Visita del card. arcivescovo Dionigi Tettamanzi alla Sinagoga di Milano 
e incontro con la Comunità Ebraica (20 settembre 2003)
 
Chiesa Ambrosiana e comunità Ebraica 
Saluto del presidente, Ing. Roberto Jarach 
Riflessioni del Rav Giuseppe Laras
Israele "Radice santa" e "luce delle genti" card. Dionigi Tettamanzi



La Sinagoga di Milano


Card Tettamanzi Rav Laras



Chiesa Ambrosiana e Comunità Ebraica     
torna su
Mons. Francesco Coccopalmerio

    Sono lieto e onorato, interpretando anche i sentimenti degli altri componenti della commissione diocesana per l'ecumenismo e il dialogo, di poter formulare un saluto in questa distinta occasione della prima visita ufficiale dell'arcivescovo Dionigi Tettamanzi alla sinagoga maggiore di Milano. Tale visita s'inserisce felicemente in una ormai lunga serie di rapporti tra la Chiesa ambrosiana e la comunità ebraica di Milano e tra i loro massimi rappresentanti. Dobbiamo in primo luogo essere grati all'Onnipotente per questi rapporti di amicizia, rapporti che sono certamente non opera nostra ma puro dono suo.

    E come non ricordare, a lode del Signore, il primo incontro tra il rabbino Laras e il cardinale Martini nell'ottobre dell'anno 1990, oppure l'invito ai cristiani di Milano alla preghiera conclusiva dello Shabbat il 17 gennaio 1999 e l'invasione (è il caso di dirlo!) di quasi mille cristiani in questa sinagoga maggiore, esperienza ripetutasi l'anno seguente; come non ricordare le decine di incontri, in varie occasioni anche meno solenni, tra il rabbino Laras e vari rappresentanti dei cristiani per parlarsi e approfondire la reciproca conoscenza; o come non ricordare le lezioni di ebraismo tenute per qualche anno dal rabbino Kopciowski (di santa e felice memoria) nel seminario teologico di Milano. Ma l'elenco dei rapporti di amicizia sarebbe troppo lungo. Permettendomi però, un riferimento personale, non posso non ricordare i tanti gesti di affetto che ho ricevuto in questi anni da parte del rabbino Laras, a cui desidero in questa occasione esprimere i miei sentimenti di profonda stima e riconoscenza.

    Eminenza reverendissima, chi come me, chi come noi più direttamente e frequentemente a contatto con la comunità ebraica di Milano, ha potuto sperimentare in questi anni l'accoglienza dei suoi rappresentanti e specialmente del rabbino Laras, può testimoniarle che ci si trova bene, che ci si trova in famiglia e questa sua prima visita è certamente l'inizio di un rapporto di calda fratemità.


Saluto del presidente ing. Roberto Jarach      torna su

   È per me un grande onore, come presidente di questa comunità, accoglierla oggi in visita alla nostra sinagoga centrale, Hechal David u Mordechai, a 13 anni dalla prima visita ufficiale del suo predecessore cardinale Carlo Maria Martini, nel segno di una continuità di rapporti sempre improntati al dialogo e alla reciproca conoscenza.

    La nostra giovane comunità, nata solo nella prima metà dell'800, si è da subito inserita stabilmente nel tessuto sociale della città trovando accoglienza ed apertura da parte della cittadinanza e dei suoi governanti.

   A parte il tragico periodo delle persecuzioni razziali, la presenza ebraica ha segnato molti aspetti della vita cittadina sia nel pubblico che nel privato, nelle istituzioni, nell'industria, nelle professioni e nelle arti. Diversi membri della nostra comunità sono stati insigniti di riconoscimenti ed onorificenze pubbliche a testimonianza di una presenza di rilievo nel tessuto sociale ed hanno ricoperto cariche di prestigio.

    In particolare i rapporti tra la comunità ebraica e la diocesi milanese hanno visto momenti di intensi scambi e di notevoli sinergie nell'affrontare i maggiori problemi sociali di una città complessa, multiculturale e multietnica come la nostra.

