sono dei cristiani. 

Non c’è bisogno di una mega-organizzazione. Non c’è da centralizzare alcunché, il bello di questa tua idea è che si può agire capillarmente sul territorio, quasi a presidiarlo spontaneamente. Senza proclami solenni, dichiarazioni incrociate e barocchismi vari. Basta un sussurro all’orecchio, quindi mettersi in strada per tempo. Ognuno vorrà informarsi sull’orario del rito, soprattutto saprà preavvertire il rabbino locale perché non sia colto alla sprovvista, possa condividere l’iniziativa, e se crede accoglierci.

Di una cosa ti prego. Accordiamoci subito - tra noi due è facile, immagino - a non farne un evento di numeri, di adesioni, non mettiamo in moto nulla che sappia di spettacolo, o prova di forza. Lasciamolo alla spontaneità. E alla genuinità. La politica non c’entra. E neppure il farsi vedere. Dio non va comunque bestemmiato. Attiviamoci per solidarietà di italiani, che hanno il dovere civile di difendere in questo Paese la libertà di ognuno di pregare Dio. 

Come cristiani sappiamo che pregare è necessario; e come tuoi "fratelli minori" sappiamo di pregare lo stesso Padre. Quello da cui tutti dobbiamo ottenere la forza e il perdono, perché ci guarisca dall’odio e ci conceda la sicurezza nella pace.
Se questo ti dovesse apparire un po’ troppo "cattolico" e magari un po’ "pacifista", sbagli. Ho in mente il racconto di un antico rabbino, che entrando in una cittadina chiese: "Chi sono qui i difensori della città?". Gli risposero perplessi: "I soldati, gli arcieri...". E il rabbino: "Ma questi sono i distruttori della città! I difensori, sono coloro che pregano Dio e chiedono senza sosta il suo aiuto". No, nessuna fuga angelicata. Conosciamo tutti il prezzo della storia. Ma non vogliamo concederci alibi, come non possiamo accettare che divampi la paura. Ci atterrisce l’idea che un credente sia inibito nel pregare.

Per questo non è giusto, non è morale lasciarvi soli. Se qualcuno pensasse di colpirvi perché ebrei, sappia - per quel che vale - che noi siamo con voi. Che ovunque un uomo prega quello è spazio sacro, aperto direttamente al cielo, interdetto a qualsiasi brutalità. E noi intendiamo difenderlo, a garanzia di tutti.

Dino Boffo

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[Fonte: Avvenire 18 novembre 2003]


«Accanto a voi nelle sinagoghe»      torna su

La prima ragione si chiama solidarietà, amicizia. Perché condividere la paura con chi sentiamo vicini significa iniziare a vincerla. Tuttavia l'incontro di domani dev'essere anche qualcos'altro. Per i cristiani, accettare l'invito di andare in sinagoga, vuole dire riscoprire le radici della propria fede, riavvolgere il nastro della memoria fino al punto in cui si fonde con il cuore. 

È come dire «vi siamo accanto in questo momento» senza dimenticare però di aggiungere: «non potrebbe essere altrimenti». «Per la coscienza dei cristiani è inaccettabile ogni forma di razzismo - spiega don Gianfranco Bottoni responsabile per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso dell'arcidiocesi di Milano -. E questo a maggior ragione vale per l'antisemitismo». 

Il problema, come dimostrano le cronache, è tutt'altro che superato. Secondo quanto riferito dallo scrittore Abraham B.Yehoshua, dall'11 settembre 2001 ci sono stati più attacchi contro le comunità ebraiche di quanti se ne fossero contati negli ultimi 50 anni. «È un dato impressionante. Anche per questo non possiamo limitarci alla doverosa condanna, alle logiche denunce. Non basta. È necessario invece schierarsi a favore del popolo ebraico, della sua tradizione, del suo diritto a esprimere pubblicamente i propri valori, la propria cultura. Le nostre identità anche se diverse e distinte sono legate in unione profonda». 

