Ebraismo e spiritualità cristiana
Il testo seguente è tratto dal volume: Sofia Cavalletti, «Ebraismo e spiritualità cristiana», Roma, Editrice STUDIUM, 1966
Sinagoghe e basiliche torna
su
Il capitolo delle relazioni tra arte
cristiana e arte ebraica non è ancora stato scritto, ma è un fatto che se accostiamo una pianta di un'antica basilica
cristiana e quella di una sinagoga a forma basilicale, difficilmente individueremo a prima vista quale sia l'edificio
cristiano e quale quello ebraico (1).
Gli studiosi hanno proposto varie teorie per spiegare l'origine della basilica cristiana; fra
esse la più diffusa è quella che la fa risalire alla basilica pagana. Teoria questa certamente veneranda, risalendo
essa a Leon Battista Alberti ( + 1472); ma chi la accetta adesso tiene scarsamente conto del tempo passato da allora e
delle nuove conoscenze acquisite. Il primo studio sistematico sulle antiche sinagoghe è legato ai nomi degli illustri
archeologi Kohl e Watzinger e risale al 1916; il rinnovato interesse che essi hanno suscitato su questo argomento non
dovrebbe mancare di riproporre agli studiosi il problema dell'origine della basilica cristiana, tanto più che nessuna
delle teorie proposte al riguardo risulta del tutto convincente. Nella basilica pagana per esempio manca l'atrio che è
un elemento costante in quella cristiana, e lo stesso può dirsi del transetto.
I punti di contatto tra basilica cristiana e sinagoga basilicale non possono non colpire.
Nell'una e nell'altra troviamo l'atrio, per lo più porticato, nel quale si distingue il lato aderente all'aula
(nartece); al centro vediamo il cantharus, che, anche nelle sinagoghe, poteva talvolta essere sormontato da
un'edicola - come risulta da un'iscrizione della sinagoga di Naarah vicino a Gerico - non differentemente quindi da
quanto avverrà ad es. nell'antica basilica costantiniana di S. Pietro, dove il famoso cantharus a forma di pigna
era sormontato da un'edicola, sostenuta da otto colonne di porfido. L'aula sinagogale era anch'essa per lo più divisa
in tre navate, mentre qualcosa che può assomigliare al transetto sono quei mosaici trasversali, che si trovano in
alcune antiche sinagoghe e che con i loro motivi indicano che si attribuiva a quello spazio un particolare carattere
sacro; vi si trova infatti spesso la raffigurazione del Tempio, o dell'Arca santa sormontata dalla lampada perenne, e
dei principali sacra giudaici: il candelabro a sette braccia, la tromba o corno di montone (shofar), che
serviva a radunare le tribù d'Israele quando, durante l'esodo, l'accampamento si metteva in marcia, e tuttora in uso
nel culto ebraico; i rami di palma e il cedro (lulav e ethrog), che sono un elemento cultuale della festa
autunnale, ecc...
C'è tuttavia un punto in cui chiese e
sinagoghe a struttura basilicale sembrano differenziarsi, e cioè l'abside, che si trova già nell'architettura
cristiana più antica e che vediamo comparire solo più tardi nelle sinagoghe. Tuttavia una piccola abside è già
presente al centro della parete di fondo nella famosa sinagoga di Dura Europos, che secondo un'iscrizione rinvenuta
sulle tegole dell'edificio, non può essere posteriore all'anno 244-45. Bisogna tenere presente anche il fatto che, con
qualche rarissima eccezione, in tutte le sinagoghe rinvenute finora l'altezza delle mura rimaste è molto limitata, e,
siccome nella sinagoga di Eshtemoa, nella Giudea meridionale, è stata trovata un absidiola a circa due metri dal suolo,
si può pensare anche che almeno una nicchia fosse un elemento costante anche delle sinagoghe, e che non ce n'è rimasta
traccia a causa delle distruzioni apportate dal tempo.
