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Parigi. Ebrei e cattolici, d’accordo contro
l’eutanasia Dichiarazione congiunta
dell’Arcivescovo cattolico e del gran rabbino di Parigi
[v. Testo del
Comunicato finale Vaticano Gran Rabbinato d'Israele, marzo 2006]
Monsignor André Vingt-Trois,
Arcivescovo di Parigi, e David Messas, gran rabbino della capitale francese,
hanno ritenuto utile rendere pubblica una dichiarazione congiunta sui malati
terminali con cui desiderano contribuire alla promozione di una vera e degna
assistenza alle persone al termine della loro vita. L’Arcivescovo e il gran
rabbino di Parigi hanno ribadito la loro opposizione a “ogni forma di
eutanasia”, intesa come “ogni comportamento, azione o omissione, il cui
obiettivo è dare la morte a una persona per porre così termine alle sue
sofferenze”.
“Esprimiamo un’opposizione molto ferma a ogni forma di aiuto al suicidio e a
ogni atto di eutanasia”, si legge in una dichiarazione comune resa pubblica il 2
aprile scorso. I due firmatari si basano sul comandamento biblico “Non
uccidere”, che “esige dalla famiglia e da quanti prestano cure di non cercare di
accelerare la morte del malato (...) e di non chiedere l’aiuto degli altri a
questo scopo”.
Dichiarandosi consapevoli delle sofferenze del malato terminale, l’Arcivescovo e
il gran rabbino esortano al ricorso alle cure palliative, previsto da una legge
di due anni fa. “La sollecitudine dovuta ai nostri fratelli e alle nostre
sorelle gravemente malati o anche agonizzanti (...) esige l’impegno nel porre
rimedio alle loro sofferenze (...). Non possiamo quindi che rallegrarci per ciò
che la legge invita a sviluppare (le cure palliative) in tutti gli ospedali e le
strutture medico-sociali”, sottolineano.
Da questo punto di vista, il ricorso a una cura “che può avere come effetto
secondario accorciare la vita” quando è l’unico modo di “alleviare la sofferenza
di una persona in fase avanzata o terminale di una malattia grave e incurabile”
viene giudicato “legittimo in certe condizioni”, sempre che “l’obiettivo
perseguito amministrando questa cura (sia) unicamente alleviare le grandi
sofferenze, non accelerare la morte”.
Mostrandosi contrari all’accanimento terapeutico, monsignor Vingt-Trois e il
rabbino Messas affermano: “Senza rinunciare in nulla alle nostre convinzioni
religiose e al rispetto dovuto a ogni vita umana, ci sembra giusto non
intraprendere cure che non otterrebbero altro che un mantenimento della vita a
prezzo di forzature o sofferenze sproporzionate”.
“Il fatto di non intraprendere (o di smettere di mantenere), per un malato
determinato, questo o quel trattamento medico non dispensa dal dovere di
continuare ad averne cura”, soprattutto di continuare ad alimentarlo
“privilegiando la via naturale”. Tuttavia, se le circostanze eccezionali
obbligano a “limitare o anche a sospendere l’apporto nutrizionale”, questo “non
deve mai diventare un mezzo per accorciare la vita”, ricordano i firmatari della
dichiarazione.
Questa analisi comune è il frutto dei lavori del gruppo di riflessione avviato
dalla Diocesi e dal Concistoro di Parigi, un gruppo formato da membri del
Servizio per i rapporti con l’ebraismo della Dicesi di Parigi e della
Commissione per i rapporti con le altre religioni del Concistoro Israelita di
Parigi.
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[Fonte: Zenit 5 sprile 2007]
L'argomento non è nuovo, perché già nel
marzo dello scorso anno:
"La
vita è un dono divino da rispettare e preservare", e per questo l'eutanasia va
"ripudiata", anche se è doveroso "ogni possibile sforzo per alleviare le
sofferenze umane". È
quanto scritto in un documento approvato da una commissione congiunta del
Vaticano e del Gran Rabbinato d'Israele dopo una riunione che si è tenuta in
Vaticano dal 26 al 28 febbraio (28-30 Shevat 5766 nel calendario
ebraico).
La vita di una persona, e quindi la scelta di disporne a proprio modo, non
appartiene all'individuo né tanto meno alla società: "Noi ripudiamo
decisamente l'idea di un dominio umano sulla vita, e del diritto di decidere
del suo valore o della sua durata da parte di qualsiasi persona o gruppo
umano".
"Ripudiamo il concetto di eutanasia attiva", aggiunge il documento. "Pur
rigettando la presunzione umana di assumere la prerogativa divina nel
determinare il tempo della morte, affermiamo l'obbligo di fare ogni possibile
sforzo per alleviare le sofferenze umane". «Ogni conoscenza e capacità umana
deve servire a promuovere la vita e la dignità dell'uomo", e che "non tutto
ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile".
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