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Un Rabbino americano riabilita Pio XII
 

Pio XII debole o addirittura compiacente nei confronti di Hitler? La leggenda è assolutamente falsa. Pio XII andrebbe anzi collocato tra i «giusti» nel sacrario dedicato alla memoria della Shoah. A pensarla così non è un devoto cattolico, ma il rabbino David Dalin che racconta tutta la verità su Pio XII, smontando a una a una le accuse comunemente rivolte a quello che è stato considerato a lungo «il papa di Hitler».
Documenti e testimonianze mostrano come papa Pacelli sia stato fiero avversario dell’antisemitismo nazista fin dagli esordi, al punto che, prima di esser papa, gli stessi nazisti lo chiamavano «il cardinale che ama gli Ebrei». E numerose sono le testimonianze di parte ebraica che dimostrano il ruolo decisivo giocato da Pio XII nel sottrarre molti Ebrei alla persecuzione nazista. Tanto che al termine della guerra lo stesso rabbino capo di Israele, Isaac Herzog, ringraziò Pacelli per il suo operato.
Quella di Pio XII nemico degli Ebrei si rivela dunque una leggenda nera, costruita ad arte da Hitler in combutta con frange estremiste islamiche per screditare il papa e con lui la Chiesa Cattolica tutta. Un complotto legato al terrorismo islamico che ancora oggi minaccia la Chiesa e il mondo. Il suo recente libro è edito dalla Piemme

Pubblichiamo un suo testo apparso su "Cristianità"

DAVID G. DALIN, Cristianità n. 304 (2001)
Pio XII e gli ebrei. Una difesa

Ancor prima che Pio XII morisse, nel 1958, in Europa già veniva messa in circolazione l’accusa — un pezzo classico della propaganda comunista contro l’Occidente — che il suo pontificato era stato favorevole ai nazisti.

Dopo la morte del Papa l’accusa venne sommersa da un’alluvione di omaggi tanto da parte di ebrei quanto di gentili, per riaffiorare in occasione della prima, nel 1963, de Il Vicario (1), il dramma di uno scrittore tedesco di sinistra — già membro della Hitlerjugend, la "Gioventù hitleriana" — di nome Rolf Hochhuth.

Il Vicario, romanzesco e fortemente polemico, sosteneva che la preoccupazione di Pio XII per le finanze vaticane lo aveva reso indifferente di fronte alla distruzione dell’ebraismo europeo. Ma, ciononostante, il dramma di Hochhuth — sette ore di durata — ebbe un’eco notevole, scatenando una controversia protrattasi lungo gli anni 1960. E adesso, oltre trent’anni dopo, quella controversia è riesplosa all’improvviso e per ragioni non immediatamente evidenti.

Infatti, il termine "esplosa" non descrive adeguatamente l’attuale torrente di polemiche. Negli ultimi diciotto mesi sono usciti nove libri su Pio XII: Il Papa di Hitler. La storia segreta di Pio XII di John Cornwell (2), Pio XII e la Seconda Guerra mondiale negli Archivi Vaticani di Pierre Blet (3), Papal Sin di Garry Wills (4), Pio XII. Architetto di pace di Margherita Marchione (5), Hitler, the War and the Pope di Ronald J. Rychlak (6), The Catholic Church and the Holocaust, 1930-1965 di Michael Phayer (7), Under His Very Windows. The Vatican and the Holocaust in Italy di Susan Zuccotti (8), The Defamation of Pius XII di Ralph McInerny (9), e, più di recente, Constantine’s Sword. The Church and the Jews: A History di James Carroll (10).

Dal momento che quattro di essi — quelli di Blet, della Marchione, di Rychlak e di McInerny — prendono le difese del Papa, e due — i libri di Wills e di Carroll — si occupano di Pio XII solo nell’ambito di un più ampio attacco contro il cattolicesimo, il quadro può apparire equilibrato. Di fatto, dopo averli letti tutti e nove, si deve concludere che i difensori di Pio XII hanno gli argomenti più forti, soprattutto con Hitler, the War and the Pope di Rychlak, il migliore e più accurato fra i lavori recenti, un elegante volume di seria critica scientifica.

Eppure, quelli che hanno ottenuto maggior attenzione sono i libri che denigrano il Papa, in particolare Il Papa di Hitler, un volume ampiamente recensito e messo in vendita con l’avviso che Pio XII è stato "l’ecclesiastico più pericoloso della storia moderna", senza il quale "Hitler non avrebbe mai potuto [...] farsi strada". Il "silenzio" del Papa si sta affermando sempre più come stabile opinione nei media americani: "Il fatto che Pio XII abbia elevato l’interesse privato cattolico al di sopra della coscienza cattolica costituisce il punto più basso raggiunto dalla storia moderna del cattolicesimo", osservava quasi di sfuggita il New York Times recensendo il mese scorso Constantine’s Sword di Carroll.

