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La
Bibbia in aramaico: il targum
La natura del targum
Caratteristiche
del targum
L'attualizzazione
storica del targum
Rapporti
fra sinagoga e chiesa nei sec. I-III
Tracce
di polemica anticristiana nel targum
Il targum e la preghiera
ll targum e il Nuovo Testamento
Conclusione
La Bibbia in
aramaico: il targum
Il secolo XX segna una delle più
importanti scoperte archeologiche mai fatte, il ritrovamento
dell'antica biblioteca di Qumran, presso il Mar Morto. Gli antichi
rotoli hanno fatto luce sulla fedele trasmissione del testo della
Bibbia ebraica; ci hanno permesso di conoscere non solo il pensiero
della comunità, ma anche i fermenti spirituali che circolavano
nell'ambiente giudaico da due secoli prima della nostra era fino
all'inizio della guerra che vide la distruzione di Gerusalemme e dei
tempio, 70 d.C.
A questa scoperta possiamo
accostarne un' altra, sinora limitata al mondo degli specialisti, ma
che integra i dati che la biblioteca di Qumran ci fornisce per
chiarire un periodo tanto importante sia per il giudaismo come per
il cristianesimo. La scoperta è avvenuta nel 1949 qui a Roma, nella
Biblioteca Vaticana. Il Prof. Alejandro Díez Macho, sacerdote
agostiniano spagnolo che lavorava all'edizione del targum di Onqelos
per la Bibbia Poliglotta di Madrid, trovò che un manoscritto era
erroneamente catalogato come targum di Onqelos. Esso proveniva dalla
Pia Domus Neophytorum, era stato copiato a Roma nel 1504 per
conto di Egidio da Viterbo, ministro generale degli eremiti di S.
Agostino e poi cardinale; compreso entro uno stock di 42 volumi entrò
nella Vaticana l'anno 1891 con la sigla Neofiti I, acquistati
nel 1896 per 4000 lire del tempo.
R. Le Déaut, "Jalons pour une
histoire d'un manuscript du Targum palestinien", Bib 48
(1966) 509-533, 527.
I l confronto con frammenti
di targum palestinese provenienti dalla Geniza del Cairo, pubblicati
da Paul Kahle nel 1930 o scoperti dallo stesso Díez Macho,
confermava che si trattava di un intero targum palestinese. Esso si
aggiungeva a quelli già conosciuti: il summenzionato targum di
Onqelos, proprio della tradizione babilonese, il Targum I di
Gerusalemme o dello Pseudo-Gionata, comprendente Pentateuco e
Profeti, e il cosiddetto Targum II di Gerusalemme o targum
Frammentario. Da questo ritrovamento ricevette nuovo impulso lo
studio dei Targum.
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La natura del
targum
La parola targum
significa "traduzione". Sembra dimostrato che la sua
origine venga dalla lingua ittita, da un vocabolo che significa
"annunciare", "spiegare", "tradurre".
Nel Talmud "targum" designa i testi biblici in lingua
aramaica: per "targum di Esdra" si intendono le parti
aramaiche del libro di Esdra; per "targum di Daniele" si
indicano le parti di Daniele in aramaico. In seguito per targum si
intese la traduzione della Bibbia in lingua aramaica per l'uso
liturgico della sinagoga. Quando cominciò quest'uso? La tradizione
rabbinica ne riconosce l'inizio con Esdra, quando a Gerusalemme,
alla porta delle Acque, fece la grande convocazione degli esiliati
rientrati in patria (Ne 8,1-12). La popolazione non parlava più
l'ebraico e nella sinagoga ci fu bisogno di tradurre il testo
sacro nella lingua allora parlata, l'aramaico.
Díez Macho. El Targum. Introductión
a las traducciones aramaicas de la Biblia,
Madrid 1982, 6.
A. Paul. Intertestament (Cahiers de l'évangile 14),
Paris 1975, 25-26.
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Caratteristiche
del targum
Caratteristica del targum è che la
parafrasi si integra col testo, in quanto ne vuol dare il senso,
attualizzandolo per i fedeli che frequentano la sinagoga. È frutto
della ricerca esegetica propria della scuola (Bet ha-Midrash), ma
trasmessa al popolo che si raduna in preghiera. Per questo
-
Cerca di essere chiaro,
comprensibile alla gente comune
-
Introduce delle glosse di
spiegazione
-
È esegesi di livello popolare
-
Elimina le contraddizioni
-
Combina passi diversi della
Bibbia, staccandoli dal proprio contesto per meglio attuarne il
senso
-
Attualizza dati storici e
geografici; riflette le idee dell'epoca e dell'ambiente del
traduttore; introduce parafrasi morali ed esortazioni
R. Le Déaut, La Nuit Pascale. Essai
sur la signification de la Páque à partir du targum d'Exode XII 42
(An B ibi 22), Rome 1963, 58-62.
Per sua natura il targum è
trasmesso oralmente ed è soggetto a continua mutazione. Ad un certo
punto trova una sua stesura scritta. Nella biblioteca di Qumran si
trovano frammenti di targum dei libri di Giobbe e Levitico. Per il
materiale più antico contenuto nelle recensioni scritte, giunte
sino a noi, il targum mostra di appartenere ad una tradizione comune
di ambiente palestinese anteriore alla seconda rivolta contro Roma.