    Abbiamo in particolare apprezzato, in questi primi mesi di insediamento del card. Tettamanzi alla guida della diocesi ambrosiana, la sua sensibilità ai problemi dei giovani, degli anziani e delle fasce bisognose della nostra società: la nostra comunità, oltre alla difesa dei valori culturali e religiosi della nostra tradizione, si occupa infatti dell'istruzione giovanile per il migliore inserimento nel mondo del lavoro, dell'assistenza agli anziani, sia domiciliare che nella casa di riposo gestita direttamente, del sostegno morale e materiale a tutti coloro che vivono situazioni di particolare disagio.

    Condividiamo i suoi appelli alla solidarietà ed alla necessità di valide guide spirituali e morali in un mondo in cui la tendenza è verso la perdita di valori e l'aumento dell'individualismo: questi concetti sono profondamente radicati nelle tradizioni e negli insegnamenti dei nostri maestri.

    Ed è in questo campo che le comunità religiose potrebbero unire gli sforzi per far riemergere nelle coscienze individuali i valori morali più genuini delle rispettive dottrine di fronte al materialismo crescente, in un clima di accoglienza e di rispetto reciproco. Ma, allargando i confini della nostra vita quotidiana non possiamo dimenticare le preoccupazioni di tutti noi ebrei della diaspora per la situazione di continuo pericolo e di minacce in cui vivono i nostri fratelli in Israele: molto può fare la Chiesa cattolica ed in questa occasione chiediamo anche a lei una sempre maggior attenzione verso quella pace giusta e duratura che è l'aspirazione di tutti noi.

    Le iniziative della curia e delle sue organizzazioni in comune con le comunità ebraiche, oltre a proseguire l'azione di monito sulle tragedie causate dal razzismo e dall'antisemitismo nel secolo scorso, dovranno cercare di portare avanti un discorso comune a sostegno del processo di pace a cui noi siamo tenacemente aggrappati.

    Sono certo che questa sua visita segnerà l'inizio di un lungo periodo di relazioni cordiali ed aperte al dialogo ed al confronto interreligioso che, attraverso la conoscenza reciproca e la ricerca di soluzioni condivise ai problemi della società, contribuirà allo sviluppo ed al miglioramento della qualità della vita nella nostra città.

    A nome di tutta la comunità ebraica di Milano le rinnovo l' apprezzamento per la sua decisione di venire in visita nella nostra sinagoga di via Guastalla, nostro centro spirituale e formulo i più sinceri auguri di successo della sua missione pastorale.



 Riflessioni del rav. Giuseppe Laras      torna su

    Eminenza card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano: le dò di cuore il benvenuto della nostra comunità nella sinagoga maggiore di Milano, centro idealmente propulsivo e ispiratore delle nostre attività religiose e sociali. La sua visita cade in tempò di Teshuvà o di Penitenza in questa quasi vigilia del Kippur o Digiuno dell'Espiazione. La Teshuvà vale per tutti e urge per tutti. Ma che cos'è questa Teshuvà? È una forza che converte al bene, che trasforma le nostre persone, restituendole, rigenerate, a Dio e ai nostri simili, chiunque essi siano.

    Parlando di Teshuvà, richiamiamo automaticamente e fatalmente un'altra straordinaria forza propulsiva: la fede in Dio. Se, infatti, difettasse la fede, come si potrebbe fare Teshuvà? Ma, parlando di fede, ci viene immediatamente alla mente e al cuore l'immagine di Abramo, capostitipe e fondatore, se così si può dire, della religione ebraica e padre comune dei fedeli delle tre religioni monoteiste.

    Il ricordo del patrimonio umano e spirituale di Abramo nostro padre deve animare e sorreggere entrambe le comunità nei momenti particolarmente importanti e critici della nostra esistenza. lo vedo nella sua figura di arcivescovo di Milano, oggi in visita da noi, l'anticipazione simbolica di un futuro prossimo di collaborazione e d'impegno comune su alcuni dei grandi problemi esistenziali del nostro tempo, che, per meglio essere affrontati, necessitano di sinergie consapevoli e appassionate.

    In Malachia 3,23-24 leggiamo che l'evento messianico (in cui noi ebrei fortemente crediamo e che intensamente attendiamo) sarà preceduto e annunciato dal profeta Elia che "avvicinerà il cuore dei padri a quello dei figli e il cuore dei figli a quello dei padri". È l' annuncio della riconciliazione, non solo familiare e intergenerazionale, che caratterizzerà quei giorni, ma è l'annuncio di un reincontro e di una ricomposizione nell'unità di fede nel Dio unico fra popoli, creature e fedi diverse.