Strano a dirsi, quasi tutti quelli oggi su questa linea — dagli ex seminaristi John Cornwell e Garry Wills all’ex prete James Carroll — sono cattolici non praticanti o del dissenso. Per i leader ebraici della vecchia generazione, la campagna contro Pio XII sarebbe stata un colpo. Durante e dopo la guerra molti ebrei famosi — Albert Einstein, Golda Meir, Moshe Sharett, il rabbino Isaac Herzog e innumerevoli altri — espressero pubblicamente la loro gratitudine a Pio XII. Nel suo libro uscito nel 1967 Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vittime del Nazismo (11) il diplomatico Pinchas Lapide — che era stato console israeliano a Milano e aveva intervistato alcuni italiani sopravvissuti all’Olocausto — dichiarò che Pio XII "fu lo strumento di salvezza di almeno 700.000, ma forse anche 860.000, ebrei che dovevano morire per mano nazista".

Ciò non significa che Eugenio Pacelli — il potente ecclesiastico che aveva prestato servizio come nunzio in Baviera e in Germania dal 1917 al 1929, e poi come Segretario di Stato vaticano dal 1930 al 1939, prima di diventare Papa Pio XII sei mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale — fosse amico degli ebrei come lo è stato Giovanni Paolo II. Né che Pio XII abbia avuto in definitiva successo come difensore degli ebrei. Malgrado i suoi disperati sforzi per mantenere la pace, la guerra ci fu e, malgrado le sue proteste contro le atrocità tedesche, il massacro dell’Olocausto ebbe luogo. Anche se con il senno di poi, uno studio accurato rivela che la Chiesa cattolica perse l’occasione d’influenzare gli eventi, sbagliò ad accreditare in pieno le intenzioni dei nazisti e fu contagiata in alcuni dei suoi membri da un occasionale antisemitismo, che avrebbe approvato — e, in qualche orrendo caso, anche ratificato — l’ideologia nazista.

Ma fare di Pio XII un bersaglio del nostro sdegno morale contro i nazisti e annoverare il cattolicesimo fra le istituzioni delegittimate dall’orrore dell’Olocausto significa mancare di comprensione storica. Quasi nessuno dei recenti libri su Pio XII e l’Olocausto è in realtà su Pio XII e l’Olocausto. Il loro vero tema si rivela essere una disputa fra cattolici riguardo a come è diretta la Chiesa oggi, con l’Olocausto che gioca il ruolo del randello più grosso a disposizione dei cattolici progressisti contro i tradizionalisti.

Un dibattito teologico sul futuro del papato è ovviamente qualcosa in cui i non-cattolici non dovrebbero farsi coinvolgere troppo in profondità. Ma gli ebrei, quali che siano i loro sentimenti nei confronti della Chiesa cattolica, hanno il dovere di rifiutare ogni tentativo di usurpare l’Olocausto e di usarlo per ragioni di parte in questo dibattito, particolarmente quando tale tentativo scredita la testimonianza dei sopravvissuti all’Olocausto ed estende a personaggi impropri la condanna che invece appartiene a Hitler e ai nazisti.

La tecnica usata nei recenti attacchi a Pio XII è semplice. Richiede solo che le prove a favore siano interpretate nella peggiore luce e sottoposte all’esame più rigoroso, mentre le prove contro siano invece interpretate nella miglior luce e non siano sottoposte ad alcun esame.

Così, per esempio, quando Cornwell ne Il Papa di Hitler si propone di provare che Papa Pio è stato antisemita — un’accusa che anche i più accaniti oppositori del Pontefice hanno di rado sollevato —, fonda gran parte del suo deferimento in giudizio di Pacelli su una lettera del 1917 indirizzata "al culto ebraico", come se per un prelato cattolico italiano nato nel 1876 il termine "culto" avesse lo stesso suono che ha oggi in inglese (12), e come se lo stesso Cornwell non facesse occasionale riferimento al culto cattolico dell’Assunzione e al culto della Vergine Maria. (La parte più immediatamente utile di Hitler, the War and the Pope può essere considerata l’epilogo di trenta pagine in cui Rychlak si dedica a demolire questo genere di argomenti contenuti ne Il Papa di Hitler).