A. Díez Macho, "En torno a la
datacion del Targum "Palestinense"", Sefarad 20
[1966] 11-16: O è del sec. II.
In TJI a Gen 21,21 ricorrono i nomi
di Adisha e Fatima, rispettivamente moglie e figlia di Maometto.
Quindi come "terminus ad quem" possiamo mettere l'epoca
araba per la fissazione scritta di questo targum, che è il più
eclettico.
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L'attualizzazione
storica del targum
Portiamo un esempio per vedere come
il targum attualizza "storicamente" la Bibbia. Prima
ricordiamo i dati biblici. Al momento della nascita dal seno materno
"uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e
fu chiamato Esaù" (Gen 25,25). Una volta cresciuti i due
gemelli, Giacobbe mostra un'attitudine casalinga, mentre Esaù
diventa cacciatore e vive nei campi. Un giorno che Giacobbe aveva
preparato una minestra di lenticchie, Esaù, tornato dalla campagna,
gli dice: "Lasciami mangiar di questa minestra rossa, perché
io sono sfinito" - Per questo fu chiamato Edom - (Gn 25,30). È
un'etimologia connessa con la parola "'adom" (rosso),
assonanza con Edom. Egli è l'antenato degli Edomiti (Gn 36,18-19;
cf Mal 1,2-4).
M. Harì, 1,a Genèse (La
Bible d'Alexandrie), Paris 1986, 209. Gen 25,25:
"rosso di colorito". gioco sonoro dell'ebr. fra 'adom (rosso)
e 'Edom, altro nome di Esaù.
Moshe David Herr, "Esau as Rome in the haggadah" (EJ 6,
858): con evidenza questa attribuzione appare dopo la rivolta
del 135.
Zeitling S., "The Origin of theTerm Edom for Rome and the
Christian Church", JQR 60 (1965) 262-263. Cohen Gerson
D., "Esau as Symbol in Early Medieval Thought", in. A.
Altmann, ed., Jewish Medieval and Renaissance Studies, Cambridge
Mass. 1967. 19-48: l'identificazione avviene all'epoca di R. Aqiba
(p. 26- 27).
Sappiamo che dall'epoca di Adriano
i rabbini identificano Roma con la figura di Esaù- Edom.
"Giuda b. Ilai ["tanna"
rappresentante della sua generazione. 130-160 d.C.] disse: Il mio
maestro Baruc [può essere una referenza criptica ad Akiva; o:
sia lui benedetto] era solito dire: 'la voce di Giacobbe grida per
quanto gli han fatto le mani di Esaù a Betar' " (J Ta'an 4:8;
68d; Gn R 65,21). Nel mese di agosto del 135 le legioni
romane presero l'accampamento di Bar Kokba a Betar, non lontano da
Betlemme.
Secondo On 27 l'anziano patriarca
Isacco chiese a Esaù di portargli della cacciagione per mangiare e
poi benedirlo prima di morire. TJI precisa che la data era il 14
nisan, vigilia della pasqua (v.1). Rebecca disse a Giacobbe di
preparare due capretti grassi, uno per la pasqua e l'altro per
l'offerta della festa (v. 9). Essa rivesti Giacobbe "delle
vesti preziose di Esaù, che provenivano dal primo uomo" (v.
15). Infatti prima dell'istituzione del sacerdozio di Aronne, la
funzione sacerdotale - per cui anche le vesti - spettava al
primogenito. Da Adamo in poi le vesti sacerdotali passavano in
eredità al primogenito. Giacobbe si presentò al padre e gli offrì
la carne. Gli mancava il vino: "l'angelo gliene procurò e offrì
del vino che era stato nascosto nei suoi grappoli sin dai tempi
dell'origine del mondo" (v.25).
Cosa dice il targum di Esaù? "Ora
la Parola del Signore gli aveva impedito di prendere della
selvaggina pura, ma egli aveva trovato un cane e l'aveva ucciso. Ne
preparò le carni..." (v. 3 1). Presentò la sua cena al padre.
"Isacco fu preso da grande tremore, quando udì la voce di
Esaù e alle sue narici giunse l'odore del suo piatto, simile
all'odore del fuoco della geenna" (v. 33).
Il targum dello Pseudo-Gionata
sottolinea la differenza fra i due fratelli. Giacobbe, rivestito
delle vesti sacerdotali offre cibo puro e adatto alla festa, mentre
Esaù prepara un cane, ritenuto animale immondo. li particolare del
cane è proprio di questo targum. Quindi è indizio utile per
conoscere il carattere, la provenienza ed anche l'epoca di questa
tradizione targumica. Nella religione greco-romana il cane serviva
come vittima nei sacrifici. A Roma veniva sacrificato nelle "lupercalia",
festa che scadeva a febbraio, e nelle "rubigalia" (25
aprile, giorno delle rogazioni). I cani rossi erano sacrificati a
Ecate trivia a beneficio dei morti. A questo aspetto può collegarsi
l'accenno del targum alla geenna. Se Esaù è un nome in codice per
Roma, la glossa rivela l'erudizione del targumista e la sottostante
polemica contro un uso pagano di Roma. L'aggiunta targumica risale
all'epoca in cui il paganesimo era la religione ufficiale
dell'impero.
