Le acque dell'Eden
Il testo seguente è tratto dal volume: Aryeh Kaplan, «Le acque
dell'Eden», Appendice I, a cura di Giuseppe Gennarini, Roma, Edizione Dehoniane, 1996
È noto che i rapporti tra la
Chiesa primitiva e la Sinagoga nei primi secoli non sono quelli di due
religioni separate.
In realtà i cristiani non solo continuano a sentirsi appartenenti a
Israele, ma in molte città sono in grande maggioranza ebrei. Questo è
vero in particolare per due città, Gerusalemme e Roma, dove fino al
secondo secolo avanzato la maggior parte della comunità è costituito da
ebrei.
Svetonio racconta che la predicazione di Cristo era causa di tumulti
all'interno della comunità ebraica di Roma, creando una situazione che
portò l'imperatore Claudio ad espellerli da Roma(1).
Tacito - raccontando la persecuzione di Nerone - descrive i cristiani
arrestati come una ingens multitudo(2) . Non vi sono dubbi che di
questa ingente moltitudine la gran parte erano ebrei. La stessa
Lettera ai Romani, con l'insistenza sul tema degli ebrei, si situa
nel contesto di una comunità in cui l'elemento ebraico aveva un peso
sostanziale(3).
Lo stesso si può dire con certezza per Gerusalemme. Sicuramente fino al
martirio del vescovo Simeone nel 107, ma probabilmente fino alla rivolta
di Bar Kokba nel 132, la gran parte della comunità è formata da ebrei.
Eusebio scrive che « moltissimi erano passati dalla circoncisione alla
fede in Cristo»(4) Il grande numero di ebrei convertiti al cristianesimo può anche essere
dedotto da alcune semplici considerazioni demografiche. Se si calcola
che il numero degli abitanti dell'impero romano ai tempi di Augusto era
intorno agli 80 milioni, i demografi concordano nel ritenere che gli
ebrei - della diaspora e non - costituivano circa il 10% della
popolazione dell'impero, assommando press'a poco a otto milioni(5): una
cifra per quei tempi considerevolissima, che corrisponderebbe oggi a
circa 80 milioni!(6). Poiché - a parte le stragi di Tito e quelle
occasionate dalla rivolta di Bar Kokba - non si registra, fino alle
crociate, nessun consistente moto persecutorio, un fattore del radicale
ridimensionamento del popolo d'Israele è certamente stato quello delle
conversioni al cristianesimo. A conferma di questo fatto, alla fine del
primo secolo le maggiori comunità cristiane si trovano proprio nelle
città con le più alte concentrazioni di ebrei: Antiochia, Alessandria,
Roma, Pergamo, Smirne, Efeso, Sardi, Laodicea, Corinto e Filippi.(7)
I rapporti tra ebrei e cristiani erano così profondi che anche nei primi
secoli dell'era cristiana - senza considerare i gruppi giudeo-cristiani
o ebioniti - molteplici furono i legami che continuarono a sussistere
tra di essi.
Molti dei Padri della Chiesa vanno a studiare presso dei rabbini, e
ancora alla fine del IV secolo san Girolamo studierà esegesi biblica dal
rabbino Bar Chanina(8).
Nel IV secolo la comunità africana di Oea fece arbitrare una disputa
biblica dai rabbini del luogo(9). Parecchio tempo prima Giustino aveva
scritto un'opera, il Dialogo con Trifone, in cui dialoga con un rabbino:
una figura probabilmente fittizia, ma che rispecchia concrete esperienze
e una lunga consuetudine dell'autore con l'ambiente ebraico.
Molto presto da parte giudaica si cercherà in tutti i modi di tagliare i
ponti con il cristianesimo, estirpando la predicazione cristiana e i
cristiani dal corpo d'Israele. Secondo Giustino (Dial. 17,1) i giudei
presero « uomini scelti in Gerusalemme e li inviarono per tutta la terra
a dire che era apparsa una setta eretica ed empia, quella dei cristiani,
e a recitare la lista delle accuse che adesso tutti ripetono contro di
noi »(10). Secondo i Padri della Chiesa i giudei maledicevano i cristiani
sia in generale sia durante i servizi sinagogali(11).
Poiché i rabbini hanno cercato di nascondere le tracce di
anticristianesimo(12), trovare testimonianza di quest'atteggiamento di
ostilità verso il cristianesimo da parte ebraica non è facile: qualsiasi
allusione o discussione di eresia può infatti riferirsi al
cristianesimo.
Nonostante la scarsità di testimonianze, è tuttavia possibile dimostrare
che le sfere dirigenti della comunità giudaica percepirono il rischio
che la predicazione di Gesù come Messia fosse accolta dalla maggioranza
del popolo ebreo, e adottarono quindi misure di così grande portata, da
modificare radicalmente la religione giudaica. Non si trattava infatti
di estirpare un corpo estraneo, ma di creare una nuova sintesi che
escludesse dall'ebraismo ogni elemento liturgico, scritturale o
teologico che potesse esser letto in chiave cristiana.