Lo stesso modello è adottato in Under His Very Windows della Zuccotti. Per esempio: esiste testimonianza di un sacerdote secondo cui il vescovo di Assisi, Giuseppe Nicolini, tenendo una lettera in mano, dichiarò che il Papa gli aveva scritto per chiedere aiuto in favore degli ebrei italiani durante la retata tedesca del 1943. Ma, poiché il sacerdote non aveva effettivamente letto la lettera, la Zuccotti ipotizza che il vescovo avrebbe potuto ingannarlo, e che di conseguenza la deposizione andrebbe rigettata.

Si può confrontare questo accostamento scettico alla prova giudiziale con il modo in cui fu esaminata, per esempio, un’intervista del 1967, in cui il diplomatico tedesco Eitel F. Mollhausen diceva di aver inviato informazioni all’ambasciatore nazista in Vaticano, Ernst von Weizsäcker, e che "presumeva" che Weizsäcker le avesse trasmesse a "funzionari" della Chiesa. La Zuccotti assume questa presunzione come una prova irrefutabile che il Papa aveva diretta conoscenza in anticipo della retata tedesca. (Una lettura corretta suggerisce invece che Pio XII avesse udito voci a riguardo e le avesse riferite agli occupanti tedeschi. La principessa Enza Pignatelli Aragona narrò che, quando l’interruppe portandogli la notizia della retata nel primo mattino del 16 ottobre 1943, le prime parole del Papa furono: "Ma i tedeschi avevano promesso di non toccare gli ebrei!".)

Attraverso questo criterio duplice, gli scrittori recenti non hanno problemi ad arrivare a due conclusioni preconcette. La prima è che la Chiesa cattolica deve accollarsi la colpa dell’Olocausto: "Pio XII è il principale colpevole", propone la Zuccotti. E la seconda è che la colpevolezza del cattolicesimo è dovuta ad aspetti della Chiesa che ora sono rappresentati da Giovanni Paolo II.

Infatti, il parallelismo diviene chiaro nel capitolo conclusivo de Il Papa di Hitler e lungo tutti Papal Sin e Constantine’s Sword: il tradizionalismo di Giovanni Paolo II fa tutt’uno con il presunto antisemitismo di Pio XII; le attuali posizioni vaticane sull’autorità del papa sono in linea diretta con la complicità nello sterminio nazista degli ebrei. Di fronte a tale mostruosa equivalenza di ordine morale e a un tale abuso dell’Olocausto, come possiamo non avere obiezioni?

È vero: nel corso della disputa su Il Vicario e ancora durante il difficoltoso iter vaticano della sua causa di beatificazione — che si protrae dal 1965 — Pio XII ha avuto denigratori fra gli ebrei. Nel 1964, per esempio, Guenter Lewy diede alla luce I nazisti e la Chiesa (13), cui si aggiunse, nel 1966, Pio XII e il Terzo Reich. Documenti di Saul Friedländer (14). Entrambi i volumi sostenevano che l’anticomunismo di Pio XII lo aveva portato ad appoggiare Hitler come baluardo contro i russi.

Ma, mentre dal 1989 sono aumentate le informazioni relative alle atrocità sovietiche e l’ossessione anti-staliniana pare meno assurda di quanto potesse sembrare a metà degli anni 1960, di fatto sono altrettanto aumentate le prove che Pio XII abbia accuratamente classificato le minacce incombenti. Per esempio, nel 1942 egli disse a un visitatore: "È ben vero che il pericolo comunista esiste, ma in questo momento la minaccia nazista è più seria". Egli intervenne altresì presso i vescovi americani per sostenere la concessione di prestiti ai sovietici e si rifiutò esplicitamente di benedire l’invasione nazista della Russia. (L’accusa di acceso anticomunismo è, nonostante questo, ancora viva: in Constantine’s Sword Carroll attacca il concordato del 1933, che Hitler sottoscrisse per la Germania, ponendo la domanda: "Si può immaginare che Pacelli avrebbe negoziato un accordo del genere con i bolscevichi di Mosca?", apparentemente non accorgendosi che era esattamente quello che Pacelli aveva tentato a metà degli anni 1920.)

In ogni modo, Pio XII fra gli ebrei ebbe anche i suoi difensori. Oltre a Roma e gli ebrei di Lapide si potrebbero elencare Pio XII e gli ebrei, l’opuscolo scritto nel 1963 dal membro dell’Anti-Defamation League Joseph Lichten (15), nonché le graffianti recensioni di Friedländer redatte da Livia Rotkirchen, la storica dell’ebraismo slovaco allo Yad Vashem, il Memoriale israeliano dell’Olocausto. Jenö Levai, il grande storico ungherese, s’arrabbiò a tal punto davanti alle accuse di silenzio rivolte al Papa che scrisse Hungarian Jewry and the papacy. Pope Pius XII did not remain silent. Reports, documents and records from church and state archives assembled by Jeno Levai — pubblicato in inglese nel 1968 —, con una forte introduzione di Robert M. W. Kempner, sostituto procuratore capo statunitense a Norimberga (16).