Un elemento di dettaglio che si ritrova sia nelle chiese che nelle sinagoghe è inoltre quello
che nel Vangelo è chiamato « la cattedra di Mosè », e di cui si sono trovati esemplari p. es. nella sinagoga di
Khorozain, nell'alta Galilea. Non sappiamo a chi spettasse sedervi - se al capo della sinagoga o a chi faceva la lettura
- ma era certamente riservato a persona eminente nella comunità, così che ci induce a un raffronto con la cattedra, che
si trova in fondo all'abside delle nostre antiche basiliche, e dalla quale il vescovo esercitava la sua funzione di «
episcopo », cioè di sorvegliante della sua comunità e di maestro del suo popolo.
C'è infine anche chi vede una relazione tra il luogo elevato in cui si poneva in alcune
sinagoghe chi faceva la lettura, e che veniva detto bemah, e gli amboni, cioè quei pulpiti che si trovano nelle
basiliche per lo più in numero di due, dai quali veniva proclamata la parola della Scrittura.
Il culto nell' atrio
torna su
I punti di contatto di carattere architettonico, che legano la chiesa e la sinagoga non
possono mancare di imporsi alla nostra attenzione. Ma, a nostro avviso, questi elementi puramente esteriori non sono
altro che il riflesso di un'assomiglianza più profonda e che va ricercata oltre la struttura architettonica, nello
spirito che informa il culto in ambedue. Chi sostiene la teoria della dipendenza della basilica cristiana da quella
pagana sottolinea il fatto che in quest'ultima si rendeva giustizia e che ciò le conferiva una dignità particolare;
dignità che non va certo sottovalutata, ma che non c'impedisce tuttavia di domandarci quale nesso diretto esista tra
l'amministrazione della giustizia e il culto di Dio. Né bisogna d'altra parte dimenticare che nella basilica pagana si
teneva anche mercato e vi si svolgevano gli affari di borsa, elementi questi che non presentano certo nessun legame con
il culto cristiano, né con qualsiasi altro culto.
La profonda disparità di spirito che divideva la basilica cristiana da quella pagana, unita
alle differenze architettoniche a cui abbiamo accennato, rende - a nostro avviso - dubbia la teoria della dipendenza
dell'una dall'altra. Se consideriamo invece che il culto sinagogale consiste - come abbiamo accennato nel capitolo
precedente - essenzialmente nell'annuncio della Parola di Dio, e che nel culto cristiano la prima parte della Messa è
chiamata « Liturgia della Parola », il nesso ideologico che unisce tra loro la chiesa e sinagoga ci si presenta
chiaro, pur tenendo presente che in una la salvezza è sperata nel futuro, nell'altra è annunciata in atto.
Possiamo inoltre vedere nella prassi liturgica il riflesso dell'assomiglianza ideologica. Quando
vigeva nella Chiesa la penitenza pubblica, alcune categorie di penitenti erano obbligati a fermarsi « in vestibulo »
senza varcare le soglie della chiesa, vestiti di sacco e con il capo cosparso di cenere. Ma anche l'atrio della sinagoga
era riservato a un uso simile, anche se la Sinagoga non ha conosciuto una prassi simile a quella della penitenza
pubblica della Chiesa primitiva. Sappiamo da un antichissimo testo ebraico che nell'atrio si svolgevano alcuni riti a
carattere penitenziale: nei giorni di digiuno si portava l'Arca delle Bibbie fuori dell'aula, cioè nell'atrio, e la si
cospargeva di cenere; anche i presenti, cominciando dai più autorevoli, si cospargevano di cenere e ascoltavano le
parole di un anziano che esortava a penitenza, con una predica di cui è ancora conservato il testo: «Fratelli nostri,
a proposito degli uomini di Ninive, non è detto: il Signore vide le loro vesti penitenziali di sacco e i loro digiuni,
ma: 'Vide il Signore le loro opere, perché si erano ritratti dalla loro cattiva condotta'; e nella tradizione
(profetica) si dice: 'Lacerate i vostri cuori e non le vostre vesti' » (2).