A ricordarlo, ogni anno, il 17 gennaio viene celebrata la Giornata per l'Ebraismo. Un'iniziativa tutta italiana, nata nel 1990 per volere della Commissione ecumenica della Cei. Istituendola la Chiesa cattolica ha voluto ricordare che pur non identificandosi, cristiani ed ebrei sono intimamente legati tra loro. Concetto che il Catechismo degli adulti sottolinea definendo Israele «la radice santa dalla quale si sviluppa il cristianesimo». «Quella del 17 gennaio è un'iniziativa importantissima - commenta don Bottoni - ma ancora poco tradotta a livello popolare. Un problema che ci poniamo spesso». I segni che spingono all'ottimismo però non mancano. «Parlando di Milano, siamo stati due volte nella Sinagoga di via Guastalla, in concomitanza con la fine dello Shabbat. Nel gennaio 2004 poi, saremo presenti non solo come cattolici ma come Consiglio delle Chiese cristiane, che raduna ben 17 denominazioni». 

La battaglia contro il pregiudizio non è stata però ancora vinta. «L'antisemitismo non nasce con il cristianesimo, è per certi versi precedente. Però non c'è dubbio che vi abbia trovato presa. Specie all'inizio, quando come tanti movimenti nascenti, per svilupparsi ha scelto la via della contrapposizione polemica, soprattutto verso chi gli somigliava di più. Secoli di infondate accuse reciproche hanno fatto il resto». A riportare chiarezza c'è stata la Dichiarazione Nostra Aetate, del 1965. «Se noi paragoniamo la sensibilità dei cristiani di oggi con il periodo pre-conciliare possiamo dire che di cammino ne è stato fatto tantissimo - aggiunge don Bottoni -. 

In questo senso il Pontificato di Giovanni Paolo II è stato fondamentale». In ogni caso sarebbe sbagliato abbassare la guardia. «Nelle nostre comunità esistono ancora atteggiamenti antigiudaici. Non serve nasconderli. Bisogna invece affrontarli e combatterli con una catechesi più adeguata, perché il pregiudizio è sempre una forma di ignoranza». 

Se l'antisemitismo è un retaggio di pochi, anche la voglia di conoscere il mondo ebraico, le sue tradizioni, non sfonda a livello popolare. Gli incontri hanno quasi sempre gli stessi promotori, dal Segretariato attività ecumeniche (Sae) ai gruppi dell'Amicizia ebraico-cristiana (Aec). «Non ne sarei particolarmente preoccupato. Il cardinale Carlo Maria Martini ripete spesso che nella Chiesa le grandi trasformazioni non nascono mai da spinte di massa ma da minoranze qualificate. La sensibilità si rinnova anche attraverso pochi gesti, purché significativi. 

L'immagine del Papa che prega al Muro del Pianto ha colpito il cuore dei cristiani molto più che decine e decine di iniziative e di incontri». Nei confronti dell'ebraismo la nostra società si dimostra per certi versi schizofrenica. Mai come in questo periodo, le libreria sono ricche di volumi dedicati alla cucina ebraica, all'umorismo yiddish, all'insegnamento dei chassidhim. Eppure l'intolleranza cresce. «Credo che questo dipenda molto dal conflitto israelo-palestinese.

Non tutti hanno gli strumenti per comprendere che laggiù si combattono per così dire due cause giuste. Bisognerebbe riuscire a tenere distinto il giudizio sulle scelte politiche, che possono essere contestate, dal rispetto che invece merita un popolo, la sua cultura». 

Don Bottoni cosa si aspetta dalla giornata di domani? «Penso sia fondamentale l'atteggiamento con cui si entra in sinagoga. La cosa importante non è tanto capire tutte le parole della liturgia quanto il desiderio di pregare insieme a fratelli e sorelle che sono nell'ora della prova. La scelta di essere con loro»

Riccardo Maccioni

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[Fonte: Avvenire 21 novembre 2003]

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