In risposta ai nuovi attacchi contro Pio XII, parecchi scienziati ebrei l’anno scorso hanno preso posizione. Sir Martin Gilbert ha detto a un intervistatore che Pio XII non merita biasimo bensì ringraziamenti. Michael Tagliacozzo, la principale autorità fra gli ebrei romani durante l’Olocausto, ha aggiunto: "Ho un raccoglitore sul mio tavolo in Israele intitolato Calunnie contro Pio XII [...]. Senza di lui, anche molti di noi non sarebbero vivi". Richard Breitman — l’unico storico autorizzato a studiare gli archivi della seconda guerra mondiale dello spionaggio statunitense — ha osservato che i documenti segreti provano fino a qual punto "Hitler diffidava della Santa Sede perché nascondeva gli ebrei".

Tuttora il libro di Lapide del 1967 resta il più autorevole lavoro svolto da un ebreo sull’argomento, e nei trentaquattro anni trascorsi da allora molto materiale si è reso disponibile negli archivi vaticani e altrove. I nuovi centri di storia orale hanno raccolto un’impressionante massa d’interviste con sopravvissuti all’Olocausto, cappellani militari e civili cattolici. Visti i recenti attacchi, è venuto il tempo di riprendere di nuovo le difese di Pio XII, poiché, nonostante si presuma il contrario, le migliori prove di natura storica confermano ora che egli non tacque e che quasi nessuno a quel tempo pensava che lo avesse fatto.

Nel gennaio del 1940, per esempio, il Papa diede istruzione a Radio Vaticana di rivelare "le tremende crudeltà di una barbara tirannia", che i nazisti stavano infliggendo agli ebrei e ai cattolici polacchi. Dando notizia della trasmissione la settimana successiva, il Jewish Advocate di Boston la lodò per quello che in realtà era: un’"esplicita denuncia delle atrocità tedesche nella Polonia nazista, che le dichiarava un insulto alla coscienza morale dell’umanità". Il New York Times pubblicò un editoriale in cui si diceva: "Ora il Vaticano ha parlato, con un’autorità che non può essere discussa e ha confermato i peggiori indizi di terrore emersi dalla tenebra polacca". In Inghilterra il Manchester Guardian salutò Radio Vaticana come "l’avvocata più potente della Polonia torturata".

Qualsiasi esame onesto e scrupoloso delle prove dimostra che Pio XII è stato un tenace critico del nazismo. Basta considerare solo alcuni punti salienti della sua opposizione prima della guerra.

* Dei quarantaquattro discorsi pronunciati da Pacelli in Germania come nunzio pontificio fra il 1917 e il 1929 quaranta denunciavano qualche aspetto dell’emergente ideologia nazista.

* Nel marzo del 1935 scrisse una lettera aperta al vescovo di Colonia in cui chiamava i nazisti "falsi profeti con l’orgoglio di Lucifero".

* In quello stesso anno attaccava le ideologie "possedute dalla superstizione della razza e del sangue" davanti a un’enorme folla di pellegrini a Lourdes. A Notre Dame di Parigi, due anni dopo, chiamò la Germania "quella nobile e potente nazione che cattivi pastori vorrebbero portare fuori strada verso l’ideologia della razza".

* Ad alcuni amici disse in privato che i nazisti erano "diabolici". Hitler "è completamente invasato", disse a quella che fu per lungo tempo sua segretaria, suor Pasqualina: "Tutto ciò che non gli serve, lo distrugge [...]; quest’uomo è capace di calpestare i cadaveri". Incontrando nel 1935 l’eroico antinazista Dietrich von Hildebrand dichiarò: "Non vi può essere riconciliazione" fra cristianesimo e razzismo nazista: essi erano come "l’acqua e il fuoco".

* Nel 1930, l’anno dopo che Pacelli divenne Segretario di Stato, fu fondata Radio Vaticana, che cadeva fondamentalmente sotto il suo controllo. Mentre sul quotidiano vaticano L’Osservatore Romano vi furono interventi discontinui, benché migliorassero nella misura in cui Pacelli gradatamente ne prese carico — per esempio, dando estesa notizia della Kristallnacht, la "Notte dei cristalli", del 1938 (17) —, la stazione radio si comportò invece sempre bene, con trasmissioni polemiche al punto di richiedere agli ascoltatori di pregare per gli ebrei perseguitati in Germania a seguito delle leggi di Norimberga del 1935.

