È
ora di pensare a nuove ricerche sulle figure dei Giusti: prosegue il
dibattito che ha preso il via su «Avvenire». Il caso del libro di Martin
Gilbert, che ha setacciato gli eroi dell’Olocausto ma che non trova
editori in Italia. Vanno inaugurati studi comparati e costituita una rete
mondiale di esperti di tutti i genocidi
Il 28 ottobre
1974 uno studioso ebreo non ancora quarantenne, che si trova a Gerusalemme
per ricerche negli archivi dello Yad Vashem, decide di concedersi una
passeggiata verso il Monte Sion. All'improvviso, mentre attraversa un
cimitero cristiano, s'imbatte in una lenta processione funebre. Curioso,
pensa, dato che gran parte dei partecipanti gli sembrano «ebrei polacchi
sopravvissuti alla Shoah». Con discrezione ferma alcuni del corteo: «Scusate,
perché state entrando in un cimitero cristiano?». E costoro: «Siamo
ebrei polacchi e stiamo andando a rendere il nostro omaggio a un cristiano
che ci ha salvato la vita». Era il funerale di Oskar Schindler.
Uno di coloro
che ne seguiva il feretro era Moshe Bejski, ossia il creatore del «Giardino
dei Giusti», il «tribunale del bene» di Yad Vashem. Col tempo, questo
giudice israeliano incaricato di esaminare le pratiche dei «Giusti»
divenne ottimo amico dello studioso, tanto che lo incoraggiò «a scrivere
la storia dei gentili Giusti, di eroi come Schindler e dei molti
sconosciuti». Sir Martin Gilbert, quel giovane studioso divenuto poi uno
dei massimi storici della Shoah, ha narrato questa storia in un'intervista
pubblicata da www.vaticanfiles.net, in occasione dell'uscita del suo libro
dedicato ai Giusti, ovvero (come recita il sottotitolo), alla «storia non
raccontata degli eroi dell'Olocausto».
Il libro di
Gilbert (The Righteous, Black Swan 2002), frutto di lunghi anni di
lavoro, è una delle migliori ricerche organiche apparse sui «Giusti», e
il fatto che il libro abbia qualche difficoltà ad affermarsi sul mercato
italiano è eloquente. Ma la serie di articoli sui «Giusti» italiani e
la Shoah, inaugurata da Avvenire, dimostra come il tema non è
affatto dimenticato o estraneo al pensiero storiografico contemporaneo. Un
carattere di estrema novità, che crediamo di riscontrare nelle
riflessioni dello storico di Yad Vashem Dan Michman, sta nel fatto che
ormai autorevoli voci ebraiche sono giunte a scindere il vecchio
antigiudaismo cattolico, di antica matrice teologica, dall'antisemitismo,
che invece ha radici nuove che affondano nell'illuminismo, nel socialismo
e nello scientismo positivista. È molto importante, perché le
conclusioni di Michman sembrano convergere con quelle che la storiografia
cattolica da tempo ha proposto.
Un'altra
pista di ricerca suggerita da Yad Vashem è quel paradigma che
riassumeremmo con la formula «unicità-riproducibilità». Se la Shoah è
«un fatto senza precedenti ma non l'unico, perché può essere ripetuto»,
allora dobbiamo non solo concentrarci sugli altri genocidi della nostra
epoca, per indagarne le cause, ma anche sorvegliare le troppe forme di
antisemitismo strisciante in certi ambienti culturali. È auspicabile,
pertanto, che Yad Vashem inauguri una pista di ricerca comparata,
costituendo una rete mondiale di studiosi sul genocidio. Una ricerca sui
«Giusti» italiani si colloca senz'altro in tale nuovo filone e chiama
gli storici di ogni orientamento a un dialogo molto franco. È venuto «il
tempo della Storia» e ciò, avvertiva Gian Maria Vian da queste colonne,
deve significare superamento del «peccato storico dell'anacronismo».
Il pericolo
di trattare temi passati con le categorie del nostro tempo è infatti
assai insidioso. Lo sanno molti di coloro che si sono occupati dei «Giusti»
e che hanno visto il loro lavoro spesso disturbato da categorie polemiche
spicciole, che ovviamente riguardano anche la Chiesa cattolica. Molti
cattolici si trovarono a salvare ebrei, si è detto, ma non per ordine del
Papa. Poi un libro di Laurus Robuffo, dedicato al «Giusto» Giovanni
Palatucci, ha rivelato l'esistenza, fin dal 1940, di istruzioni papali
(con allegati assegni circolari), al fine di aiutare gli ebrei italiani
(tali le carte del Ministero degli Interni si trovano in appendice al
libro). Pio XII non diede nessun ordine di aiutare gli ebrei, si dice. Ma
poi il «Giusto» don Aldo Brunacci ha confermato a chi scrive, con una
chiara e ferma testimonianza videofilmata, di come lui stesso vide gli
ordini papali al vescovo di Assisi di fare tutto il possibile per
assistere gli ebrei; mentre altri documenti (anche la preziosa serie Inter
Arma Caritas) attestano la «diplomazia umanitaria» di cui fu capace
la Chiesa.
«I
correligionari massacrati dai nazisti sono stati 6 milioni, ma avrebbero
potuto essere ben più numerosi se Pio XII non fosse intervenuto
efficacemente - ebbe a scrivere il dirigente dell'organizzazione ebraica
Delasem, Raffaele Cantoni -. Le cose e la verità parlano da sé e la
storia non si cambia e l'azione della Chiesa e del papa Pio XII resterà
come quella di un Pontefice che ha fatto tutto il possibile per salvare
gli uomini». Non a caso proprio il libro di Gilbert, la cui trattazione
divide salvatori e salvati per Paesi, ha un capitolo intitolato
significativamente «L'Italia e il Vaticano».
Superare le
polemiche è difficile ma è ormai tempo di iniziare questa «ricerca sul
bene» senza pregiudizi. I «Giusti» italiani non sono che un capitolo,
ma occorre scriverlo e farlo metodicamente. Sventando però un timore: che
l'avvio di questa massiccia «ricerca sul bene» significhi trascurare, o
sminuire in qualche modo, la doverosa ricerca sul male
v. anche
Giorgio Perlasca, un eroe che
nessuno conosceva