L'ASSEMBLEA DI YAVNE E L'AMIDAH
L'esempio più noto e documentabile del fatto che il cristianesimo fosse
percepito come una minaccia radicale, si trova nella maledizione contro
i cristiani introdotta nella Amidah verso la fine del primo
secolo: per capire l'eccezionale importanza di questa nuova preghiera,
basta ricordare che essa viene tuttora recitata quotidianamente tre
volte al giorno; durante il sabbath e detta quattro volte e in occasione
dello Yom Kippur addirittura cinque. Eccone il testo:
«Che gli apostati (calunniatori) non abbiano alcuna speranza e che
l'impero dell'orgoglio sia sradicato prontamente, ai nostri giorni. Che
i Nazareni e i Minim periscano in un istante, che siano
cancellati dal libro della vita e non siano contati tra i giusti (Birkat
Minim) ».
«Calunniatori » (Malshinim), era un epiteto diretto ai giudei
convertiti al cristianesimo. In origine la parola era Meshmadim,
« apostati », cioè gli ebrei battezzati. I testi più antichi
identificano i nemici come Notzrim, « nazareni », termine che poi
venne eliminato(13). Secondo la letteratura rabbinica, Gamaliele II
istruì Samuele il Piccolo a comporre questa preghiera, che avrebbe
obbligato al silenzio tutti i settari. Infatti, durante il primo secolo,
fino all'introduzione della Birkat Minim, numerosi gruppi di
cristiani continuavano a frequentare le feste ebraiche e la preghiera
sinagogale. Secondo le testimonianze rabbiniche più antiche, i Minim
appaiono mescolati alle comunità ebraiche ortodosse(14). L'iniziativa
della rottura partì dai rabbini proprio con la Birkat Minim, che
di fatto scomunicò i cristiani dal culto giudaico. Con questa
maledizione, infatti, i cristiani erano costretti a palesare la loro
fede. Ecco l'istruzione che il Talmud dà in proposito.
«Se qualcuno fa uno sbaglio recitando una preghiera, lo si lascerà
continuare, ma se fa uno sbaglio recitando la Birkat Minim, lo si
richiamerà al suo posto, perché significa che è un Min » (Berakoth
28b).
In pratica si trattava di un test, che di fatto, permise di epurare i
cristiani, i quali - a quanto sembra - non volevano staccarsi dalla
Sinagoga(15)
Questa operazione volta ad estirpare dal corpo dell'ebraismo ogni
elemento cristiano - teologico, ma anche e soprattutto le persone
concrete - si può situare storicamente: essa si svolse nel corso dell'Assemblea
di Yavne, riunitasi a partire dal 70 d.C., fino al 132. Dopo la
caduta di Gerusalemme, infatti, il Sinedrio si ricostituì a Yavne, sotto
la presidenza, prima di rabban Jonathan e poi di rabban Gamaliele II.
Così Neusner definisce la rivoluzione apportata in quel tempo:
«Gli anni formativi del giudaismo rabbinico videro un piccolo gruppo di
uomini che non erano dominati da un unico leader, ma che attuarono una
radicale rivoluzione con estreme conseguenze nella vita della nazione
ebraica »(16)
Non è difficile cogliere l'importanza di Yavne per la storia del
giudaismo: ad esempio, vi fu redatto il canone definitivo della
Scrittura; tra l'altro ne fu escluso il libro del Siracide, che aveva
moltissime risonanze cristiane ed era uno dei più citati nei Vangeli.
Tra le altre decisioni fondamentali di Yavne ci fu la formulazione dell'Amidah
con la scomunica dei cristiani.
L'assemblea venne sciolta dopo la sconfitta di Bar Kokba e non venne più
ricostituita.
LE ALTERAZIONI LITURGICHE
Numerose e ben documentate sono le tracce delle alterazioni
apportate dai rabbini, durante i primi secoli dell'era cristiana,
alla liturgia sinagogale per differenziarla dalla liturgia
cristiana.
Secondo Tzvee Zahavy(17) « la tradizione rabbinica riporta aspetti di
quelle che devono essere state amare e lunghe battaglie su
compromessi liturgici ». Così ad esempio, secondo il Tamud
Palestinese(18), chi conduceva il servizio nella sinagoga evitava di
recitare le preghiere che menzionavano la risurrezione o la
ricostruzione del Tempio: erano questi, infatti, temi centrali del
cristianesimo.