* Nel 1938, quando Pacelli era il principale consigliere del suo predecessore, Pio XI fece la famosa dichiarazione a un gruppo di pellegrini belgi secondo cui "l’anti-semitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti". E fu Pacelli a stendere la bozza dell’enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge, "Con bruciante preoccupazione", una condanna della Germania fra le più dure mai emesse dalla Santa Sede. Infatti, lungo tutti gli anni 1930, Pacelli fu largamente oggetto di attacchi satirici da parte della stampa nazista come il cardinale di Pio XI "amante degli ebrei" per le oltre cinquantacinque note di protesta inviate ai tedeschi come Segretario di Stato vaticano.

A questi vanno aggiunti i punti salienti dell’azione di Pio XII durante la guerra.

* La sua prima enciclica, Summi pontificatus, pubblicata in fretta nel 1939 per implorare la pace, era in parte la dichiarazione che il ruolo del papato era di far appello a entrambi i campi in conflitto piuttosto che condannarne uno. Ma molto significativamente citava san Paolo — "non esiste più greco e giudeo", usando la parola "giudeo" specificatamente nel contesto di un rigetto dell’ideologia razziale. Il New York Times, il 28 ottobre 1939, accolse l’enciclica con il titolo di prima pagina Il Papa condanna i dittatori, i violatori di trattati, il razzismo. Aeroplani alleati lanciarono migliaia di copie del giornale sulla Germania nello sforzo di alimentare il sentimento antinazista.

* Nel 1939 e nel 1940, Pio XII agì da intermediario segreto fra i congiurati tedeschi contro Hitler e gl’inglesi e avrebbe corso del pari un rischio avvisando gli Alleati dell’imminente invasione tedesca di Olanda, Belgio e Francia.

* Nel marzo del 1940, Pio XII concesse udienza a Joachim von Ribbentrop, ministro degli Esteri tedesco e unico nazista di alto rango a prendersi la briga di visitare il Vaticano. Che i tedeschi capissero qual era la posizione di Pio XII era almeno chiaro: Ribbentrop espresse severe critiche al Papa, accusandolo di parteggiare per gli Alleati. Dopo la qual cosa Pio XII cominciò la lettura di una lunga lista di atrocità tedesche. "Con le infiammate parole con cui parlò a Herr Ribbentrop", scrisse il New York Times il 14 marzo, Pio XII "si trovò a essere il difensore degli ebrei in Germania e in Polonia".

* Quando i vescovi francesi, nel 1942, diffusero lettere pastorali che attaccavano le deportazioni, Pio XII mandò il suo nunzio a protestare presso il governo di Vichy contro "gl’inumani arresti e le deportazioni di ebrei dalla zona d’occupazione francese in Slesia e in certe parti della Russia". Radio Vaticana commentò le lettere episcopali per sei giorni di seguito, in un momento in cui ascoltare Radio Vaticana in Germania e in Polonia era un crimine per cui alcuni furono condannati a morte. (Il 6 agosto 1942 il New York Times titolava: Si dice che il Papa abbia lanciato un appello per gli ebrei in lista di deportazione dalla Francia. E il Times, tre settimane dopo, scriveva: Vichy cattura gli ebrei. Ignorato Papa Pio XII.) Come ritorsione, nell’autunno del 1942, l’ufficio di Goebbels diffondeva dieci milioni di copie di un opuscolo che definiva Pio XII "il Papa filo-ebraico" e menzionava esplicitamente i suoi interventi in Francia.

* Nell’estate del 1944, dopo la liberazione di Roma e prima della fine della guerra, Pio XII disse a un gruppo di ebrei romani che erano venuti a ringraziarlo per la sua protezione: "Per secoli gli ebrei sono stati ingiustamente trattati e disprezzati. È tempo che vengano trattati con giustizia e umanità. Dio lo vuole e la Chiesa lo vuole. San Paolo ci dice che gli ebrei sono nostri fratelli. Essi dovrebbero essere accolti come amici".

Dal momento che questi esempi — e centinaia di altri — nei libri che di recente hanno attaccato Pio XII sono a uno a uno screditati, il lettore perde di vista la loro enorme entità e il loro effetto cumulativo, che non lasciava nel dubbio nessuno, meno di tutti i nazisti, sulla posizione del Papa.

Un esame approfondito rivela lo schema costantemente adottato. Scrittori come Cornwell e la Zuccotti considerano, per esempio, degno di nota il messaggio natalizio del Papa del 1941 in primo luogo perché sbaglia nel non usare il linguaggio che useremmo noi oggi. Ma gli osservatori contemporanei lo considerarono del tutto esplicito.

