In questo volume esponenti di primo piano del mondo ebraico e di quello
cattolico - da Xavier Echevarria a Elio Toaff, da Amos Luzzatto a Chiara
Lubich -, accettano di raccontarsi rispondendo alle domande dell’autore
e affrontando i temi più scottanti di ieri e di oggi: dal ruolo di Pio
XII durante la persecuzione degli ebrei fino alla figura di Giovanni Paolo
II.
Per saperne di più, ZENIT ha voluto intervistare Brunori.
Secondo le testimonianze da lei raccolte, gli ebrei e i cristiani nel
corso della storia si sono più amati che odiati. Soprattutto in quei
periodi come durante la seconda guerra mondiale in cui la persecuzione
rischiava di cancellare gli ebrei dalla faccia della terra. Cosa ci dice
al riguardo?
Brunori: Certo, nella storia non sono mancati esempi luminosi di fedeltà
all’insegnamento di Gesù anche nei confronti dei suoi "fratelli
nella carne" ma purtroppo in generale il rapporto tra ebrei e
cristiani è stato più spesso segnato dall’odio, in palese
contraddizione con il comandamento cristiano dell’amore e con la Verità
delle Sacre Scritture.
Gli uomini, anche i santi, sono peccatori, e purtroppo anche negli scritti
di persone di grande levatura spirituale noi troviamo espressioni di odio
feroce contro gli ebrei. Non si salvano, a questo riguardo, neanche alcuni
Padri della Chiesa. Ma anche prima, fu lo stesso San Paolo a cercare di
correre ai ripari quando si accorse che andava diffondendosi già nelle
prime comunità cristiane una forte antipatia verso i "fratelli
maggiori" e per questo nella lettera ai Romani riaffermava che Dio
non ha ripudiato il suo popolo, che non ha mai revocato la sua Alleanza
con Israele, diceva che i gentili sono come l’olivo selvatico innestato
nell’olivo d’Israele e ammoniva i fedeli: "non montare in
superbia ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami
naturali tanto meno risparmierà te!".
Durante la persecuzione degli ebrei certamente molte coscienze erano
addormentate, molti cristiani erano come paralizzati, certamente pesava
nelle coscienze un insegnamento del disprezzo impartito per secoli in
molte aule di catechismo. Solo il Concilio Vaticano II ha consentito ai
cattolici di cominciare a voltare pagina, rivedendo l’atteggiamento
verso gli ebrei alla luce dell’autentico spirito evangelico.
D’altra parte ci furono tanti che invece rischiarono la vita per aiutare
i perseguitati. Una denuncia pubblica ed esplicita delle persecuzioni da
parte del pontefice avrebbe mobilitato i cristiani contro il nazismo e
stretto un "cordone sanitario" a difesa degli ebrei perseguitati
e soprattutto avrebbe salvato piu’ vite umane? Difficile dirlo. Bisogna
lasciare agli storici il tempo di studiare le carte, i documenti: credo
sia prematuro dare giudizi affrettati, e quindi emettere verdetti di
condanna ma anche di assoluzione.
È certo però che, prima e più di ogni discussione storica, vale il
"peso" della vita di circa 4.000 ebrei salvati nei conventi solo
a Roma. Anche se dovessero essere stati commessi abusi o pressioni per
favorire la loro conversione questo non deve oscurare il bene che è stato
fatto. Certo, probabilmente si poteva fare di più, chi è senza peccato
scagli la prima pietra, ma nessun’altra istituzione ha fatto quello che
ha fatto il Vaticano in quel periodo.
Anche la sua lettura del rapporto tra papa Pio XII e la Shoah esula dai
luoghi comuni. Mi sembra di capire che lei abbia trovato anche
testimonianze dirette che provano l’intervento della Santa Sede in
favore degli ebrei perseguitati.