Ludwig Venetianer(19) analizza il lezionario cristiano e quello
ebraico pretalmudico, dimostrando come il primo sia un calco preciso
di quello sinagogale pretalmudico; successivamente - durante i primi
due o tre secoli dell'era cristiana - gli sforzi anticristiani degli
apologisti giudei crearono un nuovo lezionario ebraico, diverso
dall'antico. Il Venetianer conclude:
«La Chiesa cattolica ha dunque preservato in modo più puro la
liturgia della comunità giudaica primitiva ».
Anche il Werner ha analizzato il lezionario sinagogale, dimostrando
come la Sinagoga abbia cambiato le letture dello Yom Kippur per
distinguersi dal cristianesimo e come il lezionario cristiano si
possa definire una pseudo-morfosi del giudaico(20).
Sofia Cavalletti(21) cita l'esempio della Pentecoste, che
originariamente era una festa agricola; la celebrazione sinagogale
glissa sul dono delle primizie per centrare esclusivamente sulla
Legge il significato della festa, al preciso scopo di differenziarsi
dalla Chiesa, che invece conservava l'aspetto agricolo(22). Conclude
la Cavalletti:
La Chiesa conservava la più genuina tradizione ebraica ».
Le Déaut(23) riporta il caso della lettura del sacrificio d'Isacco,
che nei primi tre secoli cristiani continuò a far parte del servizio sinagogale per la celebrazione della Pasqua, e solo più tardi fu
trasferito al ciclo autunnale. Come per la Pentecoste, anche qui la
Chiesa conservò la tradizione più antica proclamando a Pasqua la pericope della Genesi sul sacrificio di Isacco, mentre la Sinagoga
modificò, per ragioni polemiche, il suo lezionario: era troppo
evidente, infatti, il parallelo tra Cristo e l'Akedah
d'Isacco, e sembrava portar acqua al mulino dell'interpretazione
cristiana dell'Antico Testamento(24).
Un altro esempio di grande rilevanza fu l'eliminazione della recita
del Decalogo nella preghiera quotidiana(25). La Mishnah ci
informa d'un tempo in cui la recita dello Shema era preceduta
da quella del Decalogo. Perché successivamente quest'ultimo fu
espunto dal servizio liturgico? Il Talmud spiega:
«... affinché i Minim non potessero affermare che soltanto
questi comandamenti furono dati a Mose sul Sinai ».
Questo accenno ai Minim si riferirebbe ai cristiani, che non
si sentivano più obbligati dal secondo codice dell'Alleanza - di
carattere soprattutto rituale - e dalla Torah orale dei rabbini.
Questi perciò rimpiazzarono il Decalogo con una preghiera in cui si
dichiara che Dio amò a tal punto Israele da dargli tutta la Torah, e
non solo il Decalogo.
Nel corso dei secoli, poi, la Sinagoga si dotò di inni
specificamente anticristiani, i Piyyutim. Famoso, fra i tardi
innografi, sarà Yannai nel VI secolo. In un suo Piyyut egli
afferma che i cristiani venerano un Dio morto piuttosto che il Dio
vivente. Il Piyyut più fortemente anticristiano venne
incorporato nella liturgia dello Yom Kippur. Era intitolato:
Chi non ti teme, tu che sei il Dio dei gentili?; Gesù vi è
presentato come il figlio d'una prostituta.
I rabbini non si limitarono a cambiare le lezioni, ma si videro
costretti, nel perseguire il differenziamento, a cambiare perfino i
gesti della liturgia. La Jewish Encyclopedia riporta due
casi, l'unzione del sacerdote e l'ordinazione del rabbino(26).
Secondo l'antica tradizione rabbinica (Hor 12a; Ker 5b) i re
ricevevano un'unzione in forma di corona: erano unti tutt'intorno
alla testa. Il gran sacerdote, invece, veniva unto nella forma d'una
chi greca (χ, Χ); in altre parole, nell'unzione del sacerdote(27)
l'olio era versato prima sulla testa e poi sulla fronte(28). Secondo
la Jewish Encyclopedia è probabile che - in opposizione alla
croce cristiana - gli interpreti giudei adottarono la forma del kaph
ebraico (כ) al posto del
chi, che a sua volta aveva preso quello
dell'originario tau (π) di Ezechiele (9.14).
L'altro caso e quello dell'ordinazione dei rabbini, indicata in
tempi pretalmudici con la parola Semikah, che vuol dire «
imposizione delle mani »(29), una cerimonia basata su Nm 27,20; 22-23
e Dt 34,9. Il rito dell'imposizione delle mani venne abolito dopo la
rivolta di Bar Kokba. Tra le cause che probabilmente hanno
contribuito all'abolizione sta il fatto che l'imposizione delle mani
- quale mezzo di conferimento dell'ufficio di maestro - era stata
adottata dai cristiani(30). L'uso era infatti divenuto un'istituzione
cristiana verso la metà del secondo secolo, e questo fatto può aver
indotto i giudei della Palestina ad abbandonarlo. Venne cambiata
anche la denominazione: a Semikah o Semikuta venne
preferito il termine Minnuy (istituzione, incarico).
