PRINCIPI DI CATECHESI               

Vangeli e Scritture ebraiche

È essenziale ricordare che i Vangeli rappresentano delle riflessioni teologiche sulla vita e l'insegnamento di Gesù, e che, pur avendo una base storica non erano considerati come delle testimonianze oculari. In realtà i Vangeli sono stati fissati nella loro forma definitiva tra i quaranta ed i sessanta anni dopo la morte di Gesù.

Essi riflettono perciò un processo di elaborazione complesso e scaglionato nel tempo (« Sussidi » IV). Nella loro forma definitiva assumono forme letterarie diverse, stili e procedimenti retorici comuni alla cultura ebraica dell'epoca.

Prendendo a prestito metodi utilizzati nell'apocalittica ebraica del tempo, negli scritti essenici (manoscritti del Mar Morto) nella antica letteratura rabbinica, gli autori del Nuovo Testamento si sforzavano di spiegare la loro percezione di Gesù in relazione alla tradizione ebraica, citando le scritture ebraiche.

Gli evangelisti interpretavano la speranza ebraica di salvezza che leggevano nei profeti (ad esempio Isaia 7: 14,52-53; Osea 11: 1; Michea 5: 1) come l'annuncio della venuta di Gesù. Queste interpretazioni, scaturite alla luce della Resurrezione, non sostituiscono le intenzioni originarie dei profeti. Allo stesso modo, l'affermazione cristiana circa la validità della percezione degli evangelisti non esclude la validità dal punto di vista ebraico, post-testamentario e contemporaneo, sul significato dei testi profetici ( « Sussidi » I, II ). Ciò nonostante si vede facilmente come l'uso degli stessi simboli con differenti significati è fonte di possibili malintesi e perfino di risentimenti tra Ebrei e Cristiani di oggi.

Il Concilio Vaticano Il ha chiaramente affermato che l'Alleanza di Dio con il popolo ebraico, in quanto Suo popolo particolare, non è stata cancellata dalla venuta di Cristo e che la Sua presenza permane tra questo popolo: « Gli Ebrei a causa dei loro Padri, rimangono carissimi a Dio, la cui chiamata e i cui doni sono senza pentimento » (Nostra Aetate, n. 4). Così le intuizioni rabbiniche posteriori al Nuovo Testamento sul significato delle Scritture comuni ad Ebrei e Cristiani conservano la loro propria validità. Messi sull'avviso e rispettosi di ciò che distingue la lettura ebraica della Bibbia dalla lettura cristiana, i catechisti cristiani possono e debbono profittare delle inestimabili ricchezze d'interpretazione biblica e di pensiero religioso che la tradizione ebraica contiene.

Tradizioni religiose ebraiche

Poiché non soltanto il messaggio di Gesù ma anche lo sviluppo della Chiesa primitiva appaiono nel contesto della tradizione ebraica, la conoscenza di questo patrimonio tuttora vivo è indispensabile per un insegnamento cristiano corretto. Ora, questo patrimonio - è importante sottolinearlo - comprende non soltanto il Giudaismo biblico, ma anche il Giudaismo rabbinico e quello della nostra epoca. Come ogni generazione di Cristiani ha riaffermato e fatto propria la testimonianza apostolica preservata nel Nuovo Testamento, così ogni generazione di Ebrei ha continuato a mantenere l'antico dialogo di Israele con Dio. Perciò, quando i catechisti presentano la testimonianza della Chiesa primitiva come una realtà significativa per la nostra vita contemporanea, faranno bene a presentare anche la testimonianza viva del popolo ebraico al permanere della fedeltà di Dio all'Alleanza che ha stabilito con lui ( « Sussidi » VI ). Introduciamo qui qualche esempio di ricchezze spirituali della tradizione ebraica, così come sono state tramandate ai nostri giorni. Esse potranno essere utilizzate nella catechesi e noi speriamo che la loro presentazione stimolerà uno studio più approfondito del Giudaismo tra gli educatori cattolici incaricati dell'insegnamento religioso.  