Brunori: Pio XII era in una situazione difficilissima: doveva guidare il
Vaticano isolato come una barca in un mare in tempesta, aggrappato ad una
fragile neutralità che consentisse di mantenersi al di sopra delle parti,
e di fare segretamente opere a favore dei perseguitati. Le sue prese di
posizione erano considerate troppo deboli dagli uni e troppo dure dagli
altri. Come ripeto, bisogna lasciare agli storici il compito di valutare
con attenzione le carte.
Ma mi sembra importante sottolineare quanto ha dichiarato alla
presentazione del mio libro "La Croce e la Sinagoga" padre
Innocenzo Gargano, priore del monastero di S. Gregorio al Celio, secondo
il quale i religiosi e le religiose camaldolesi di allora non erano
assolutamente in grado di capire quanto stesse accadendo [per assoluta
mancanza di informazioni ndR]. E se non fossero
giunti al portone di S. Gregorio emissari della Segreteria di Stato
Vaticana, con la mediazione di alcuni padri gesuiti de “La Civiltà
Cattolica”, a chiedere di aprire le porte ai perseguitati, i monaci e le
monache probabilmente non lo avrebbero fatto. E, aggiungo io, lo stesso è
probabilmente avvenuto in molti altri casi.
Tra le storie originali da lei scoperte, molto interessante è la
vicenda che vede il cardinale Giovanni Mercati sviluppare un dialogo ed
una collaborazione con professori ebrei nella Biblioteca Apostolica. Un
luogo che diventerà un rifugio per molti. Può illustrarci quelle
vicende?
Brunori: Merita davvero un posto a parte l’opera del cardinale Giovanni
Mercati: questo emiliano, abilissimo paleografo, erudito e ricercatore
infaticabile, Bibliotecario di Santa Romana Chiesa fino al 1957, anno
della sua morte. Un "giusto" oggi praticamente sconosciuto ai più,
e che andrebbe riscoperto.
Furono almeno una quindicina gli studiosi ebrei sostenuti dalla Santa
Sede, e che ottennero una collaborazione con la Biblioteca Vaticana sia
prima che dopo le leggi razziali del ‘38. Alcuni si rifugiarono
all’estero anche con il passaporto vaticano. I carteggi di Mercati sono
pieni di riferimenti a "raccomandazioni" ad istituzioni
universitarie in varie parti del mondo in favore di studiosi perseguitati
per motivi razziali. E di tutti questi casi Mercati tenne costantemente
informato sia Pio XI che Pio XII.
In un articolo di Paolo Vian, nella Miscellanea della Biblioteca
Apostolica Vaticana, l’unico finora e il più completo al riguardo, è
pubblicato anche il testo di un accorato appello del porporato (del 15
dicembre 1938) alle Università americane perché accogliessero e
avviassero contratti di collaborazione con gli studiosi ebrei
perseguitati.
Quali sono le considerazioni finali che scaturiscono da questo libro?
Brunori: Che il dialogo, come tutte le cose che valgono, può causare
qualche sofferenza, ma fa bene innanzitutto a noi e alla nostra fede. Se
condotto correttamente ci induce ad approfondire la nostra identità, ad
arricchirci con ciò che gli ebrei hanno intuito nel corso dei secoli e
anche oggi intuiscono studiando le Scritture. A capire che il rispetto per
la vita, per la dignità dell’uomo e della donna e il rispetto della
loro libertà, la democrazia, sono frutto della civiltà occidentale
costruita sulla base di quelle radici giudaico-cristiane di cui tanto
parlava papa Wojtyla.
Una sfida culturale ancora aperta e tutta da compiere: non è che, sepolta
la Costituzione Europea, possiamo dimenticarci delle "radici
cristiane". La vocazione permanente d’Israele insomma ci costringe
a non "sederci" sui luoghi comuni, a prendere la fede sul serio.
E a sperimentare che i disegni di Dio non sono così facili da capire.
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[Fonte: Zenit.org - 27 giugno 2005]