LA SALVEZZA MESSIANICA SOSTITUITA DALLA SANTIFICAZIONE PER MEZZO
DELLE OPERE
Oltre ai cambiamenti apportati al lezionario e in alcuni gesti
liturgici, il confronto con il cristianesimo indusse i rabbini ad
amputare l'ebraismo di alcune componenti fino allora essenziali o ad
occultarle alle masse e a reinterpretarle.
Poiché la distinzione tra i giudei e i giodeocristiani era ancora
incompleta, l'ebraismo uscì profondamente modificato dal confronto,
mentre il cristianesimo conservò aspetti dell'antico giudaismo.
Scrive il Kaplan, riferendosi alla tradizione mistica del giudaismo
prediasporico(31):
«Tutto questo cambio con la diaspora, che disperse i giudei in tutto
il mondo. Si comprese che, se le masse fossero rimaste implicate nel
misticismo profetico, le tentazioni che le avessero attratte
all'idolatria le avrebbero in definitiva alienate dalla Torah.
Gruppi isolati e sparsi sarebbero stati facile preda di falsi
maestri e false esperienze. Perciò, intorno a questo tempo, le più
avanzate forme di meditazione furono nascoste alle masse e divennero
parte di un insegnamento segreto. Ora, soltanto gli individui più
qualificati avrebbero partecipato dei segreti della meditazione
profetica avanzata... (Dopo la costruzione del secondo Tempio) la
dirigenza giudaica prese una decisione molto difficile. I benefici
del coinvolgimento delle masse, nelle forme più sublimi di
meditazione, furono valutati in base al confronto coi pericoli che
ne potevano scaturire. Sebbene la nazione potesse scadere in fatto
di spiritualità, in forza d'una decisione negativa avrebbe potuto
almeno sopravvivere. Quindi la disciplina del carro di Ezechiele
dovette esser ridotta a dottrina segreta, insegnata solo a individui
selezionati. La Grande Assemblea - cioè la prima dirigenza giudaica
nella seconda repubblica - decretò in questi termini: "La disciplina
del carro può essere insegnata soltanto a studenti, individualmente
(a uno per volta), ed essi devono essere saggi". La Grande Assemblea
si rese altresì conto che la popolazione aveva bisogno d'una
disciplina meditativa... comune a tutta la nazione giudaica, che
sarebbe servita a unire tutto il popolo. Questa disciplina fu l'Amidah
con le sue diciotto sezioni »(32).
Per disciplina del carro s'intendono tutte le speculazioni
che muovevano dalla visione ezechielica della Merkabah (il
carro) e della Shekinah (la gloria di Dio) per arrivare alla
misteriosa figura dalle sembianze umane, il Messia.
L'idea messianica - che poteva o accreditare il cristianesimo o
costituire una miscela esplosiva per il popolo, come era stato con
la rivolta di Bar Kokba - venne quindi reinterpretata o eliminata(33).
Un esempio di questa messa in ombra della figura del Messia in
funzione anticristiana e la Haggadah di Pasqua. Ne venne
espunta qualsiasi menzione di Mosè. Nel giudaismo ellenistico della
diaspora la figura di Mosè aveva assunto un carattere fortemente
messianico, quasi divino. Perciò i rabbini cancellarono ogni
riferimento a Mosè e trasformarono la Pasqua nel racconto del
diretto intervento di Dio. Una revisione di questo tipo fu operata
in tutte le celebrazioni ebraiche più importanti(34)
Secondo Giustino(35) i giudei della sua epoca si erano allontanati
dall'interpretazione messianica tradizionale di certi testi e
s'ingegnavano, in reazione contro i cristiani, a trovare altre
applicazioni possibili(36)
Il Neusner - uno dei maggiori studiosi della trasformazione
dell'idea messianica nel primo e secondo secolo - scrive che i
redattori della Mishnah mutarono completamente il quadro di
riferimento dottrinale del giudaismo:
«... la riduzione dell'importanza da attribuire agli eventi storici,
operata dalla Mishnah, contraddice l'enfasi d'un migliaio
d'anni di pensiero israelitico. Le storie bibliche, gli antichi
profeti, i visionari apocalittici, tutti avevano testimoniato la
fondamentale importanza degli eventi storici. Gli eventi recavano il
messaggio del Dio vivente »(37).