Chi fosse entrato nell'atrio di una sinagoga o di una chiesa avrebbe visto quindi in ambedue una
folla che invocava da Dio il perdono dei suoi peccati, nello stesso atteggiamento penitenziale: fuori del luogo di culto
vero e proprio, per esprimere la propria indegnità di avvicinarsi a Dio, vestiti di sacco e con la cenere in capo, in
segno del dolore causato dalla coscienza di tale indegnità. Abbiamo quindi lo stesso luogo, adoperato per lo stesso
scopo. Forse a chi fosse entrato nell'atrio di una sinagoga o di una chiesa sarebbe successo di restare perplesso,
domandandosi sul primo momento se si trovava in ambiente ebraico o cristiano.
Aggiungiamo ancora che anche oggi i cristiani, all'inizio della quaresima (mercoledì delle
Ceneri), che è considerato il periodo di penitenza di tutta la comunità, vengono ammoniti con le stesse parole di
Gioele profeta, che venivano rivolte agli ebrei: « Lacerate i vostri cuori e non le vostre vesti », mentre la
benedizione di quelle ceneri che vengono imposte a ogni fedele il primo giorno di quaresima è accompagnata da una
preghiera, in cui si ricorda la penitenza esemplare dei Niniviti, che meritò loro il perdono di Dio.
Il culto nella « aula » torna
su
In quanto al culto che si svolge nella basilica vera e propria, è indubbio che il fulcro di
quello cristiano è costituito dal Sacrificio, mentre il centro di quello ebraico va cercato nella proclamazione della
Parola di Dio; ma è anche vero che il Sacrificio, che realizza la salvezza, è preceduto, nella liturgia cristiana,
dall'annuncio di essa. Basterebbe questo per stabilire tra culto sinagogale e culto cristiano un nesso ideologico di
fondo, al quale abbiamo già accennato; ma possiamo andare oltre e constatare anche la presenza di assomiglianze su
punti di dettaglio. Se mettiamo a confronto lo schema del culto sabatico della Sinagoga con gli elementi dell'antico
culto cristiano della Parola, così come possiamo raccoglierli nei testi più antichi, non possiamo non notare
un'evidente assomiglianza di struttura, tale da indurre i liturgisti ad ammettere « una vera e propria continuità di
culto, intenzionalmente ammessa dai primi fedeli » (3).
Giustino martire, nella I Apologia, ci ha lasciato una descrizione della Messa, che è la
più antica della storia liturgica. In essa ritroviamo, per quel che riguarda la parte introduttiva, quasi tutti gli
elementi che costituiscono il culto sinagogale, anche se non con lo stesso ordine. Giustino comincia col dire che nel «
giorno del sole » tutti i fedeli si radunano insieme, venendo dalle città o dalle campagne. « Allora - egli prosegue
- si leggono le memorie degli Apostoli e gli scritti dei Profeti, finché c'è tempo. Poi, quando il lettore ha finito,
colui che presiede prende la parola, per ammonire i presenti ed esortarli ad imitare le belle lezioni udite. Quindi ci
leviamo tutti in piedi e innalziamo preghiere » (I, 67). Segue poi la descrizione dell'Eucarestia, che si conclude con
una colletta per i poveri.
In questa descrizione manca la professione di fede (shemà) che fa parte del culto
sinagogale, e la benedizione sacerdotale che lo chiude; ma possiamo dire di ritrovarvi tutti gli altri elementi di esso.
Le « preghiere » a cui allude Giustino sono quelle che ancor oggi chiamiamo « preghiera dei fedeli » e che chiudono
la Liturgia della Parola, presentando a Dio i bisogni della Chiesa e di tutti gli uomini. Esse trovano riscontro nelle
« Diciotto Benedizioni » della Sinagoga, preghiera quanto mai veneranda in Israele, e le cui origini, almeno per quel
che riguarda la parte più antica, risalgono tanto addietro da perdersi in tradizioni più o meno leggendarie, tanto che
il Talmud parla di profeti che l'avrebbero composta insieme a 120 anziani. Essa si divide in tre parti: la prima ha
carattere di lode, l'ultima ha carattere di ringraziamento; la parte centrale che qui più c'interessa, è quella che
subisce maggiori cambiamenti secondo le feste, perché contiene appunto preghiere di domanda, che variano secondo le
occasioni; essa ha quindi carattere impetratorio come «la preghiera dei fedeli ».