Natura di Dio

Dio, nel Giudaismo, è considerato come Padrone della Storia. La sua giustizia si estende su tutti gli esseri umani. Egli è Dio d'amore e di misericordia, assolvendo un ruolo contemporaneamente paterno e materno. Secondo il commentarlo rabbinico il Nome che appare in Esodo 34,6-7 svela i « tredici attribuita di misericordia ». Dio è nello stesso tempo trascendente e immanente, Re e Padre, adorato con un fervore pieno di rispetto e tuttavia così vicino al Suo popolo da venire a « piantare ivi la Sua tenda ».

Etica ebraica

L'etica ebraica è sotto il segno dell'imitazione di Dio, a partire dalla sua concezione della creazione (Gn.1.27) fino a quella della Alleanza (« Siate santi, come io, il Signore, sono Santo » Lev.19:2). La legge ebraica dell'amore, che Gesù confermerà, trova la sua origine e il suo contesto spiegati nel Pentateuco (Deut. 6:5; Lev.19,18,33-34).

Così pure per la bontà attiva (Lev.19; Deut.9,10-19), il perdono a coloro che ci offendono e persino l'obbligo di sfamare il nemico (Ex.23,4; Prov.25,21-22). Alcuni commentari rabbinici, a proposito di questi versetti e di altri passaggi biblici similari (per esempio, sulla necessità del pentimento) possono allargare le prospettive e stimolare la discussione nelle classi. Partendo dall'imitazione di Dio, il commentano rabbinico ha sviluppato, ad esempio, l'idea delle «opere di misericordia». «Egli ha vestito gli ignudi. Anche tu devi vestire coloro i quali sono ignudi. Il Santo, benedetto Egli sia, ha visitato gli infermi. Anche tu devi visitare gli infermi» (Talmud di Babilonia, Trattato Sotah, 14 a). Gli scritti rabbinici circa il dovere d'imitare Dio nell'atto dei perdono sono numerosi: «Rabbi Gamaliel ha detto. «Sia per te un segno che ogni qualvolta tu sei compassionevole, il Compassionevole ha pietà di te » « Tosefta », Trattato Baba Kama, IX, 29, 30), « Sii compassionevole sulla terra, come lo è il nostro padre Celeste! » (Targum di Gerusalemme su Lev. 22, 28).

Giovanni Paolo II, nel corso della sua storica visita alla Sinagoga di Roma ha affermato che insieme Ebrei e Cristiani sono i depositari e i testimoni di un'etica segnata dai dieci comandamenti nella cui osservanza l'uomo trova la verità e la libertà. Promuovere una riflessione comune e una collaborazione su questo punto è uno dei grandi doveri del momento.

Significato ebraico di missione

La missione è presentata dai profeti Isaia, Geremia, Ezechiele, e dopo di loro dalla preghiera, dal Medio Evo all'epoca moderna, come la « Santificazione del Nome » divino da un'estremità all'altra dell'universo. Agire in modo che il Nome di Dio sia riconosciuto ed esaltato da tutte le nazioni del mondo che l'esigenza di questa missione. La convinzione che Dio deve essere onorato dall'umanità intera è sviluppata sul pensiero rabbinico che l'alleanza di Dio con Noè (distinta da quella di Abramo) è un'Alleanza universale, una via di salvezza per tutti i popoli. Questo concetto di universalità sottintende la visione ebraica dei Regno di Dio concepito come il momento in cui tutte le nazioni verranno a prosternarsi sulla Montagna Santa e si raduneranno, dai confini dell'universo, alla tavola dei banchetto divino (vedere Isaia, Michea etc.).

li significato ebraico di missione è stato attestato dagli innumerevoli martiri, non soltanto nei tempi biblici, come illustra il Libro dei Maccabei, ma durante l'epoca cristiana, ai tempi delle crociate, quando migliaia di ebrei morirono piuttosto che rinnegare la loro fede. È imperativo riconoscere oggi la « testimonianza eroica » del popolo ebraico attraverso la storia ( « Sussidi » VI) e rendergli omaggio. È un articolo della fede ebraica che quando il nome divino sarà esaltato in tutto l'universo il Regno di Dio sarà realizzato.

