Fin dall'inizio del suo Pontificato, Giovanni Paolo II ha
incontrato comunità ebraiche e rappresentanti di orgnaizzazioni ebraiche
di tutto il mondo. Riportiamo le parole da
lui rivolte alla Dirigenti dell'Anti-Defamation Leage of b'nai b'rit.
Cari amici.
Sono molto lieto di
ricevervi oggi in Vaticano. Voi siete un gruppo di dirigenti della nota
associazione ebraica, fondata negli Stati Uniti, ma attiva in molte parti
del mondo, e anche in Roma, la “Anti-Defamation League of B’nai B’rith”.
Voi avete anche stretti rapporti con la Commissione per i rapporti
religiosi con l’ebraismo, fondata dieci anni fa da Paolo VI al fine di
promuovere le relazioni, al livello del nostro comune impegno di fede, tra
Chiesa cattolica e Comunità ebraica.
Il fatto stesso della
vostra visita, della quale vi sono grato, è prova dello sviluppo e
dell’approfondimento costante di tali rapporti. Infatti, se si guarda
retrospettivamente agli anni antecedenti al Concilio Vaticano II e alla
sua dichiarazione «Nostra Aetate»
e si cerca di valutare il lavoro fatto da allora, si ha la sensazione che
il Signore abbia fatto “grandi cose” per noi (cf. Lc 1, 49).
Perciò siamo chiamati ad unirci in un sincero atto di ringraziamento a
Dio. Il verso iniziale del Salmo 133 è ben appropriato: “Ecco quanto è
buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!”.
Miei cari amici, come ho
spesso detto fin dall’inizio del mio servizio pastorale come successore
di Pietro, il pescatore di Galilea (cf.(cf. Ioannis Pauli PP. II, Allocutio
ad Praesides et Legatos Consociationum Hebraicarum de dialogo inter
Christianos et Hebraeos ad universorum hominum utilitatem fovendo,
die 12 mart. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 528
ss.), l’incontro tra cattolici ed ebrei non è un incontro tra due
antiche religioni ciascuna con una propria strada e, non di rado, nel
passato, in conflitto grave e doloroso. È un incontro tra “fratelli”,
un dialogo, come ho detto ai Rappresentanti della comunità
ebraica tedesca a Magonza (17 novembre 1980), tra la prima e la
seconda parte della Bibbia”. E come le due parti della Bibbia sono
distinte ma strettamente legate, così avviene anche tra Popolo ebraico e
Chiesa cattolica.
Questa vicinanza deve
essere manifestata in molti modi. Prima di tutto, nel profondo rispetto
per l’identità l’uno dell’altro. Più ci conosciamo reciprocamente,
più impariamo a stimare e a rispettare le nostre differenze.
Ma, allora, questa è la
grande sfida che siamo chiamati ad accettare: rispetto non significa
allontanamento e non equivale neppure a indifferenza. Al contrario, il
rispetto di cui parliamo è basato sul misterioso legame spirituale (cf. Nostra
Aetate, 4) che ci avvicina in Abramo e, attraverso Abramo, in Dio che
da Israele ha fatto nascere la Chiesa.
Questo “legame
spirituale”, comunque, comporta una grande responsabilità. Vicinanza,
in un atteggiamento di rispetto, implica fiducia e franchezza ed esclude
totalmente sfiducia e sospetto. Richiede inoltre interesse fraterno per i
problemi e le difficoltà che le nostre comunità religiose devono
affrontare.
La comunità ebraica in
generale, e la vostra organizzazione in particolare, come dice il vostro
nome, sono molto preoccupate per le forme vecchie e nuove di
discriminazione e violenza contro gli ebrei e l’ebraismo, chiamate
comunemente antisemitismo. La Chiesa cattolica, anche prima del Concilio
Vaticano II (cf. S. Congregatio S. Officii, die 3 mart. 1928; Pii XI, Allocutio
ad belgicos scriptores, die 6 sept. 1938) ha condannato tale ideologia
e pratica in quanto opposte non solo alla professione cristiana, ma anche
alla dignità della persona umana creata a immagine di Dio.
Ma noi non ci incontriamo
solo per noi stessi. Certamente cerchiamo di conoscerci meglio e di capire
meglio le nostre rispettive identità e lo stretto legame spirituale
esistente tra di noi. Ma, conoscendoci, scopriamo ancor più ciò che ci
unisce in una profonda sollecitudine per tutta l’umanità: in ambiti,
per citarne solo alcuni, come quello della fame, della povertà, della
discriminazione, ovunque si trovi e contro chiunque sia diretta, e delle
necessità dei rifugiati. E, certamente, il grande compito di promuovere
la giustizia e la pace (cf. Sal 85, 4), segno dell’era messianica
sia nella tradizione ebraica che in quella cristiana, è fondato a sua
volta nella grande tradizione profetica. Questo “legame spirituale”
esistente tra di noi non può mancare di aiutarci ad affrontare la grande
sfida rivolta a tutti coloro che credono nel Dio che ha cura di ogni
popolo, da lui creato a sua immagine (cf. Gen 1, 27).
Considero tutto ciò, nello
stesso tempo, come una realtà e come una promessa del dialogo tra Chiesa
cattolica ed Ebraismo, e delle relazioni già esistenti tra la vostra
organizzazione e la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo
e con le altre istituzioni presenti in alcune Chiese locali.
Vi ringrazio ancora per la
vostra visita e per il vostro impegno per il dialogo. Rendiamo grazie al
nostro Dio, Padre di tutti noi.