Robert Hayward, "Targum
Pseudo-Jonathan to Genesis 27:31". JQR 84 (1993)
177-188.
P.-W. XIII,I818,1826-1827; VI, 2065: Hundeopfer für Genita Mana,
sacrifici ctnonici; Reinigung, "februatio". VI, 950-95
I: "robigo", ruggine; cani rossi o volpi come vittime per
allontanare la ruggine dai cereali (cf le rogazioni).
Non mancano altri
accenni contro Roma. Mentre erano ancora nel seno materno, i gemelli
si urtavano perché - dice la Bibbia - "diverranno due popoli e
il primogenito servirà all'altro" (Gen 25,23). La glossa di
Neofiti precisa: "perché il regno di Esaù (giunge) alla
fine, in seguito (verrà) Giacobbe: il suo regno non sarà distrutto
e non verrà meno per i secoli dei secoli". Chiaro è il
riferimento a Dan 7,14.
Nell'elenco dei discendenti di Esaù
si rammenta un certo Magdiel, che lo Pseudo-Gionata precisa essere
così chiamato "a causa del nome della sua città
"Torre-Potente", Roma (rwmy) la peccatrice (hayyabata')"
(TJI Gn 36,43).
Nel contesto dell'oracolo di Balaam
è predetta la fine dell'impero: "La loro fine sarà
l'annientamento e la loro distruzione [durerà] per sempre". Al
posto del nome di Roma la recensione di Neofiti mostra una volta una
omissione ed un'altra un'evidente abrasione (N Num 24,24). Anche se
il contesto del passo tratta di Roma pagana e non di quella dei
Papi, il codice di Neofiti preferisce eliminare il nome di Roma, che
è invece presente nelle altre recensioni.
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Rapporti
fra sinagoga e chiesa nei sec. I-III
Nei targum ci sono molti accenni
alla Roma imperiale, che dominava in quel tempo. Non ci permettiamo
anacronismi e distinguiamo Roma pagana da quella cristiana. Ci sono
degli accenni al movimento cristiano, sorto e diffuso in mezzo alle
comunità ebraiche della madrepatria? Alcuni autori del NT avvertono
la distinzione dal giudaismo (Mt, Gv, Eb). Il giudaismo iniziò il
processo di ostracismo dei cristiani dalla sinagoga con Rabban
Gamaliele II (80/90 fino al 110), patriarca dell'accademia di Jabne:
nella preghiera liturgica associò nella maledizione contro gli
eretici ("minim") anche i cristiani ("nosrim").
Segal Alan F., Two Powers in
Heaven. Early Rabbinic Reports About Christianity and Gnosticism
(SJLA 25), Leiden 1977,152. PBB 753/25.
L'esclusione dei cristiani dalla
sinagoga non avvenne immediatamente. Una lettera scoperta nelle
grotte del deserto di Giuda riporta l'ordine del generale in capo
Bar Kokhba di non recare noia a certi "galilei". Per
alcuni studiosi (Milik, Vermes) sono cristiani di origine ebraica.
El. F., "Bar Kokbba", EJ
4,237; P. Benoit, et al., DJD 11, Oxford 1961, 159-16 I.
Anche se non siamo certi
dell'identificazione di questi "galilei", abbiamo la
testimonianza di Giustino. Egli, nativo di Neapolis in Samaria,
scrive di essersi convertito alla fede cristiana per avere visto la
costanza dei martiri, periti durante la seconda rivolta contro Roma (Apol.
I,3 1). Un'altra prova: fino al 134 a Gerusalemme la sede
episcopale era tenuta da giudeo-cristiani, discendenti della linea
familiare di Gesù; trasformata la città in Aelia Capitolina,
subentrò come vescovo Marco, col quale iniziò la linea
gentilo-cristiana (Bagatti, 11,9).
B. Bagatti, Alle origini della
chiesa. II: Le comunità gentilo-cristiane (Storia e
attualità, 5). Città dei Vaticano 1981. GB 4058/5.
Sebbene fosse avvenuta la
distinzione e la separazione fra le due comunità, Giudei e
Cristiani vivevano sempre fianco a fianco. Un secolo dopo, abitando
a Cesarea, "Origene fu il primo dei Padri a rivolgersi ai
rabbini per aiuto: egli avvertì l'importanza di consultarli nella
questione della trasmissione della Bibbia e del canone". Tenne
anche discussioni pubbliche con i maestri della sinagoga. "Il
dialogo religioso era una preoccupazione del tempo. Il contatto con
gli ebrei non era difficile. I rabbini erano molto disposti [**] a
dibattere la loro causa in pubblico o a discuterne in privato"
(de Lange, Origen and the Jews, 134). "Ad Antiochia la
viva curiosità della famiglia imperiale vi incoraggiò dei
dibattiti fra dirigenti giudei e cristiani, includendo Origene"
(p. 12).
G. Bardy. Eusèbe de Césarée.
Histoire Ecclésiastique. Livres V-VII (SC 41), Paris 1955.,
p.120-121 (VI, XXI, 3-4).