Concetto ebraico del Regno di Dio

Il Giudaismo concepisce il regno di Dio come un regno di universale armonia e pienezza (Shalom) dove tutti i popoli della terra saranno uniti nell'adorazione del Signore. Questa concezione della fine dei tempi, verso la quale è orientata la storia, provoca e stimola Ebrei e Cristiani in permanenza. (Isaia 2,11;25;35; Michea 4 .4).

Preghiera e liturgia ebraica

La preghiera ebraica, così come l'etica ebraica, si articola sul concetto di una corrispondenza tra il cielo e la terra. Essa si divide in due parti: benedizioni ascendenti e discendenti. Colui che prega benedice Dio in uno dei suoi attributi e implora la benedizione che corrisponde a questo tratto specifico. 'La sublime preghiera di Gesù (il Padre Nostro) è tipica della preghiera ebraica, non soltanto nelle parole che la compongono (ogni frase del Padre Nostro ha l'equivalente nel libro ebraico di preghiere, il « Siddur ») ma anche nella struttura. La prima parte della preghiera consiste in benedizioni ascendenti nelle quali Dio è esaltato in quanto Padre. Chi prega esprime la nostalgia missionaria per il tempo nel quale il Suo Nome sarà glorificato ed il Suo regno instaurato. Nella seconda parte, egli implora quel flusso discendente di benedizioni che è naturale a un Dio Padre dispensare: pane, perdono, liberazione. Tra queste due parti, un versetto « cerniera » esprime il desiderio che il cielo e la terra si corrispondano.

Il desiderio di questa armonizzazione tra il cielo e la terra attraversa tutta la liturgia dello Shabbat, che invariabilmente inizia con gli stessi termini di lode a Dio e di nostalgia del Suo Regno. Secondo l'interpretazione rabbinica, il Sabato è una anticipazione del Regno in quanto libera ogni creatura (ivi compresi gli animali) dal lavoro dei giorni ordinari e arriva fino all'esclusione di ogni allusione alla malattia, alla guerra, alla morte. L'armonia universale al momento della creazione è ricordata ed esaltata in quanto intenzione di Dio. Il settimo giorno, giorno di pace, lo Shabbat, è così situato all'inizio e alla fine dei tempi. li tema di questa pace universale (Shabbat Shalom) domina la liturgia. Questo sentimento di pienezza e di unità deve imprimere la sua impronta nell'ascolto della parola di Dio in Sinagoga e nel pasto festivo di ogni focolare. Le preghiere dei pomeriggio di Shabbat considerano certo che questo stato di perfezione non si è ancora realizzato e i salmi di pellegrinaggio che segnano la chiusura della giornata indicano che l'umanità non è ancora arrivata a Gerusalemme, che essa è ancora in cammino verso la realizzazione di una società santa.

Le grandi feste ebraiche, illuminano in diversi modi la continuità del cammino verso la pienezza dei tempi. Così la Pasqua (Pesah) che celebra la liberazione dalle catene della schiavitù, il cammino verso la terra promessa, la Pentecoste (Shavuoth), che celebra il dono della Torah, la parola di Dio considerata come sorgente di vita, fonte tra la Sua trascendenza e la Sua presenza immanente; Succoth e festa dei Tabernacoli. festa di riconoscenza, festa di adunanza. Le feste solenni del nuovo anno e del Perdono (Rosh Ha-shana e Yom Kippur) testimoniano che la condizione umana non e altro che questo cammino ed esprimono questa visione in termini di esperienza di peccato, di pentimento, di giustizia di Dio, del Suo amore e dei Suo perdono.

Torah e Vangelo

Il termine ebraico « Torah » è abitualmente tradotto da « Legge », ma un significato più esatto della parola sarebbe « insegnamento » o « istruzione ». Nel Giudaismo, Torah è il termine impiegato per indicare il Pentateuco e, per estensione, la « Via » sulla quale è impegnato il Giudaismo, il suo modo di vivere l'alleanza con Dio (Halakha). La Torah è dunque intesa come volontà rivelata di Dio, la risposta che Dio, di rimando, attende dal popolo che ha liberato e col quale ha stabilito un'Alleanza eterna che non può essere infranta.