    A questo riguardo mi piace concludere con un'altra citazione, questa volta dalla letteratura talmudica (Eduyoth VIII,7): secondo Rabbi Jeshoshùa, "quando verrà Elia per annunciare la redenzione messianica universale non verrà per dichiarare chi è puro e chi è impuro, per allontanare gli uni e per avvicinare gli altri, ma solo e soltanto per avvicinare". Secondo altri Elia verrà solo per sedare e ricomporre divisione e dissidi fra persone e gruppi. Secondo altri, infine, verrà per mettere pace e concordia fra le creature nel mondo.

    Ecco, Eminenza: i sentimenti e gli auspici che in questo momento solenne avverto nel mio animo sono orientati verso la concordia e la pace. Sono certo che anche il suo impegno e la sua determinazione vanno e andranno anche in futuro nella stessa direzione. Che il Signore ci aiuti e ci protegga.



Israele "radice santa e "luce delle genti"          
torna su

    Vi sono molto riconoscente per avermi accolto in questa bellissima sinagoga. A pochi giorni dalla festa di Rosh Ha-shanàh per l'inizio dell'anno 5764 del calendario ebraico e a un anno dal mio ingresso come arcivescovo a Milano, sono qui, con particolare gioia umana e spirituale, per incontrare coloro che, in questa città, rappresentano - per tutto il mondo e, in particolare, per noi cristiani e per la nostra fede - il popolo che Dio ha chiamato ad essere luce per le genti. Ringrazio di vero cuore il presidente ing. Roberto Jarach e il rabbino capo prof. Giuseppe Laras per le parole che mi hanno gentilmente rivolto. Sono parole che esprimono certamente la loro personale sensibilità e apertura d'animo. Ma sento di doverle accogliere anche come espressione di quell'attenzione reciproca tra ebrei e cristiani che, a Milano, - come ha ricordato mons. Francesco Coccopalmiero - ha fatto in questi anni non piccoli passi in avanti, grazie al clima di dialogo che l'episcopato del card. Carlo Maria Martini e il rabbinato di rav. Giuseppe Laras hanno sapientemente favorito.

    Questi passi in avanti potranno consolidarsi e procedere ulteriormente nella misura in cui il dialogo tra cristiani ed ebrei si svilupperà senza confusione di identità: differenti, infatti, sono le nostre identità e distinte devono restare. Il dialogo vero, quello che cerchiamo, può avvenire nell'incontro schietto e fraterno, destinato a stimolare una maggiore autocoscienza degli uni nei confronti degli altri. In questa prospettiva, da parte nostra, come cristiani, non possiamo avere una corretta consapevolezza della nostra identità se prescindiamo da Israele, che è, secondo le stesse Scritture cristiane, la nostra "radice santa" (cf Rm 9-11 ). Tanto meno possiamo prescindere dalle Scritture ebraiche che, per noi, costituiscono il primo testamento della Bibbia. Per dono dell'Altissimo, noi le abbiamo in comune con voi che, come popolo, siete stati i primi destinatari delle promesse e della rivelazione del Dio Uno ed Unico. In questo senso, Giovanni Paolo Il ha più volte ricordato ai cristiani che voi ebrei siete il "popolo dell'alleanza mai revocata" perché "i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,29). È questa una verità straordinaria che purtroppo, lo dobbiamo confessare, nella storia cristiana, abbiamo spesso dimenticato!

    Le Scritture, che abbiamo in comune e che le nostre tradizioni accolgono come Parola di Dio, ci svelano l'agire del Signore Dio nella storia: egli sceglie Israele, separandolo dagli altri popoli per un servizio sacerdotale fra le genti (cf Es 19,5-6). Così, ad esempio, nel libro di Isaia, Israele è esplicitamente designato più volte con il titolo di servo del Signore (cf Is 41,8-9; 42,1; 43,10; 44,1-2.21; 45,4; 48,20; 49,3). In particolare, nel primo canto del servo, Dio si rivolge al suo popolo con queste parole: "Io il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre" (Is 42,6-7) E, nel secondo canto, è il servo stesso che parla così del Signore: "Mi ha detto: mio servo tu sei Israele, sul quale manifesterò la mia gloria... io ti renderò luce delle nazioni perche porti la mia salvezza fino all'estremità della terra" (15 49,3.6b).
    