La Mishnah, quindi, modificò drasticamente il mito del
Messia, trasformandolo in un paradigma filosofico e definendolo come
teleologia d'una santificazione eternamente presente, ottenuta per
mezzo dell'obbedienza ai modelli di santità esposti nella Torah(38)
Ecco quindi che la fede nella venuta di un Messia personale, che
libererà il popolo dal peccato e scriverà la Legge nei cuori dei
fedeli, viene trasformata nel suo opposto: è il popolo che - se sarà
fedele alla Legge - farà venire il Messia. La redenzione, pertanto,
viene fatta dipendere dalla santificazione, cioè dalle opere
della Legge. Il Bamberger(39) scrive che «... il sorgere del
cristianesimo... portò i rabbini ad accentuare le esigenze
halachiche del giudaismo e la legge orale ».
Lo scontro con l'antilegalismo dei Vangeli e di san Paolo - secondo
cui la giustificazione e gratuità e avviene per opera di Gesù Cristo
- porterà la sinagoga ad accentuare l'aspetto legalistico della
Torah in contrapposizione all'idea della grazia. In questa
prospettiva divenne centrale l'applicazione di molti passi
messianici al popolo d'Israele.
LE IPOSTASI DI DIO NELLA TRADIZIONE EBRAICA PRECRISTIANA
Un esempio di questa trasformazione dottrinale conseguente allo
scontro con il cristianesimo si può trovare nel dibattito - già
centrale nei vangeli - sui due poteri, la dove, cioè, si discute se
in Dio sia una pluralità di persone o ipostasi. Nei vangeli Gesù
afferma la sua divinità. In Mt 22,42 40 egli cita il Sal 110:
«Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio? ». Gli risposero: « Di
Davide ». Ed egli a loro: « Come mai, allora, Davide, sotto
ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al
mio Signore: "Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i
tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? ". Se dunque Davide lo
chiama Signore, come può essere suo figlio? ». Nessuno era in grado
di rispondergli nulla.
Si trattava di affermazioni ereticali?
È del tutto improbabile che Gesù facesse affermazioni del genere senza che queste fossero
ricollegate a una tradizione interna all'ebraismo.
Anche Afraate(41) si richiama a tutta una serie di precedenti
scritturali per giustificare la divinità di Cristo e per affermare
che non v'è nulla di eccezionale - rispetto alla tradizione ebraica
- nel chiamare Gesù « figlio di Dio »(42)
E di fatto Filone nel Sui sogni chiama il Logos un
dèuteros Theos, cioè un «secondo Dio»:
«Eppure non vi è terrore per l'uomo che si affida alla speranza
della compartecipazione divina, al quale sono indirizzate le parole:
Io sono il Dio che apparve a te al posto di Dio (Gen 31,31).
Certamente, nobile ragione di vanto è per l'anima che Dio si degni
di mostrarsi ad essa e di conversare con essa. E non mancare di
notare il linguaggio usato, ma attentamente ricerca se vi sia un
secondo Dio, poiché leggiamo: Io sono il Dio che apparve a te,
e non al mio posto, ma al posto di Dio, come se si
trattasse d'un altro Dio. Che dobbiamo dire? Colui che è veramente
Dio è uno, ma coloro che impropriamente sono così chiamati sono più
d'uno. Qui il testo sacro chiama Dio il suo Logos più antico.» (Sui
sogni I, 227-229).
In precedenza Filone aveva definito il termine « posto » (maqom)
come sinonimo allegorico di Logos. Quindi al posto di Dio
vuol dire Logos di Dio. E quello stesso Logos che Filone definisce
in molti luoghi figlio primogenito di Dio. Ad es.:
«Esistono, con evidenza, due santuari di Dio: uno
è questo nostro
mondo, di cui è sommo sacerdote il figlio suo primogenito, il Logos
divino » (Sui sogni I, 215).
Questi passi filoniani dimostrano che all'interno dell'ebraismo si
discuteva su come interpretare le manifestazioni di Dio: se, cioè,
ascriverle a diverse ipostasi divine o a un angelo, come vorrà la
soluzione adottata dal giudaismo rabbinico. Pur con dei distinguo,
Filone è disposto a usare l'espressione un secondo Dio o a parlare
di manifestazioni divine, pur di restare attaccato alla lettera
della Scrittura, che nella versione dei LXX conteneva la parola «
Dio » in due accezioni diverse.
In Filone questo Logos divino è preesistente alla creazione, allo
stesso modo in cui anche il Messia - nella tradizione ebraica
anteriore a Cristo - aveva assunto il carattere della pre-esistenza.
Secondo il Talmud il Messia e addirittura coeterno a Dio. Del resto,
già in Daniele la figura messianica del figlio dell’Uomo è un
essere soprannaturale che discenderà dall'alto dei cieli sulla
terra.
Nell'ambiente degli Esseni qumraniti l'attesa di un Messia personale
con caratteri divini è affermata con grande forza.
Nei famosi cinquanta rotoli, non resi noti per quasi quarant'anni e
finalmente pubblicati da Eisenmann e Wise, così si presenta il
Messia:
«Egli sarà chiamato il Figlio di Dio: essi lo chiameranno
il figlio dell'Altissimo. Come le stelle cadenti, così sarà il
loro regno. Il suo regno sarà un regno eterno ».