Gesù e la Torah

Gesù ha vissuto secondo la Torah e ha preso parte a discussioni sul suo significato. L'autorità della persona di Gesù e il carattere unico del suo insegnamento sono evidenziati nei testi evangelici. Alcuni brani evangelici riportano discussioni tra Gesù e gli altri ebrei che sembrano gravitare attorno all'autorità che Gesù ri- vendicava in quanto interprete della Torah. Gesù accettava e osservava la Legge (cf. Gal.4,4; Luca 2,21-24), predicava il rispetto della Legge e la sua messa in pratica (Mat.5,17-20). Non è dunque mai giustificabile presentare l'insegnamento di Gesù come se fosse in opposizione fondamentale alla Torah. La realtà dinamica che costituisce la Legge ebraica non deve mai essere descritta come « fossilizzata » o ridotta a un « legalismo ». Sarebbe fare una lettura sbagliata, una radicalizzazione di certuni passaggi polemici del Nuovo Testamento, staccandoli dal loro contesto e dalla loro primitiva intuizione (vedere più indietro: Farisei e Sadducei e Vangeli e Scritture ebraiche).

San Paolo e la Legge

San Paolo ha affermato che la Legge non aveva valore di obbligo per i Gentili che erano stati ammessi all'Alleanza attraverso l'azione di Dio in Gesù, ma d'altronde non ha mai suggerito che la Legge (Torah) avesse cessato di rappresentare la volontà di Dio per il popolo ebraico. Nell'Epistola ai Romani (9-11) egli svela il suo amore profondo per il suo popolo (9:3) e insiste sul fatto che Dio non ha in alcun modo respinto gli Ebrei (11: 1-12). Paolo afferma che questa relazione persiste e resta valida dopo la fondazione della Chiesa perché « i doni di Dio sono senza pentimento » (11: 9). Anche se Dio ha manifestato la sua misericordia nel permettere ai Gentili di divenire « figli di Dio » nel Cristo (9:6-18), gli Israeliti suoi « fratelli secondo la carne » possiedono « l'adozione, la gloria, le alleanze, il culto e le promesse » (9:4).

 Scopo della catechesi

La catechesi deve mettere chiaramente in evidenza il fatto che Ebrei e Cristiani sono compartecipi nel progetto di Dio e che questa realtà deve riflettersi nei loro rapporti. Lo scopo della catechesi, secondo le Note dei Vaticano, è quello di condurre lo studente ad « una maggiore coscienza che il popolo di Dio dell'Antica e della Nuova Alleanza tende verso fini analoghi: la venuta o il ritorno del Messia - anche se si parte da due punti di vista differenti. Trasmessa abbastanza presto dalla catechesi, una simile concezione educherebbe in modo concreto i giovani Cristiani a dei rapporti di cooperazione con gli Ebrei che vadano al di là del semplice dialogo ». (Note, 11: 10-11).

Presentazione della passione di Gesù

Bisogna che la catechesi fornisca gli elementi capaci di portare lo studente ad una percezione corretta della morte di Gesù. Allo stesso modo della totalità del Nuovo Testamento, i racconti della Passione nei quattro vangeli non sono dei rendiconti di avvenimenti storici da parte di testimoni oculari. ma delle riflessioni a posteriori, con motivazioni diverse, sul significato della morte di Gesù e della sua Resurrezione. Questi racconti recano uno stesso messaggio centrale e cioè che Gesù è morto « a causa dei peccati di tutti gli uomini ( ... ) e affinché tutti ottengano la salvezza » (Nostra Aetate, n. 4). Qualsiasi spiegazione che addossi agli Ebrei una responsabilità diretta o indiretta per la morte di Gesù non soltanto nasconde questa verità centrale, ma produce antisemitismo.

Ricostruzione degli avvenimenti della Passione di Gesù

Allo stato attuale della ricerca, l'erudizíone biblica non può ricostruire con assoluta certezza la concatenazione delle circostanze relative alla morte di Gesù. Vi è tuttavia nei quattro Vangeli un parallelismo a proposito di certi fatti essenziali, che colpisce: l'ultima cena con i discepoli, il tradimento di Giuda, l'arresto di Gesù fuori della città (le autorità temevano la popolarità di Gesù fra gli Ebrei), il suo interrogatorio da parte del Gran Sacerdote, la sua comparizione dinanzi a Pilato e la sua condanna, il suo supplizio da parte dei soldati romani, la sua crocifissione come « Re dei Giudei », infine la sua morte, la sua sepoltura, la sua Resurrezione. Questi avvenimenti suscitano presso gli evangelisti una unanimità che non ha equivalente in tutto il racconto della vita di Gesù.