Isaia, dunque, annuncia che la gloria di Dio si manifesta nel servizio del suo popolo chiamato ad essere luce delle nazioni, a portare la luce della Parola di Dio a tutte le genti. Quest'elezione di Israele, allora, è per una missione nel mondo e non viene meno nel tempo perché è fondata sulla fedeltà di Dio alle sue promesse. Dio, poi, intende radunare il suo popolo per manifestare in esso la sua santità davanti a tutte le genti, come afferma questo testo di Ezechiele: "Le genti sapranno che io sono il Signore quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi. Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo" (Ez 28,25-26). E, secondo Zaccaria, "popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a consultare e a supplicare il Signore... In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: vogliamo venire con voi perché abbiamo compreso che Dio è con voi" (Zc 8,20.23).
 È questo, anche agli occhi di un cristiano, il significato profondo della vocazione d'Israele. Questa vocazione non è un privilegio da invidiare o di cui appropriarsi per sostituirsi al popolo eletto. È, invece, una grazia ed un compito che il Dio Creatore e Signore della storia ha affidato al più piccolo di tutti i popoli della terra (cf Dt 7,7): una grazia e un compito a vantaggio di tutti, che responsabilizzano il popolo eletto e che, anche da parte di noi cristiani, vanno accolti con gratitudine verso l'Onnipotente. Mediante la testimonianza visibile della diversità di questo popolo, infatti, tutte le genti sono provocate a riconoscere l'alterità di un Dio che, nello stesso tempo, è trascendente e immanente, perché le sue vie e i suoi pensieri non sono come i nostri (cf Isaia 55,8-9) e perché il suo amore misericordioso di Padre si rende vicino e.si lascia trovare da chi lo cerca (cf Dt 4,7; Is 55,1-7).

    L'elezione d'Israele, pertanto, non è esclusiva ma rappresentativa. È il segno e la testimonianza della libera gratuità di Dio, che si sceglie un popolo perché la sua benedizione passi a tutte le genti, secondo la promessa fatta ad Abramo (cf Gen 12,3).

    Le Scritture del Nuovo Testamento, che la preghiera liturgica della Chiesa ripropone ogni giorno ai cristiani confermano e ribadiscono la prospettiva d'Israele come "luce per le genti": La attestano in tre cantici del Vangelo di Luca, nei quali rispettivamente, Maria Madre di Gesù, Zaccaria padre di Giovanni Battista e il vecchio Simeone al tempio parlano di Israele come servo E popolo del Signore Dio (cf Lc 1,46-56; 1,68-79; 2,39-32). In particolare, Simeone, uomo giusto e timorato di Dio che attendeva la consolazione d'Israele (cf Luca 2,25), prendendo tra le sue braccia il bambino Gesù, si rivolge a Dio esclamando: "I miei occhi hanno visto h tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le geni e gloria del tuo popolo Israele" (Lc 2,30-32).

     Certo, per i Vangeli e per noi cristiani, l' ebreo Gesù realizza la vocazione del suo popolo in un modo singolare. Per questo, noi professiamo che nella sua carne umana ha dimorato in pienezza lo Spirito divino del Padre, Dio d'Israele  Signore del cielo e della terra(cf Gv 1,14;Col 2,9). In lui riconosciamo il Messia ( cui attendiamo una nuova venuta perché, secondo la promessa di Dio, anche "noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2 Pt 3,13).

     Sappiamo che proprio da questa interpretazione della persona di Gesù deriva l'irriducibile diversità del fede cristiana rispetto a quella ebraica. E tuttavia siamo convinti che, come afferma Giovanni Paolo II, Chiesa popolo ebraico sono due comunità legate a livello dE la loro stessa identità e che entrambi rimangono nel comune attesa della realizzazione, in modo visibile pieno, dei tempi messianici. Il senso apportato dal Vangelo alle precedenti Scritture, infatti, non elimina ogni altro senso. È Gesù stesso ad affermarlo: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti" (Mt 5, 17). Per questo il cristiano dovrà sempre considerare che il popolo ebraico è stato chiamato ad essere, nella storia, luce per le genti.

    Non è certo mia intenzione esplorare qui ed ora il legame tra le due nostre identità: quella ebraica e quella cristiana. Desidererei, piuttosto, che lo scoprissimo, più che nella teoria, sul piano della prassi, dell'azione concreta, del dialogo per collaborare a realizzare almeno qualche aspetto della missione che accomuna ebrei e cristiani.