Ne Il Messia del cielo e della terra se ne annuncia la venuta
in questi termini:
«I cieli obbediranno al suo Messia... sull'umile si poserà il suo
Spirito, e ristorerà il fedele con il suo potere. Libererà i
prigionieri, ridarà la vista ai ciechi, risolleverà gli oppressi...
allora risanerà i malati e farà risorgere i morti, e annuncerà agli
umili felici notizie ».
Il cristianesimo non costituiva una rottura rispetto all'ambiente
ebraico in cui era nato, e anzi era in piena continuità con esso. La
divinità di Gesù, l'idea di un Messia sofferente per espiare le
colpe del suo popolo, non sono affatto scandalose per l'ebraismo. Lo
diventeranno invece dopo, attraverso un'operazione di rilettura e di
reinterpretazione di tutto il patrimonio della tradizione ebraica.
Così le speculazioni sulle manifestazioni divine - che divennero
centrali nel dibattito con i cristiani - indussero, nel secondo
secolo, i rabbini a mettere in guardia contro di esse, affermando
che parlare di « persone divine » poneva in pericolo il monoteismo.
Una traccia di questo confronto si trova in una discussione
rabbinica sull'Io sono il Signore tuo Dio d. Es 20,2:
«... la Scrittura perciò non avrebbe lasciato ai
goyim del mondo una
scusa per dire che vi sono due poteri, ma egli dichiara: Io sono
il Signore tuo Dio... Rabbi Nathan dice: "Da questo uno può
dedurre una confutazione degli eretici che dicono vi sono due
poteri. Perché quando il Santo, benedetto egli sia si levò ed
esclamò: Io sono il Signore tuo Dio, ci fu la qualcuno che
protestò contro di lui..." »(43)
Si tratta dunque d'una polemica contro chi afferma l'esistenza di
due poteri divini appoggiandosi sul fatto che la Scrittura ha due
parole per indicare Dio.
Un altro dei passi famosi chiamati in causa dai cristiani per
giustificare una pluralità di ipostasi divine e quello della
distruzione di Sodoma e Gomorra. In Gen 19,24, infatti, si legge:
«... quand'ecco che il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e
sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore ».
Il principio fondamentale dell'esegesi rabbinica
è che nella Bibbia
non c'è alcuna parola superflua, e i pleonasmi o le apparenti
ripetizioni nascondono necessariamente un senso più profondo. Quindi
la discussione su questo passo verte sulla ripetizione della parola
(Signore). A Sephoris, nella cerchia di rabbi Ishmael ben
Jose, discepolo di rabbi Jehuda ha Kadosh - siamo verso il 170 d.C.
- un min, un settario, si serve di questo passo per attaccare
l'opinione dell'assoluta unità di Dio:
«Il Signore fece piovere fuoco e zolfo
da parte del Signore.
Si sarebbe dovuto dire piuttosto da parte di lui... »(44)
La medesima discussione compare nel Dialogo di Giustino(45):
« ... e il Signore (il Figlio) che ha ricevuto dal
Signore
che è nei cieli (il Padre), cioè dal creatore di tutte le cose, il
compito d'infliggere il castigo a Sodoma e Gomorra... ».
Molti altri passi della Scrittura(46) furono abbondantemente
utilizzati dai cristiani che si rifacevano alla tradizione ebraica.
La crisi cristiana spinse i rabbini ad applicare agli angeli ogni
passo biblico che accennasse a una pluralità di manifestazioni di
Dio. Cristianesimo e giudaismo rabbinico si evolvettero perciò in
direzioni opposte, pur a partire dalla stessa radice(47); ma quello
che se ne allontanò di più fu proprio il giudaismo rabbinico.
Parti della spiritualità d'Israele sopravviveranno, in forma mistica
e nascosta, nella cabbala, riemergendo in certi periodi storici come
un fiume sotterraneo, vedi il caso del falso messia Sabbatai Zvi(48).
Sarà proprio il desiderio di amputare la parte cristiana dal corpo
di Israele a trasformare profondamente il giudaismo, eliminando o
ponendo in secondo piano intere parti del suo credo fino allora
centrali.
Il messianismo era incentrato sull'attesa del Servo di
, mite e
umile, che cavalca un'asina, che non fa violenza, che è il vero
compimento dell'agnello sacrificato nel Tempio - preannunziato da
Isacco, che si fa legare per compiere la volontà del Padre - e che
effonderà un nuovo spirito su ogni israelita. Questa figura
personale - che era il cuore dell'ebraismo - dopo Gesù Cristo verrà
di fatto eliminata e sostituita dalla sua variante politica o dalla
santificazione per mezzo delle opere della Legge.