Nell’editoriale del giorno seguente il New York Times dichiarava: "La voce di Pio XII è una voce isolata nel silenzio e nella tenebra che in questo Natale avvolge l’Europa [...]. Nel suo richiamo a "un autentico nuovo ordine" basato sulla "libertà, la giustizia e l’amore" [...] il Papa si schiera in pieno contro l’hitlerismo".

Così pure il messaggio natalizio del Papa dell’anno seguente — in cui esprimeva la sua preoccupazione per quelle "centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento" — venne largamente inteso come una condanna pubblica dello sterminio nazista degli ebrei. In verità, gli stessi tedeschi lo videro come tale. Un’analisi di fonte interna nazista così interpreta: "Il suo discorso è un unico lungo attacco a tutto ciò che rappresentiamo [...]. Egli sta chiaramente parlando per conto degli ebrei [...]. Sta virtualmente accusando il popolo tedesco d’ingiustizia verso gli ebrei e si fa portavoce dei criminali di guerra ebraici".

Inoltre, questa consapevolezza nazista poteva avere conseguenze tremende. Esistevano numerosi precedenti perché il Papa temesse un’invasione: Napoleone aveva assediato il Vaticano nel 1809 catturando Pio VII in punta di baionetta; Pio IX fuggì da Roma per salvare la vita dopo l’assassinio del suo ministro degl’Interni; e Leone XIII fu costretto a una sorta di temporaneo esilio, confinato in Vaticano per decenni, alla fine del secolo XIX.

Ancora, Pio XII — inveiva il ministro degli Esteri di Mussolini — era "pronto anche ad essere deportato in un campo di concentramento, ma non a fare alcunché contro coscienza". Hitler parlava apertamente di entrare in Vaticano per "far sloggiare tutta quella masnada di puttanieri" e Pio XII era al corrente dei vari piani nazisti per rapirlo. Ernst von Weizsäcker ha scritto che egli metteva regolarmente in guardia i funzionari vaticani dal provocare Berlino. L’ambasciatore nazista in Italia Rudolf Rahn descrive in termini simili uno dei piani di rapimento hitleriani e gli sforzi dei diplomatici tedeschi per scongiurarlo. Il generale Karl Wolff testimoniò di aver ricevuto, nel 1943, ordine da Hitler di "occupare il più presto possibile il Vaticano e la Città del Vaticano, mettere al sicuro gli archivi e i tesori d’arte, di valore unico, e di trasferire il Papa, insieme alla Curia, per la loro protezione, in modo che non cadessero nelle mani degli Alleati ed esercitassero alcuna influenza politica". All’inizio di dicembre del 1943 Wolff riuscì a dissuadere Hitler dall’attuare il piano.

Nel valutare quali azioni Pio XII avrebbe potuto svolgere, alcuni — e io fra loro — desiderano che fossero state comminate scomuniche esplicite. Certo, i nazisti battezzati erano già incorsi automaticamente nella scomunica per tutto quanto va dalla mancata frequenza alla Messa all’omicidio non confessato e al pubblico ripudio del cristianesimo. E, come rivelano i suoi scritti e le conversazioni a tavola, Hitler aveva smesso di considerarsi cattolico — anzi, si considerava un anticattolico — molto prima di salire al potere. Ma una dichiarazione pontificia di scomunica avrebbe potuto in qualche misura giovare.

D’altra parte, avrebbe potuto anche essere inutile. Don Luigi Sturzo, fondatore del movimento democratico cristiano in Italia negli anni della guerra, fece notare che l’ultima volta in cui "fu pronunciata una scomunica contro un capo di Stato" né la regina Elisabetta I, né Napoleone mutarono la loro politica. "Le proteste di Pio XII furono inutili. Sapeva — sostiene la Marchione — che se avesse pubblicamente denunciato le atrocità di Hitler verso gli ebrei, la situazione sarebbe facilmente peggiorata. Non solo avrebbe esposto i cattolici a pericoli più gravi, ma sapeva anche che sarebbe fallita la sua azione di aiuto agli ebrei. Ogni volta che i vescovi cattolici protestarono, i nazisti aumentarono le deportazioni e le atrocità".

I sopravvissuti all’Olocausto come Marcus Melchior, il rabbino capo danese, sostenne che "se il Papa avesse solo aperto bocca, probabilmente Hitler avrebbe trucidato molto più dei sei milioni di ebrei che eliminò, e forse avrebbe assassinato centinaia di milioni di cattolici, solo se si fosse convinto di aver bisogno di un tal numero di vittime". Robert M. W. Kempner — in una lettera al direttore dopo che il periodico Commentary, nel 1964, pubblicò un brano del libro di Lewy — rievocò la sua esperienza al processo di Norimberga per affermare: "Ogni mossa propagandistica della Chiesa cattolica contro il Reich hitleriano sarebbe stato non solo "un procurato suicidio" [...], ma avrebbe affrettato l’esecuzione di ancor più numerosi ebrei e sacerdoti".

