Discorso del Papa Giovanni Paolo II ad Aharon Lopez
nuovo Ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede
in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali

10 aprile 1997

Il filo d'oro del dialogo tra Giovanni Paolo II e gli ebrei non si è mai spezzato. Pubblichiamo anche questo discorso che, al di là delle comunicazioni formali dettate dalla circostanza, lascia trasparire sentimenti intensi e profonde espressioni di vicinanza e di apertura.

Signor Ambasciatore,

Esprimo la mia gioia nel darle il benvenuto in Vaticano e ricevere le Lettere Credenziali con le quali Ella viene accreditato quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario dello Stato d'Israele presso la Santa Sede. In questa felice occasione, esprimo la mia gratitudine per il saluti da parte del presidente, Sua Eccellenza il Signor Ezer Weizman, che Ella mi ha presentato, che ricambio cordialmente. Le chiedo di trasmettergli i miei voti augurali e assicurargli le mie preghiere per il suo Paese e per tutte le popolazioni della Terra Santa.

Le relazioni diplomatiche stabilite tra la Santa Sede e lo Stato d'Israele nel 1994  rappresentano un passo importante nel costante processo di normalizzazione che abbiamo intrapreso. Tuttavia, questi vincoli diplomatici non si possono considerare fini a sé stessi, dato che la loro finalità consiste nell'aiutare a raggiungere gli obiettivi ancora più elevati contenuti nell'Accordo Fondamentale firmato alla fine del 1993. Lo spirito di questo accordo, la buona fede e l'impegno in esso espressi devono occupare costantemente una posizione d'avanguardia nel contesto di tutti gli sforzi che vengono fatti, mentre continuiamo a percorrere insieme la strada della comprensione, dell'amicizia e della cooperazione.

Molto è già stato fatto per implementare i vari Articoli dell'Accordo Fondamentale, ed è con vero piacere che prendo atto del riferimento all'«Accordo Legale» che Lei ha fatto, accordo che tra breve sarà presentato al Governo israeliano per la sua approvazione e implementazione. Dobbiamo esser grati a tutte le persone, di ambo le parti, i cui infaticabili sforzi ci hanno dato la possibilità di giungere a questo punto. È mia speranza che l'«Accordo Legale» venga firmato e ratificato quanto prima, poiché rappresenta uno degli strumenti giuridici più significativi per la vita della Chiesa cattolica in Israele e per i suoi fedeli cattolici che sono cittadini israeliani. Inoltre, siamo parlando qui di un importante passo nel processo di assistenza a tutte le popolazioni d'Israele, indipendentemente dal loro credo religioso o dalle proprie differenze culturali, affinché lavorino unite come parti aventi pari titolo nell'edificazione della società israeliana. Ciò richiede che noi fondiamo fermamente la nostra speranza nel Creatore e nella capacità che Egli ha dato agli uomini di corrispondere a quel che loro chiede: 

«Ciò che esige da te: praticare la giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il tuo Dio» (Miq. 6, 8).

Ciò ci porta ad affrontare quella che Sua Eccellenza ha giustamente definito una delle sfide - in realtà, la grande sfida - che i popoli del Medio Oriente stanno affrontando: la ricerca della pace. Come il Signor Ambasciatore ha osservato, è stato raggiunto qualche progresso e la Santa Sede, costante promotrice attiva del processo di pace, si rallegra quando si ottengono risultati positivi. Ciò nonostante, non mancano difficoltà e crisi che, ancora oggi, minacciano di indebolire il fragile ottimismo che si sta formando. A tal proposito, reitero le espressioni di grave sollecitudine con le quali la Santa Sede e tutta la Comunità Internazionale hanno osservato il recente incremento delle tensioni in una situazione già delicata e volubile. Esistono problemi seri e quotidiani concernenti l'incolumità fisica degli individui, tanto israeliani quanto palestinesi, minacciando la possibilità di liberarsi di questa spirale d'azione, reazione e controreazione apparentemente infinita. Si tratta infatti di un circolo vizioso dal quale non si può scappare se tutte le parti non agiscono con autentica buona volontà e solidarietà. Come ho osservato all'inizio di quest'anno: «Tutti [i popoli] insieme, ebrei, cristiani e musulmani, israeliani e arabi, credenti e non credenti devono creare e consolidare la pace»; questa pace «si fonda su un dialogo leale tra parti uguali, nel rispetto dell'identità e della storia di ciascuno, [...] sul diritto dei popoli all'autodeterminazione del proprio destino e sulla loro indipendenza e sicurezza» (Discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 13 gennaio 1997, n. 3).

In questo contesto, non posso esimermi dal menzionare - pur brevemente - la singolare caratteristica di Gerusalemme. La Città Santa, la Città della Pace, resta una parte del patrimonio comune di tutta l'umanità, e dev'essere preservata e salvaguardata per tutte le generazioni. Diversi popoli si identificano con le parole dei Salmi: «Augurate la pace a Gerusalemme!» (Sal. 122/121, 6). La Chiesa cattolica continuerà a svolgere il proprio ruolo nella promozione della vocazione e della missione che Dio stesso - il Dio della Rivelazione - ha affidato alla Città Santa nel corso della sua storia complessa e variegata. E quando pensiamo alla pace che Dio desidera, non ci possiamo dimenticare che essa esige la pace e il rispetto della dignità di ogni persona e il desiderio di comprendere il prossimo.

La Santa Sede e la Chiesa cattolica, considerate in maniera globale, sono profondamente impegnate nella cooperazione con lo Stato d'Israele, «nella lotta contro ogni forma di antisemitismo, di razzismo e di intolleranza religiosa, e nella promozione della comprensione reciproca tra le nazioni, della tolleranza tra le comunità e del rispetto per la vita e per la dignità umane» (Accordo Fondamentale, Articolo 2 § 1). Non c'è dubbio che in questi settori si può e si deve fare di più. Sono proprio questi sforzi rinnovati che devono dare al Grande Giubileo dell'Anno 2000 un significato realmente universale, non limitato ai cattolici o ai cristiani ma che comprenda tutti i popoli in ogni parte del mondo. Sono persuaso del fatto che le autorità d'Israele e quelle palestinesi faranno tutto ciò che è in loro potere perché tutte le persone che visitano i luoghi storici e santi legati alle tre grandi fedi monoteiste siano ricevute in uno spirito di rispetto e amicizia. Io stesso desidero essere uno di quelli che compiranno tale pellegrinaggio, e ringrazio i generosi inviti che continuo a ricevere.

Signor Ambasciatore, le esprimo i miei voti augurali per il buon esito della sua missione come Rappresentante del suo paese presso la Santa Sede, assicurandole la cooperazione dei vari dipartimenti della Curia Romana per il compimento dei suoi alti incarichi. Per Sua Eccellenza e il suo paese, faccio mia la preghiera dell'antico Autore biblico: «Il Signore vi mostri il Suo volto e vi conceda la pace!» (Num. 6, 26).

(Traduzione dal portoghese per "Le nostre Radici" di Antonio Marcantonio)

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