Manlio Simonetti - Emanuela Prinzivalli. Storia della Letteratura
Cristiana Antica. Casale Monferrato (AL) 1999, 125:
"Origene fu anche convocato ad Antiochia presso Giulia Mamea,
l'imperatrice madre di Alessandro Severo (forse nel 231)".
I rabbini contemporanei ad Origene
erano R. Joshua b. Levi e Hoshaya, ma non sappiamo se questi fossero
"i saggi" cui fa riferimento Origene nelle sue opere.
Nicholas Robert Michel de Lange, Origen
and the Jews. Studies in Jewish-Christian Relations in Third-
Century Palestine (University of Cambridge Oriental Publications
Published for the Faculty of Oriental Studies), London - New York -
Melbourne 1978 (rist. dell'ediz. del 1976. p. 50). /P 522.25.
-, Origène: la lettre à Africanus sur l'histoire de Suzanne. Introduction.
texte, traduction et notes (SC 302), Paris 1983.
-, "Jewish Influence on Origene". in: H. Crouzel - G.
Lomiento - J. Rius-Camps, ed., Origeniana. Premier
colloque international des études origeniennes (Montserrat, 18-21
septembre 1973 (Quaderni di "Vetera Christianorum", 12),
Bari 1975, 225-242. P 360112.
R. Travers Herford, Christianity in Talmud and Midrash, Clifton,
New Jersey 1966 (rist.), 361-397 "Minim"-, Mann J., "Genizah
Fragments of the Palestinian Order of Service", HUCA 2
(1925) 306.
Grazie ad Origene, abbiamo dei dati
precisi per l'ambiente di Cesarea Marittima, la capitale della
regione. Origene, che morì verso il 255, vi tenne più volte
discussioni con rabbini, che egli chiama "saggi", "in
presenza di molta gente che poteva far "da giudice" (Contra
Celsum I,55). La base comune era la Scrittura: "Dico
questo al Giudeo, non perché come cristiano io nego fede ad
Ezechiele e ad Isaia, ma per convincerlo, attraverso le
testimonianze comuni alla mia ed alla sua fede" (I,45). Con
l'esperienza acquisita in queste discussioni, Origene avvertì il
bisogno di avere una buona preparazione sul testo. Per questo preparò
la sua ben nota Exapla. In una lettera ad Africano scrisse:
"Se noi ci prepariamo nelle nostre discussioni con loro, essi
non rideranno sprezzantemente - come è loro costume -, verso i
credenti gentili per l'ignoranza della giusta lettura che essi
possiedono" (Ep. Ad Africanum, 9).
S.T. Lachs, "R. Abbahu and the
Minim", JQR 60 (1970), 197-212; Lee I. Levine, Caesarea
Under Roman Rule (SJLA 7), Leiden 1975, 83. PB 753n.
[**]
luogo: nell'edificio chiamato (Be-Abedan/'Obedan)
Jastrow: "cacofemismo per [accademia],
prop. their place of ruin, cacofemismo per meeting-place,
gathering for idolatrous cure and performances connected with
idolatrous feasts (games etc.), which the Jews, under Hadrian,
were forced to attend... Transf. meeting place of early
Christians were religious controversies used to be held. A
Cesarea si tratta probabilmente dell'odeon.
Giuseppe Sgherri,
"Giudaismo", in: Adele Monaci Castagno (a c. di),
Origene. Dizionario: la cultura, il pensiero, le opere. Roma
2000, 200-206
Possiamo capire meglio il clima di
queste discussioni, da alcuni detti di R. Abbahu (V 309), il rabbino
più importante della scuola di Cesarea, attivo un po' dopo il tempo
di Origene.
Commentando la frase "Dio non
è un uomo da poter mentire", contenuta nell'episodio di Balaam
(Nm 23,19), egli spiega: "Se uno ti dice "io sono
Dio", mente; oppure "sono il Figlio dell'uomo", alla
fine se ne pentirà; se dice: "salgo al cielo", egli
promette, ma non si avvererà" (J Ta'anit II,1, 65b). È
evidente la polemica anticristiana. Nonostante i dibattiti
dottrinali, che a noi possono sembrare "fatti per il semplice
gusto di discutere con bisticci di parole, ma non lo erano, ( .... )
non impedivano di mantenere buone relazioni con coloro che, come R.
Abbahu, avevano la mente aperta e liberale" (Bagatti, I,116).
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Tracce di polemica anticristiana
nel targum
Nel targum la polemica è molto più
velata. Nel II secolo il marcionismo divulgò dottrine, in cui si
riteneva la divinità presentata dall'AT cattiva, falsa, creatrice
di cose cattive, capace di spingere a commettere furti ed altre
iniquità. Il targum non prese posizione direttamente contro
l'eresia sorta fra i cristiani, ma sembra l'abbia tenuta presente,
sottolineando temi tipici della fede giudaica:
Dio è misericordioso (TJI Gn
7,4; 7, 1 0; 38,26 ecc.);
premia il bene e castiga il male (Gn 3,24; 27,33; 46,17;
49,1 ecc.);
esiste un giudizio universale alla fine del mondo (Gn 4,7; 39,16;
49, 1 5 ecc.).
Aspetti polemici anticristiani
possiamo coglierli nell'esegesi che il targum fa della Scrittura.