E questa non è solo una preoccupazione teorica. Una lettera pastorale dei vescovi olandesi, che condannava "lo spietato e ingiusto trattamento riservato agli ebrei", venne letta nelle chiese cattoliche olandesi nel luglio del 1942. La lettera, ben intenzionata — che mostrava di essere ispirata da Pio XII —, si rivelò in realtà controproducente. Come nota Lapide: "La conclusione più triste e sulla quale ci sarebbe molto da riflettere è che, mentre il clero cattolico d’Olanda protestava più vibratamente, più formalmente e più spesso contro le persecuzioni ebraiche di qualsiasi altro, è stata proprio l’Olanda che ha visto il numero maggiore di ebrei — circa 110.000, circa il 79 per cento di tutti — deportato verso i campi di sterminio, più di qualunque altro Stato dell’Europa occidentale".

Il vescovo Jean Bernard del Lussemburgo, detenuto a Dachau dal 1941 al 1942, avvisò il Vaticano che "tutte le volte che venivano sollevate proteste, il trattamento dei prigionieri immediatamente peggiorava". Verso la fine del 1942, l’arcivescovo Sapieha di Cracovia e due altri vescovi polacchi, avendo sperimentato le selvagge rappresaglie naziste, pregarono Pio XII di non pubblicare le sue lettere sulle condizioni della Polonia. Perfino la Zuccotti ammette che, nel caso degli ebrei romani, il Papa "avrebbe ben potuto essere preoccupato per gli ebrei, per il fatto di nasconderli, e per i loro protettori cattolici".

Si potrebbe naturalmente chiedere che cosa ci sarebbe stato di peggio dell’omicidio di massa di sei milioni di ebrei. La risposta è: il massacro di altre centinaia di migliaia. E il Vaticano ha operato nel senso di salvare quelli che poteva salvare.

La sorte degli ebrei italiani è divenuta uno dei maggiori argomenti delle critiche contro Pio XII, nel senso che la mancanza di senso cattolico nella sua stessa casa dimostrerebbe apparentemente l’ipocrisia di ogni odierno richiamo del Papa alla sua autorità morale. (Si noti, per esempio, il titolo del libro della Zuccotti: Under His Very Windows, "Proprio sotto le sue finestre".)

Ma resta il fatto che mentre circa l’80 per cento degli ebrei europei è perita durante la seconda guerra mondiale, l’80 per cento degli ebrei italiani furono salvati.

Nei mesi in cui Roma si trovava sotto l’occupazione tedesca, Pio XII diede istruzioni al clero italiano di salvare vite con ogni possibile mezzo.

(Una fonte trascurata sulla condotta di Pio XII durante questo periodo è la biografia, del 1966, But for Grace of God: the story of an Irish priest who became a resistence leader and later a father to thousand of children in the boy’s towns of Italy (18), di monsignor John Patrick Carroll-Abbing, che lavorò come soccorritore sotto la guida di Pio XII.)

A partire dall’ottobre del 1943, Pio XII domandò alle chiese e ai conventi di tutta Italia di dar rifugio agli ebrei. In conseguenza di ciò — e malgrado Mussolini e i fascisti avessero ceduto alle richieste di deportazioni fatte da Hitler — molti cattolici italiani disubbidirono agli ordini tedeschi.

A Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a circa cinquemila ebrei. Almeno tremila ebrei trovarono rifugio presso la residenza pontificia estiva a Castelgandolfo. Sessanta ebrei vissero per nove mesi nell’Università Gregoriana e molti furono ospitati nella cantina del Pontificio Istituto Biblico. Centinaia trovarono asilo dentro il Vaticano stesso. Seguendo le istruzioni di Pio XII, singoli sacerdoti italiani, monaci, monache, cardinali e vescovi si prodigarono a salvare la vita a migliaia di ebrei. Il cardinale Boetto di Genova ne salvò almeno ottocento. Il vescovo di Assisi nascose trecento ebrei per oltre due anni. Il vescovo di Campagna, mons. Giuseppe Maria Palatucci, e due suoi parenti ne salvarono anche di più a Fiume.