Certe differenze di dettaglio riflettono i punti di vista personali dell'autore o del redattore al momento in cui la narrazione ha ricevuto la sua forma definitiva. Una comparazione fra i racconti della Passione può aiutare il catechista a separare la parte della visione particolare di ogni evangelista da quel che si riferisce alla percezione fondamentale di tutto quel che sta alla base del Vangelo. Per esempio la frase « E tutto il popolo gridò: 'che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli » appare solo in Matteo (27:25) mentre Marco e Luca distinguono la « folla » davanti a Pilato e la « grande moltitudine » che simpatizza per Gesù (Luca 23:27). Né Giovanni né Luca menzionano un processo ufficiale di Gesù dinanzi al Sinedrio, il che rende tale evento incerto sul piano storico. E così pure c'è stata una tendenza dai Vangeli più antichi (Marco in particolare) fino ai più recenti (Matteo e Giovanni) di far ricadere la responsabilità sempre più sui Giudei e sempre meno su Pilato, il quale era il solo ad avere il potere di ordinate una crocefissione (Gio. 18:31), aspetto sul quale Matteo insiste nella scena del lavaggio delle mani (Matt. 27:24). L'uso del termine generale « I Giudei » nel racconto giovanneo della Passione è tale da suscitare l'idea di una colpevolezza collettiva e deve essere accuratamente commentato.

Scene simili, trasmesse alla classe senza un supporto critico, possono provocare errori di interpretazione sul fondamento stesso dei racconti dei Nuovo Testamento e persino suscitare sentimenti ostili verso gli Ebrei, come la storia ha dimostrato fin troppo ampiamente. È indispensabile nella catechesi odierna rimettere nel quadro del contesto i passaggi che presentano il conflitto fra Gesù e diversi gruppi giudaici.

I Farisei e la crocefissione

È assolutamente necessario non dipingere i Farisei come gli avversari implacabili di Gesù. Su molti punti essenziali del suo ínsegnamento, la sua visuale non differiva dalla loro. Inoltre, i racconti della Passione non attribuiscono ai Farisei un ruolo significativo. In un passaggio di Luca si dice perfino che i Farisei tentarono di avvertire Gesù che gli Erodiani stavano tramando un complotto contro di lui (Luca 13.31).

Il ruolo di Pilato

I catechisti dovranno mettere in evidenza quel che ci è noto, a partire da fonti non bibliche, sulla natura oppressiva della dominazione romana in Giudea e sul carattere poco raccomandabile di Pilato. Il Governatore romano nominava i grandi sacerdoti del Tempio e poteva revocarli a suo piacimento. Praticamente Pilato ha avuto nelle sue mani il controllo della situazione dall'arresto fino alla crocefissione di Gesù. In verità Pilato è stato un Procuratore particolarmente autoritario e crudele. Ha crocefisso centinaia di giudei fuori da ogni regola di giustizia, tanto ebraica che romana. Gesù fu uno di loro, come ci raccontano i Vangeli. Pilato finirà per essere richiamato a Roma per render conto dei suoi atti di crudeltà e l'agitazione da essi provocata fra la popolazione giudaica. Ricordiamo che il Credo menziona soltanto Pilato - e non i Giudei - in connessione con la morte di Gesù. L'esperienza moderna di popoli oppressi da una occupazione totalitaria -- la Francia sotto i nazisti, l'Afghanistan sotto i Russi -- può essere presa come esempio concreto che faciliterà la comprensione delle tensioni fra collaborazionisti e patrioti.

 Scopo fondamentale della Catechesi    

Bisognerà mettere l’accento sul significato teologico degli avvenimenti e sulla nostra personale partecipazione in quanto peccatori (Catechismo del Concilio di Trento). I principi che sehuono hanno una speciale importanza per la preparazione della Quaresima e della Settimana Santa ( « Sussidi » IV)


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