:: Negli apocrifi dell'AT, ma anche
fra i cristiani, si riteneva che Enoc non fosse morto, ma assunto
direttamente nel mondo di Dio. R. Abbahu dimostrò che dal testo
biblico si deduce che anche Enoc morì (Gn R. XXV,I). Un
secolo prima di lui anche R. Josè b. Halafta (T3, circa 130-160:
uno dei discepoli di R. Aqiba) pose la stessa questione. La glossa a
N Gn 5,23 concorda con questi maestri e scrive: "egli morì e
fu levato dal mondo".
:: TJI Gen 1,2 ed 8,1 parafrasa il
termine ebraico con
"spirito di misericordia", sembra per non favorire
l'interpretazione cristiana che usava il passo come prova della
Trinità.
:: Eb 7,11 si basa su Gen 14,18 per
provare che il sacerdozio levitico doveva essere sostituito da
quello "secondo l'ordine di Melchisedek". TJI aggiunge che
questo antico personaggio fu sacerdote "in quel tempo",
quindi in seguito non lo fu. Nedarim 32b riporta una
tradizione di R. Ishmael che interpreta Gen 14, 1 8 e applica il
salmo 110, 1 ad Abramo: il sacerdozio di Melchisedek passò ad
Abramo.
F. Manns, "Les Rapports
Synagogue-Eglise au Debut du IIe Siècle Après J.-C. en
Palestine", LA 31 [1981] 105-146, cit. 12 i.
G.J.J., Petuchowski, "The Controversial Figure of Melchisedek",
HUCA 28 (1957) 136.
A. Carmona Rodríguez, " La figura de Melquisedec en l a
literatura targúmica. Estudio de las traducciones targúmicas sobre
Melquisedec y su relacción con el Nuevo Testamento", Est
bibl 37 (1978) 79-102.
:: Antichi scritti cristiani
prendono il numero 318 dei servi di Abramo (Gen 14, 14) come
riferimento al nome di Gesù e alla croce (Bam. 9.8; Clem., Str.,
6,1 I); TJI se ne serve per esaltare Eleazaro, "più forte
di 318 armati".
:: Un ultimo esempio: seguendo la
più antica tradizione rabbinica, l'Apocalisse di Giovanni esclude
dall'elenco delle dodici tribù di Israele la tribù di Dan, perché
considerata fautrice di idolatria (cf Apc 7,5-8). TJI a Gen 49,16
parafrasa: "Fra quelli della casa di Dan deve sorgere un uomo
che giudicherà il suo popolo con giusti giudizi; le tribù di
Israele insieme gli obbediranno".
Sono alcuni esempi della disputa
fra le due comunità riguardo all'interpretazione della S.
Scrittura. Tutte le polemiche fra ebrei e cristiani di questo
periodo e in seguito non sono prese di posizione gratuite, ma
vertono sul significato del testo biblico (Lachs, 206.209).
Lachs Samuel Tobias, "Rabbi
Abbahu and the Minim", JQR 60 (1969-1970) 197-212.
E. Levine, "Some Characteristics of Pseudo-Jonathan Targum to
Genesis", Aug 11 (1971) 89-103.
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Il targum e la preghiera
Lasciando da parte la polemica,
vediamo un aspetto caratteristico del targum, la preghiera. Il
targum al Pentateuco si riferisce alla preghiera o a persone che
pregano in circa 220 versetti. Innumerevoli sono i sinonimi della
preghiera come: cercare o chiedere istruzione davanti al Signore,
chiedere o cercare misericordia dal Signore, benedire, gridare,
pregare davanti al Signore, supplicare, avvicinarsi, prostrarsi,
adorare, servire, stare davanti, intercedere, stendere o alzare le
mani, meditare, prostrarsi, chiedere aiuto, ascoltare.
Inoltre grandi figure bibliche
mostrano il valore della preghiera. Adamo si rivolse al Signore
all'inizio: "Te ne prego, per la misericordia [che sta] davanti
a te, Signore, che noi non siamo considerati come le bestie, che
mangiano l'erba che si trova sulla superficie dei campi! Noi
lavoriamo e, grazie all'opera delle mie mani, ci nutriremo dei
frutti della terra. In questo modo [Dio] distinguerà i figli degli
uomini dalle bestie" (TN Gn 3,18, cf TJI).
Maber M., "The Meturgemanim
and Prayer", JJS 41 (1990) 226-246; 44 (1993) 220-235.
L. Smolar - M. Aberbach, Studies in Targum Jonathan to the
Prophets. New York 1983, 164-169.
La tradizione giudaica dà grande
importanza al "merito dei padri". PSJ ci presenta Mosè
che, sceso dal monte e vista la collera di Dio sul punto di
sterminare il popolo, "invocò il Nome grande e glorioso e fece
tornare dalla tomba Abramo, Isacco e Giacobbe che si misero in
preghiera davanti al Signore": con la preghiera di
intercessione dei patriarchi si evitò la distruzione del popolo (Dt
9,19). Abramo fu il primo a intercedere per altre persone (Gn
18,22ss; 20,17). Il targum ricorda più volte la sua preghiera di
intercessione (Gn 12,8; 13,4; 14,22; 17,3, 17,20, 18,22; 19,27
ecc.). In occasione dei sacrificio di Isacco sul monte Moria, Abramo
"rese culto e pregò". Dopo aver ricordato al Signore di
non aver avuto nessuna esitazione a obbedirgli, domanda a favore dei
discendenti di Isacco: "Quando i suoi figli si troveranno in
tempi di calamità, ricordati dell’ ‘aqeda' del loro padre
Isacco e ascolta la voce della loro supplica. Esaudiscili e liberali
da ogni tribolazione" (NOn 22,14).
