La storia
dell'uomo che salvò 5000 ebrei dalle camere a gas. Mentre Israele,
Spagna, Ungheria e Usa lo premiavano per la sua impresa, in Italia viveva
senza pensione
La
fiction in due puntate che la Rai ha mandato in onda racconta
l’impresa di un uomo schivo che fino ad undici anni fa i libri di storia contemporanea
non raccontavano. Giorgio Perlasca, ad 82 anni, viveva con la moglie,
senza una pensione, in un appartamentino in affitto a Padova. Era un eroe,
ma chi lo sapeva?
Poi, nel 1989, un senatore scrisse al
capo dello Stato per concedere almeno un vitalizio a quell’uomo che
Israele, Stati Uniti, Spagna e Ungheria premiavano con tutti gli onori,
uomo “giusto tra i giusti”, salvatore di vite umane, cinque mila ebrei
destinati alle camere a gas. Poco dopo, uscì un libro che raccontò
l’imprese di quel fascista che a Budapest si inventò l’impossibile:
si era spacciato per il console spagnolo e aveva fatto arrivare migliaia
di documenti falsi per gli ebrei ungheresi che riuscirono a scampare alla
deportazione ad Auschwitz.
Una bella storia e un bel libro,
"La banalità del bene", ma che senza la potenza del
cinema americano, sarebbe rimasta ancora nell’ombra: quando il film
“Schindler List”, sbancò i botteghini mondiali, l’Italia riconobbe
finalmente il suo eroe che morì tre anni dopo, nel 1992.
Ignorato dalla maggior parte dei
media, Perlasca venne intervistato da Giovanni Minoli nell'aprile del
1990, che gli dedicò una puntata speciale di "Mixer" (che
trovate, divisa in quattro parti, in allegato a questo articolo,
insieme alla testimonianza di Giovanni Minoli), realizzata con la
collaborazione di Enrico Deaglio, che fece scoprire il personaggio in
Italia, tre anni prima del film di Steven Spielberg.
Anche la politica ebbe
la sua parte per diffondere il nome e la storia di quell’eroe anonimo.
Quando il segretario del Msi Gianfranco Fini a Fiuggi, diede vita ad
Alleanza Nazionale, i giornalisti correvano dal figlio di Perlasca,
iscritto al partito, per chiedere un commento e certificare l’autenticità
della svolta politica. Corsi e ricorsi della storia, quando l’anteprima
del film è stata presentata nei giorni scorsi a Montecitorio, tra i primi
posti sedeva proprio Gianfranco Fini, ora vicepremier, a due passi dal
rabbino capo della comunità ebraica italiana.
Ma come era finito a Budapest, Perlasca? Era
stato mandato al confine durante il fascismo per non aver
riconosciuto la Repubblica di Salò e nel 1944 viaggiò fino
alla sede dell'ambasciata iberica a Budapest, grazie ad un attestato di
benemerenza conquistato per essere stato combattente della Guerra di
Spagna.
Nel momento in cui il
personale spagnolo fu costretto ad abbandonare Budapest, per non aver
riconosciuto il governo d'occupazione instauratosi nella capitale
ungherese, Perlasca decise invece di restare nella sede diplomatica e si
spacciò come ambasciatore di Spagna. Lo stratagemma riuscì e in questo
modo Perlasca, sfruttando la possibilità di proteggere gli ebrei
spagnoli, riuscì a far arrivare documenti che attestavano la cittadinanza
iberica a circa 5200 ebrei che si trovavano nel ghetto di Budapest, in
attesa di essere mandati ai campi di sterminio.