La variante politica era stata una componente dell'attesa
messianica; ma i profeti e la letteratura sapienziale avevano sempre
più messo l'accento sulla liberazione dal peccato, sul cuore nuovo,
sulla rigenerazione attraverso lo Spirito. Dopo Gesù Cristo, invece,
la componente politica diverrà l'unica: così l'enfasi sull'unicità
di Dio assoluta, senza ipostasi, accentuerà la lontananza di Dio
dall'uomo e aprirà la via concettuale alla formulazione del Dio
dell'Islam, anch'egli inaccessibile all'uomo.
La santificazione, poi, per mezzo della Legge costituiva proprio la
negazione di tutta l'esperienza storica d'Israele, illuminata dalla
parola dei profeti. Dopo Gesù, invece, la posizione dell'uomo di
fronte alla salvezza sarà sempre più basata - soprattutto nelle sue
forme popolari - sulle forze dell'uomo, compimento della Legge.
Rifiutando Gesù Cristo, l'ebraismo perderà la sua anima più
profonda, che continuerà a vivere nella setta cristiana.
1. SVETONIO, Claud. 25,4: « Iudaeos impulsore Chresto
assidue tumul-cuantes Roma expulit ».
2. TACITO, Annal. 15-44.
3. J. DANIÉLOU, Les Quatre-Temps de Septembre, in La Maison
Dieu, 46
(1956), 133: «On sait l'importance que l'élément juif a joué dans la
première communauté de Rome... jusqu'au temps de Callixte, c'est a
dire a une epoque où l'élément judaisant était encore très vivant a
Rome, comme en témoignent les controverses de Caîus contre les
millénaristes... ».
4. EUSEBIO, Historia Ecclesiastica 3,35.
5. The Times Atlas of World History.
6. Fare delle proiezioni di questo tipo è estremamente difficile. È
certo, comunque, che ai tempi dell'impero romano il popolo ebraico
era uno dei più numerosi del bacino del Mediterraneo. Questo spiega
perché il problema ebraico costituisse una preoccupazione tanto
grave per Roma. Inoltre l'eccezionale prolificità degli ebrei è
testimoniata da vari autori antichi, ad es. Polibio.
7. The Harper Concise Atlas of Bible, New York 1991.
8. Praef. in Job 1. Cf G. BARDY, St. Jéróme et ses maîtres
hébreux, in Revue Bénédictine 46 (1934), 145 ss.; M.
SIMON, Verus Israel, Paris 1964, 220, secondo cui anche
Origene ed Eusebio avevano mutuato le loro cognizioni dell’ebraismo
da maestri ebrei. Cf inoltre C.J. ELLIOT, Hebrew learning among
the Fathers, in Dict. Of Christ. Biograf. V, 859 s.
9. Si veda la corrispondenza fra Agostino e Girolamo: Epist. 71,5 e
75,22.
10. M. SIMON, Op. Cit., 328.
11. E. RIVKIN, A hidden Revolution: The Pharisees Search for the
Kingdom Nashville 1978, 270.
12. A. SEGAL, Rebecca's Children, Harvard 1986, 140.
13. M. SIMON, op. cit., 235.
14. Ib.; cf R.T. HERFORD, Christianity in Talmud Midrash, New
York 1903
15. La Jewish Encyclopedia, nell'articolo Amidah
scrive, a proposito della Birkat Minim, la maledizione contro
i cristiani: « È opinione comune che questa nuova formula mirasse a
obbligare i giudeo-cristiani a uscire dalla comunità ebraica ».
16. J. NEUSNER, Judaism in the Matrix of Christianity,
Philadelphia 1986, 141.
17. T. ZAHAVY, The politics of piety, in AA.VV., The Making
of Jewish and Christian Worship, Notre Dame 1991, 49.
18. Talmud di Gerusalemme, trattato Berakoth 9c.
19. L. VENETIANER, Ursprung und Bedeutung der Propheten-Lektionen,
in Zeitschrift der Deutschen Morgenlandischen Gesellschaft,
Leipzig 1910. Il Venetianer dimostra come, settimana per settimana,
la Chiesa cattolica ricalchi le letture della Sinagoga [lo afferma
anche Sofia
Cavalletti nel suo libro "Ebraismo e spirtualità Cristiana",
Studium, 1966 -ndR] e le integri
con il loro compimento in Gesù Cristo. Qualche esempio: il sabato
Shekalim e la corrispondente domenica Invocabit (I di
Quaresima) avevano in comune una lettura, Ez 34,11-16, alla quale
seguivano per la Sinagoga Es 30,12-20, che parla del giorno del
tributo (« Chiunque verrà sottoposto al censimento pagherà un mezzo
siclo... ogni persona da vent'anni in su paghi l'offerta prelevata
per il Signore... », per la Chiesa Mt 17,24 ss. (« Il vostro maestro
non paga la tassa per il Tempio... »; il sabato Zachor (cioè:
ricorda) e la domenica II di Quaresima Reminiscere (cioè:
ricorda; anche la denominazione e identica!), si cantava in entrambe
le tradizioni il Sal 79. Poi la Sinagoga proclamava Es 17,8-16 (Mosè
che si reca a pregare sul monte durante la battaglia con gli
Amalecití), mentre la Chiesa proclamava (e proclama tuttora) Mt
17,1-9 (la trasfigurazione di Gesù sul Tabor). L'articolo del
Venetianer e uno studio di fondamentale importanza sui rapporti tra
Chiesa e Sinagoga; è alla base di quelli di altri autori, quali il
Werner, il Baumstark, Le Déaut ecc. Pur essendo, quindi, ben noto
agli addetti ai lavori, è però rimasto nascosto nelle vecchie pagine
d'una rivista specialistica e del tutto sconosciuto al più largo
pubblico.