Infine ricordiamo Aronne. che dopo
aver offerto differenti sacrifici nella tenda dell'incontro,
"alzò le sue mani in preghiera" verso il popolo.
"Alzare le mani" è una formula usata in riferimento alla
benedizione sacerdotale (NLev 9,22). In occasione della mormorazione
del popolo contro Mosè ed Aronne, il Signore minacciò di
distruggere il suo popolo. I
due intercedettero in suo favore,
Aronne fece l'espiazione con l'incenso "e stette in
preghiera nel mezzo e con l'incensiere fece una separazione fra
i morti e i vivi" (TJINM 17,13). Questa menzione della
preghiera può riflettere l'attitudine di una certa
spiritualizzazione del sacrificio. Il targum dà grande valore alla
preghiera; coglie ogni occasione per inculcarla al popolo, mostrando
come la praticarono i grandi del passato e come essa è bene accetta
a Dio. La comunità della sinagoga è una comunità che prega in
ogni situazione della vita.
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ll targum e il Nuovo Testamento
Gli esegeti hanno già messo in
evidenza molti punti del NT, che usa il linguaggio religioso
riportato nella tradizione targumica. Non solo, il NT si chiarisce
attraverso le tradizioni targumiche. Il Nome divino "Colui che
è, che era e che sarà" è modificato nell'Apocalisse in
"Colui che è, che era e che verrà". Sempre
nell'Apocalisse ricorre la frase "la seconda morte",
tipica del targum. Nel vangelo di Matteo: "avete sentito che vi
fu detto" (Mt 5,21 e TOn 9,6); in Luca: "benedetto il
ventre che ti ha portato " (Le 11,27 e TGn 49,25); "Siate
misericordiosi come il vostro Padre è misericordioso" (Le 6,36
e TJI Ley 22,28); nei Sinottici: "con la misura con cui
misurate sarà misurato a voi" (Mt 7,2; Mc 4,24;
Lc 6,38 e T Gn
38,26). Alcuni punti difficili del NT possono essere chiariti
attraverso il ricorso al midrash contenuto nel targum, p.c. il velo
di Mosè e il velo rimosso mediante la conversione (2Cor 3,7-4,6 e
TEs 33 e 34; TJI Nm 7,89). La difficile espressione "il Signore
è lo Spirito" (2Cor 3,17) diventa chiara, confrontandola con
il midrash secondo il quale lo Spirito rivelava i decreti di Dio
nella tenda dell'incontro (TJI Nm 7,89; Es 33,11.20).
Gustav Dainian, Die Worte Jesu, Leipzig
1930, ed.2.
M. McNamara. The New Testament and the Palestinian Targum to the
Pentateuch(Aß 27), Rome 1966.
R. Le
Déaut, "La
tradition juive ancienne et l'exégèse chrétienne
primitive", RHPHR 51 (1971) 31-50.
Possiamo risalire anche allo strato
più antico del vangelo per chiarirlo con il targum. Nel vangelo
ricorre l'espressione "regno di Dio" senza mai spiegarne
il contenuto. Da un secolo fino agli anni più vicini a noi hanno
attribuito l'espressione all'ambiente apocalittico. In questo genere
di letteratura non ricorre mai l'espressione. Alcuni l'hanno
attribuita al mondo religioso rabbinico, per cui si riferirebbe
"all'autorità divina che uno accoglie su di sé mediante
l'obbedienza". È un concetto morale proprio del rabbinismo
tardivo, ma non del tempo di Gesù (Chilton, 99). Pur con la
riflessione di tanti studiosi, non si percepisce il concetto base
della predicazione di Gesù.
ll Chilton ha identificato 8
ricorrenze nel targum dei profeti, che sebbene sia una compilazione
tardiva, mostra di essere in sintonia con il contenuto della frase
evangelica. Per es. TZc 14,9:
Il testo ebraico dice: "E il
Signore sarà il re su tutta la terra".
Il Targum rende così la frase: "E il regno del Signore sarà
rivelato su tutti gli abitanti della terra".
Troviamo gli stessi elementi nel
targum a Abdia 21:
Il testo ebraico dice: "E il
regno sarà del Signore".
Il targum: "E il regno del Signore sarà rivelato su tutti
gli abitanti della terra".
Evidente che la frase è
stereotipa: per quel tempo era comune. Il termine aramaico
"regno" ()
vien usato per l'ebraico,
a cui si aggiunge il predicato (itpe. di)
che enfatizza la sua futura manifestazione. Il regno di Dio è una
realtà che già esiste: basta che venga manifestato. Il testo
biblico prospetta questo evento per il futuro e così fa il targum.