    Abbiamo in comune l' esigenza di essere liberati e di liberare dalla schiavitù dell'idolatria e dell'ignoranza del nome di Dio. Di fronte alle grandi sfide e ai gravi problemi del mondo di oggi, possiamo insieme contribuire alla ricerca di un'etica sapiente, fondata sull'insegnamento di Dio e sulle nostre secolari tradizioni, e, capace nel contempo, di coinvolgere anche le componenti laiche delle nostre comunità e di parlare alle coscienze dei nostri contemporanei.

    Nella fedeltà all' alleanza, che Dio rende sempre nuova secondo la promessa dei profeti, possiamo cooperare nel servizio di portare la luce della Parola di Dio agli uomini e alle donne di oggi: questo esige che tutti ci mettiamo in un permanente atteggiamento di Teshuvà, di ritorno a Dio.

    Il 10 del mese di Tishri, per voi è Yom Kippur, il giorno dell'espiazione e del perdono, il sabato dei sabati, la festa più santa e più solenne del vostro calendario religioso. Seguendo le indicazioni della Mishnà, voi osservate i precetti biblici della Torà, in cui Dio chiede al suo popolo di fare propiziazione e di umiliarsi (cf Lv 16,2931; 23,27-32; Nm 29,7).

    Ci sono sempre di esempio la volontà sincera di prendere coscienza dei peccati e delle insufficienze umane nel vivere l'elezione di Dio e la volontà di chiedere perdono a Dio e di fare festa per poter uscire, in forza della sua misericordia, dalle situazioni negative.

    Per la verità, tutti siamo peccatori, tutti dovremmo fare Kippur. Lo dovremmo fare anche noi cristiani, perché anche noi facciamo triste esperienza della nostra infedeltà alla chiamata di Dio.

    Sono qui, allora, a dirvi che noi cristiani dobbiamo fare Teshuvà. Sì, dobbiamo tornare a Dio e, con la forza del suo perdono, dobbiamo lenire le ferite che la nostra storia ha procurato a uomini e donne di altre fedi. Tra questi, primi fra tutti, ci siete voi e il vostro popolo, che siete il popolo dell'unico nostro Dio.

    È vero: la tragedia della shoà ha scosso le coscienze. Ma non ancora tutte. Anzi rimangono ancora, purtroppo, presenti i rischi di un antisemitismo sempre risorgente. Per questo, è necessaria una comune vigilanza, soprattutto tra gli ebrei e quei cristiani che hanno incominciato a prendere coscienza delle forme di antigiudaismo presenti nella propria tradizione.

    Mi è stato segnalato un fatto positivo: la Giornata dell'ebraismo, che i vescovi italiani da ormai tredici anni promuovono il 17 gennaio per favorire una positiva relazione tra cristiani ed ebrei, sarà celebrata dal prossimo gennaio nella nostra città non solo dai cattolici, ma da tutti i cristiani delle sedici diverse confessioni che aderiscono al consiglio delle Chiese cristiane di Milano.

    È soprattutto per la pace che ebrei, cristiani, uomini e donne di tutte le grandi religioni devono dialogare e operare insieme. Anzitutto con la preghiera e l'intercessione: come certamente sapranno, il mio predecessore, il cardinale Carlo Maria Martini, si è recato a Gerusalemme proprio per intercedere ogni giorno per la pace in quella città e in quella terra, in cui pulsa il cuore della storia. "Non ci sarà pace sul pianeta - egli non si stanca di dire - finché non ci sarà pace a Gerusalemme". Anche l'incontro tra i leader delle religioni è indispensabile affinché i popoli della terra cerchino vie di pace e non scontri di civiltà, scontri che i fondamentalismi religiosi alimentano.

    In questa prospettiva di pace, l'arcidiocesi ambrosiana all'inizio di settembre dell'anno 2004 ospiterà a Milano l'incontro internazionale interreligioso, promosso insieme dalla comunità di sant'Egidio.

    Desidero infine augurare di tutto cuore alla vostra comunità di Milano, come recita il mio motto episcopale "gioia e pace" per il nuovo anno appena iniziato e per le prossime grandi feste di Kippur e Sukkot che vi attendono. Il Signore benedica il vostro popolo perché sia sempre luce delle genti.

Card. Dionigi Tettamanzi


| home | | inizio pagina |