20. E. WERNER, Il sacro ponte, Napoli 1983; Cf A. BAUMSTARK,
Liturgie comparée, Paris 1934.
21. S. CAVALLETTI, The Jewish Roots of Christian Liturgy, New
York 1990, 36-39 (cf S. CAVALLETTI, Ebraismo e spiritualità
cristiana, Roma 1966).
22. Si veda la Tosefta Megilla 4, testo pretalmudico in cui si
cita il dono della Legge insieme con le primizie dei campi.
23. R. LE DÉAUT, La nuit paschale, Rome 1963, 133.
24. Ancora più esplicito nel riferire dell'Akedah e il targum
Neophyti, una delle versioni in uso al tempo di Gesù: « E
Isacco parlò a suo padre e disse: "Padre mio!". E disse: "Eccomi,
figlio mio!". E disse: "Ecco il fuoco e la legna, pero dov'e
l'agnello per l'olocausto?". E disse Abramo: "Dinanzi a
si
preparerà un agnello per l'olocausto: se no, tu sei l'agnello per
l'olocausto". E camminarono i due insieme con il cuore perfetto...
"Padre mio, legami bene [Akedah!], perché io non ti dia calci
e si renda invalido il sacrificio"... » (Targum a Gen 22,8-10).
25. P. BRADSHAW, The Changing Face of Jewish and Christian Worship,
Nôtre Dame 1991, 32.
26. Jewish Encyclopedia, voci Ordination e Anointing.
27. RASHI, Aruk, s.v.
28. PLATONE, Timeo, 36, cit. da GIUSTINO, Apologia I,
60: « Egli impresse l'anima come una unzione nella forma della
lettera chi (chiasma) sull’universo ».
29. Tosef., Sanhed., I, I Ket 112a.
30. At 6,6; 13,3; 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6.
31. A. KAPLAN, Jewish Meditation, New York 1953, 43.
32. Gran parte delle antiche tradizioni giudaiche sopravvisse in
forma esoterica nella Cabbala.
33. G. SHOLEM, The Messianic Idea in Judaism, New York 1971,
180 («La neutralizzazione del messianismo nello hassidismo
primitivo»): « Lo hassidismo cercò di eliminare l'elemento del
messianismo con il suo amalgama, abbagliante ma fortemente
pericoloso, di misticismo e di tendenza apocalittica .
34. E. SEGAL, Rehecca's Children, op. cit., 140 s.
35. Dial. 34,2-6; 64,6; 68,7.
36. M. SIMON, Verus Israel, op. cit., 192.
37. J. NEUSNER, Judaism in the Matrix of Christianity, op. cit.,
130; cf Id., Messiah in Context, Philadelphia 1984.
38. J. NEUSNER, Messiah in Context, op. cit., 230.
39. A. BAMBERGER, Proselytism in the Tamudic Period,
Cincinnati 1939, 31.
40. Mc 12,35-37; Lc 20,41-44.
41. AFRAATE, Hom. 17,1.
42. Così infatti furono chiamati Israele (Es 4,22), Mosè (Es 7,1)
Salomone (2 Sam 7,14) e Adamo.
43. Melkhita Shirta e Bahodesh 5.
44. Talmud di Babilonia, trattato Sanhedrin 38b.
45. Dial.
56,22-23.
46. Cf il « facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza » (Gen
1,26) e i tre angeli della quercia di Mamre (Gen 18).
47. E. SEGAL, Rebecca's Children, op. cit., 141 ss.
48. Quello delle risonanze cristiane della cabbala e un
capitolo complesso, che però è stato studiato più volte e da parte
cristiana e da parte ebraica: fra i nomi più famosi si possono
citare Giovanni Pico della Mirandola tra i cristiani e, alla
fine del '700, Jakob Frank, che oscillò per tutta la vita tra
giudaismo e cristianesimo.
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