La tradizione rabbinica riporta un
detto di R. Eliezer b. Hyreanos (Mechilta, ed. Horovitz-Rabin,
Jerusalem 1960, p. 186, I. 5-6), discepolo di R. Johanan b. Zakkai,
secondo il Neusner attivo in Galilea al tempo di Gesù.
Afferma R. Eliezer: "E il
Luogo sarà uno soloper
l'eternità ()
e il suo regno ()
sarà per sempre ()".
Segue la citazione di Zc 14,9.
Questa attestazione ci riporta ai tempi di Gesù.
La maggioranza delle citazioni
provengono dal targum di Isaia: 31,4; 40,9; 52,7, che confermano
l'espressione già vista. Nell'ultima citazione il testo ebraico
dice: "Il vostro Dio regna", il targum spiega: "il
regno del vostro Dio è rivelato".
La frase di Is 40,9 è seguita
dalla specificazione "in potenza". In Mc 9,1 anche
Gesù parla di regno di Dio che viene,
"in potenza". In tutti questi passi si tratta di
un'attività di Dio che interviene a favore del suo popolo. La
predicazione di Gesù è riassunta nell'espressione "il regno
di Dio è vicino" (Me 1,15) e questo è anche l'annuncio
affidato ai Dodici, inviati in Galilea (Mt 10,7). La comparazione
dei testi targumici prova che l'espressione equivale a quella
ebraica 1513, re. Non afferma la sovranità di Dio in generale,
quanto un suo preciso intervento da re nei fatti umani. Il regno è
l'autorivelazione di Dio. Il Chilton commenta: per il targum di
Isaia come per Gesù: "regnum
Dei Deus est".
Chilton B.D. – Targumic
Approaches to the Gospels. Essays in the Mutual Definition of Judaism
and Christianity (Studies in Judaism), Lanham, MD 1986., 99-107.
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Conclusione
All'inizio della nostra era e nello spazio
di pochi decenni il popolo ebraico subì grandi prove. Nel 70 fu
distrutta Gerusalemme e il tempio. Negli anni 115-117 la popolazione
ebraica si sollevò nelle regioni della Cirenaica, dell'Egitto e a
Cipro, provocando la repressione di Traiano con decine di migliaia
di vittime.
Victor A. Tcherikover - Alexander
Fuks, Corpus Papyrorum Judaicarum, I. Cambridge, Mass. 1957.
86- 87. EPP 8011.
Nel 133-135 la Giudea insorse
contro Roma e l'imperatore Adriano scacciò gli abitanti dalla
Giudea, ricostruì Gerusalemme come città pagana coi nome di Aelia
Capitolina, proibì la circoncisione, fece bruciare i testi sacri,
uccise i maestri più ragguardevoli.
Il Giudaismo antico è nato dalla
Scrittura ed è portatore della Scrittura. Dopo queste grandi
sventure, fu per merito dei rabbini che la comunità giudaica
continuò ad esistere come comunità religiosa e nazione. Nel 200
abbiamo la compilazione della Mishna (dal verbo "shana",
ripetere: in senso stretto significa imparare ciò che è tradizione
orale mediante ripetizione). Le norme della Mishna con il commento
dei maestri successivi (Amoraim), dette origine al Talmud (dal
verbo "lamad", imparare), cioè "studio":
abbiamo quello detto di Gerusalemme, frutto dell'attività delle
scuole palestinesi, e quello di Babilonia, frutto delle accademie di
Mesopotamia. Tra gli scritti rabbinici del sec. II d.C. collochiamo
anche la messa per iscritto del materiale targumico palestinese.
Sempre nel corso del II sec. d.C.
in Palestina avviene la distinzione e la separazione fra le comunità
giudaica e cristiana. Il targum riporta solo pochi cenni di polemica
riguardante l'interpretazione di alcuni passi biblici. La polemica
è molto sfumata. Si coglie soltanto paragonando l'interpretazione
biblica targumica con quella differente offerta dalla letteratura
cristiana.
Tra il 70 e il 135 entro il
giudaismo ci fu un'aspra lotta contro le tendenze spirituali che ne
minacciavano l'esistenza. Anzi ci dobbiamo portare ad una data
anteriore. Negli anni 40 dell'era cristiana nelle sinagoghe di Roma
le discussioni furono tanto forti da turbare l'ordine pubblico. Per
questo fatto l'autorità civile espulse tutti gli ebrei dalla
capitale. È celebre il passo di Svetonio (Vita Claudii 25,4):
"Judaeos assidue tumultuantes impulsore Chresto":
l'espulsione avvenne probabilmente nel 49 d.C. e viene ricordata
anche negli Atti degli Apostoli (At 18,2).
Nel I I
sec. abbiamo il Dialogo
con Trifone di san Giustino martire. Nell'epoca antica il
dialogo era un genere letterario per affermare le proprie tesi.
Comportava antagonismo, polemica. In quest'opera le descrizioni del
carattere giudaico sono meno che benevoli, arrivano anche all'ínvettiva.
Lo stato sociale, cui era relegato il cristiano, era allora al
livello più basso della società. Uno scrittore cattolico
americano, il Martin, si chiede se questo possa spiegare il
fenomeno. L'antagonismo porta ad un profondo sentimento di
autogiustificazione, ma anche ad un forte rigetto dell'altro.