È assai probabile che quelle che Giustino chiama genericamente « preghiere » comprendessero
anche dei salmi, e una scelta di salmi veniva anche recitata nella Sinagoga prima della lettura della Scrittura. Sia
nella Sinagoga che nella Chiesa la lettura era seguita da un sermone, e infine la liturgia si conchiudeva sia nell'una
che nell'altra con una colletta per i poveri.
In base ai dati forniti da Giustino, potremmo quindi tracciare il seguente schema:
Culto sinagogale |
Liturgia della Parola |
Professione di fede. |
------------ |
Preghiera delle «Diciotto Benedizioni» |
Preghiere di intercessione |
Salmi |
Salmi ( ? )
|
Letture (Legge e Profeti) |
Letture (Legge, Profeti, Vangelo)
|
Sermone |
Sermone |
Benedizione sacerdotale. |
-------------- |
Colletta per i poveri |
Colletta per i poveri (4) |
Ancora più grande apparirà l'assomiglianza delle due strutture
cultuali, se si confronterà quella ebraica con quella cristiana più recente, in cui si risponde alla proclamazione
della Parola di Dio con la professione di fede; si ritrova in questo caso nel culto cristiano un altro elemento giudaico
che non compare nel testo di Giustino.
I cristiani e il culto sinagogale
torna su
Se consideriamo l' assomiglianza che lega sinagoga e chiesa dal punto di vista
architettonico, e culto sinagogale e culto cristiano della Parola, sia per quel che riguarda il fondo ideologico che gli
stessi dettagli, non ci stupiremo davanti al fatto che cristiani battezzati prendessero parte alla liturgia sinagogale e
non trovassero nella loro adesione al cristianesimo nessun impedimento che dovesse tenerli lontani da essa.
Un antichissimo testo ebraico (5) descrive infatti un uomo che si presenta in sinagoga per
ufficiare, mettendo alcune condizioni riguardo al suo abbigliamento, condizioni che non devono essere accettate:
« Chi dice: 'lo non passerò davanti all'Arca (cioè: non ufficierò) in abiti colorati',
neanche in vesti bianche sia fatto ufficiare; (chi dice: ) 'Con i sandali non passerò', neanche scalzo sia fatto
ufficiare. Chi rende il suo filatterio (della fronte) tondo: è un pericolo e non adempie il precetto. Chi lo mette
sulla fronte o sulla palma della mano, questo è il modo di fare degli eretici. Se lo copre d'oro e lo mette sulla
manica, questo è il modo di fare dei dissidenti ».
Ci viene qui presentato qualcuno vestito di bianco e scalzo; inoltre si parla di una
trasformazione apportata nel filatterio della testa, che lo può far assomigliare a una corona.
Accostiamo a questo testo un passo di un inno battesimale di Efrem siro nel quale egli si
rivolge ai neofiti, dicendo: « Splendono le vostre vesti, brillano le vostre corone, che oggi vi ha intessuto il
Primogenito per mezzo del sacerdote » (XIII, 5).
La ricca simbologia battesimale riguardava anche l'abbigliamento del neofita; egli, risalito
dalle acque rigeneratrici, non rivestiva la sua tunica abituale, ma indossava quella che ancor oggi si chiama « la
veste candida », una veste cioè che anche esteriormente esprimesse lo splendore interiore, che il neofita aveva
acquistato e di fronte al quale - dice Ambrogio - anche gli angeli restano ammirati. Come il battezzando si toglieva la
tunica prima di entrare nelle acque battesimali, a significare la spogliazione dell'uomo vecchio, così si toglieva
anche i sandali, che con i loro legacci, erano considerati simbolo dei legami del peccato. E come dopo non rivestiva il
vecchio abito, ma la veste candida, così non rimetteva i suoi sandali, ma per tutta l'ottava battesimale, usava o non
portare scarpe per niente o portarle non di cuoio, perché il cuoio, appartenuto ad animali morti, rappresentava un
elemento di morte, disdicevole in chi era appena rinato alla vita eterna.