Però Origene trasse molto profitto
dal contatto con i maestri della sinagoga. Il suo insegnamento giovò
alla chiesa d'Oriente mediante le traduzioni di Rufino e Girolamo
anche alla chiesa di Occidente. Nel 1993 la Pontificia Commissione
Biblica pubblicò un documento, che si intitola:
"L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa". Fra gli
approcci basati sulla tradizione ricorda le tradizioni
interpretative giudaiche (1,C2). Il Giudaismo tuttavia - ce lo prova
la breve scorsa sul targum -, non ci offre solo un metodo
interpretativo: è l'ambiente naturale e spirituale di Gesù, dei
suoi primi discepoli e della comunità primitiva.
La polemica religiosa è presente
anche negli scritti del Nuovo Testamento. L'unico testo che ne è
esente è la lettera ai Romani cap. 9-11. Gli storici cercano di
capire l'occasione che, provocò Paolo ad esprimersi in questo modo.
Sotto Nerone furono revocate le misure restrittive e si verificò un
rimpatrio degli esuli, compresi quelli di fede cristiana. Qualcuno
pensa che il gruppo dei giudeo-cristiani fosse in minoranza rispetto
ai convertiti dal paganesimo. Forse non erano accettati nella loro
singolarità culturale- religiosa. Come Paolo, che non era mai stato
a Roma, poteva conoscere questa situazione, per sentire il bisogno
di farne uno dei temi principali della lettera? Dobbiamo invece
pensare con la sua esperienza missionaria e con la sua riflessione
abituale si è posto il problema teologico dei suoi correligionari
israeliti non arrivati ad accettare l'annuncio del
vangelo. La loro
situazione rientra nel piano di salvezza di Dio e porta beneficio a
tutte le altre nazioni. Ma Dio non cessa di amare i discendenti dei
Patriarchi, non si pente delle promesse fatte e alla fine salverà
per pura grazia. Intanto Paolo "come pastore d'anime vigila
sulle comunità cristiane perché la loro fede non degeneri in
orgoglio religioso, ma si mantenga nella sua purezza sotto il segno
della grazia e della misericordia di Dio". Così commenta
Giuseppe Barbaglio (Le lettere di Paolo, vol. 2, Roma 1990,
ed. 2, p.400) e l'avvertimento vale anche per noi, comunità di
oggi. In una allocuzione ai delegati delle conferenze episcopali ed
esperti riuniti a Roma per studiare le relazioni tra Chiesa
cattolica ed ebraismo Giovanni Paolo II disse: "Occorrerà fare
in modo che l'insegnamento, ai diversi livelli di formazione
religiosa, nella catechesi fatta ai bambini e agli adolescenti,
presenti gli ebrei e l'ebraismo non solo in maniera onesta ed
obiettiva, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma
ancor più con una viva coscienza del patrimonio comune" (6
marzo 1982).
Un documento della Commissione
Vaticana per i Rapporti con l'Ebraismo ricorda che la storia del
popolo eletto non si ferma al 70 d.C., ma continua "nella vasta
diaspora che permette ad Israele di portare in tutto il mondo la
testimonianza, spesso eroica, della sua fedeltà all'unico Dio...
conservando sempre nel cuore delle sue speranze il ricordo della
terra degli avi" (EV 9, 1615-1658, VI: 24 giugno 1985). Il
dialogo implica il rispetto per la fede dell'altro e delle sue
convinzioni religiose al fine di togliere il sospetto che si miri a
distoglierlo dal suo gruppo. Esso è mezzo per la conoscenza
reciproca e della ricchezza delle propria tradizione.
"I cristiani cerchino di
capire meglio le componenti fondamentali della tradizione religiosa
ebraica e apprendano le caratteristiche essenziali con le quali gli
ebri stessi sì definiscono alla luce della loro attuale realtà
religiosa". "Per evitare che la testimonianza resa a Gesù
Cristo appaia agli ebrei come un violenza, i cattolici dovranno aver
cura di vivere e di annunciare nel più rigoroso rispetto della
libertà religiosa", cercando anche "di comprendere le
difficoltà che l'anima ebraica prova davanti al mistero del Verbo
incarnato, data la nozione molto alta e molto pura che essa possiede
della trascendenza divina".
Orientamenti e suggerimenti per
l'applicazione della dichiarazione "Nostra aetate" (22
ott. 1974; nr.4) (EV 5, nr. 772-793).
La chiesa e la religione israelita
hanno coscienza di avere ricevuto una missione universale riguardo
alle nazioni. Israele e la Chiesa non sono istituzioni
complementari: la contemporanea esistenza di entrambi, tuttavia in
situazione di contestazione reciproca a livello religioso, pone un
problema teologico. L'esistenza di Israele è segno che il disegno
di Dio non è arrivato al compimento. Paolo ha dettato le linee di
interpretazione Del problema. A noi richiede coerenza con le comuni
origini, coscienza della propria identità che è dinamica, in
divenire e di fronte a Dio. L'ebraismo è dedicato alla
"santificazione del Nome", il cristianesimo prega
"sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno". Paolo
ci insegna ad essere fiduciosi nel futuro [e nel presente], nel Dio vivo "che
[è venuto] viene e verrà".
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