Inoltre la crismazione che seguiva il Battesimo faceva partecipare il battezzato al sacerdozio e
alla regalità di Cristo, e l'eminente dignità acquistata veniva espressa attraverso l'uso di incoronare il neofita.
Il testo rabbinico sembra quindi offrire il ritratto di un neofita giudeo-cristiano, che nella
stessa ottava battesimale, ancora ornato dei segni anche esteriori della sua adesione a Cristo, si presenta in sinagoga
e per prendere parte attiva al culto. Il testo è di un periodo in cui i cristiani erano già individuati come «
eretici »; da qui la proibizione di ammetterli all'ufficiatura. Tuttavia la sola esistenza di una disposizione in
merito dimostra che il caso non doveva essere infrequente.
Sarebbe interessante poter sapere se colui che era « eretico » agli occhi dei Rabbini, fosse
tale anche per la Chiesa, o se invece ci sia stato un periodo in cui anche un fedele in piena regola non trovasse alcuna
seria obiezione a una sua partecipazione al culto sinagogale.
Ci sono dei fatti che indurrebbero ad accettare la seconda possibilità. Abbiamo veduto come Gesù
prendesse parte al culto sinagogale, e il suo esempio non è rimasto senza seguito, perché gli apostoli stessi, in
Palestina e fuori, partecipano al culto sinagogale in forma attiva e, non diversamente da Gesù, trovano in esso
l'occasione di predicare il messaggio cristiano. Si può discutere se Pietro e Giovanni che « salivano al Tempio
all'ora della preghiera » andassero al Tempio vero e proprio o alla sinagoga che alcuni sostengono si trovasse sul
Monte del Santuario; ma è certo che Paolo in numerose occasioni, durante i suoi viaggi apostolici, predica alla comunità
raccolta nella sinagoga; ad Antiochia di Pisidia per es., Paolo accetta l'invito rivolto ai presenti di dire qualche
esortazione, e, tracciata brevemente la storia della salvezza d'Israele, cominciando dalla vocazione dei patriarchi,
arriva a dire: « Fratelli miei, figli della stirpe di Abramo e quanti tra voi temono Dio, sappiate che la parola di
questa salvezza è già venuta... E noi vi rechiamo la buona novella che la promessa fatta ai nostri padri, Dio l'ha
adempiuta nei figli, in noi, risuscitando Gesù » (At. 13, 14ss.; cfr. 16, 13).
Come il grande Apostolo, altri cristiani avranno usato partecipare alla proclamazione della
Parola di Dio insieme con gli ebrei nelle sinagoghe, cercando forse di portare tale proclamazione al suo punto finale:
all'annuncio della salvezza realizzata nel Messia Gesù. E forse lo zelo dei neofiti rendeva più frequenti i casi di «
eretici », che ancora con la loro veste battesimale - cercavano di prendere la parola per annunciare ai loro fratelli
la « buona novella » dell' avvenuta realizzazione delle promesse. (6) ___________________
(1) La dipendenza della basilica cristiana dalla sinagoga è sostenuta da: BLAU, Early
Christian Archeology from the Jewish point of view, in « HUCA », 1926, 157 55.; GRABAR, Recherches sur
les sour ces juives de l'art paléochrétien, in « Cahier Archéologique », 1960, p. 54 Ss.; cfr. anche «
Dictionnaire d'Archéologie Chrétienne », XV, 2,1825.
(2) Taan., 2, 1.
(3) M. RIGHETTI, Storia Liturgica, III, 62.
(4) Cfr. RIGHETTI, I. c.
(5) Megil., 4, 8; cfr. 24 h.; « Qual
è la ragione per cui non può ufficiare?
C'è la preoccupazione che tenda all'eresia ».
(6) Cfr. "Antonianum" 1962, 400-402.
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