Il cardinale Pietro Palazzini, allora assistente vice rettore del Seminario Romano, nascose per parecchi mesi Michael Tagliacozzo e altri ebrei italiani nel Seminario — che era di proprietà del Vaticano — nel 1943 e nel 1944. Nel 1985, lo Yad Vashem rese onore al cardinale come a un Giusto fra le Nazioni, e nell’accettare l’onorificenza Palazzini sottolineò che "il merito è interamente di Pio XII, che ci ordinò di fare tutto ciò che potevamo fare per salvare gli ebrei dalla persecuzione". Anche alcuni laici prestarono aiuto e, nelle loro deposizioni successive, attribuirono invariabilmente al Papa la loro ispirazione ad agire.

Di nuovo, la testimonianza più eloquente viene dagli stessi nazisti. Documenti di provenienza fascista, pubblicati nel 1998 — e riassunti nel libro della Marchione Pio XII. Architetto di pace —, parlano di un piano tedesco, denominato Rabat-Fohn, che avrebbe dovuto essere eseguito nel gennaio del 1944. Il piano prevedeva che l’ottava divisione di cavalleria delle SS, travestita da italiani, assalisse San Pietro e attuasse "l’assassinio del Papa con tutti i cardinali in Vaticano", e menzionava specificamente quale causa "la protesta pontificia in favore degli ebrei".

La stessa storia potrebbe venir ritrovata attraverso tutta l’Europa.

Se vi è spazio per sostenere che la Chiesa cattolica avrebbe dovuto sforzarsi di più — in quanto restano gl’innegabili fatti che davvero Hitler salì al potere, davvero la seconda guerra mondiale si verificò e davvero sei milioni di ebrei morirono —, il punto di partenza della discussione dev’essere la verità che la gente di quel tempo, in uguale misura i nazisti e gli ebrei, compresero che il Papa era l’oppositore più chiaro dell’ideologia nazista.

* Già nel dicembre del 1940, in un articolo sul Time Magazine, Albert Einstein rese così omaggio a Pio XII: "Solo la Chiesa sbarra pienamente il cammino alla campagna hitleriana per la soppressione della verità. Prima d’ora non ho avuto alcun interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento un grande affetto e ammirazione per essa perché solo la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di schierarsi dalla parte della verità intellettuale e della libertà morale. Sono pertanto costretto ad ammettere che quanto una volta disprezzavo, ora lo apprezzo senza riserve".

* Nel 1943, Chaim Weizmann, che sarebbe diventato il primo presidente d’Israele, scrisse che "la Santa Sede sta prestando il suo potente aiuto dove può per attenuare la sorte dei miei correligionari perseguitati".

* Moshe Sharett, il secondo nella serie dei primi ministri israeliani, incontrò Pio XII negli ultimi giorni di guerra e gli disse che il suo "primo dovere era di ringraziarlo e, attraverso lui, ringraziare la Chiesa cattolica da parte dell’opinione pubblica ebraica per tutto quanto avevano fatto nei vari paesi per salvare gli ebrei".

* Il rabbino Isaac Herzog, rabbino capo d’Israele, nel febbraio del 1944 inviò un messaggio in cui dichiarava: "Il popolo d’Israele non dimenticherà mai quello che Sua Santità e i suoi illustri delegati, ispirati dagli eterni princìpi della religione, che formano le vere basi di un’autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sfortunati fratelli e sorelle nell’ora più tragica della nostra storia, prova vivente dell’esistenza della divina Provvidenza in questo mondo".

* Nel settembre del 1945, Leon Kubowitzky, segretario generale del Congresso Ebraico Mondiale, ringraziò personalmente il Papa per i suoi interventi e il Congresso Ebraico Mondiale donò 20.000 dollari alla opere caritative vaticane "in riconoscimento del lavoro svolto dalla Santa Sede nel salvare gli ebrei dalle persecuzioni fascista e nazista".

* Nel 1955, quando l’Italia celebrò il decennale delle sua liberazione, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane proclamò il 17 aprile Giorno della Gratitudine, per l’assistenza avuta dal Papa durante la guerra.

* Il 26 maggio 1955 l’Orchestra Filarmonica d’Israele volò a Roma per un’esecuzione speciale della Settima Sinfonia di Beethoven, come espressione della duratura gratitudine dello Stato d’Israele verso il Papa per l’aiuto prestato al popolo ebraico durante l’Olocausto.

Quest’ultimo esempio è particolarmente significativo. Per ragioni di Stato, la Filarmonica israeliana non ha mai suonato la musica di Richard Wagner, per la sua ben nota reputazione di "compositore di Hitler" e di santo patrono culturale del Terzo Reich. Specialmente durante gli anni 1950, l’opinione pubblica israeliana, in centinaia di migliaia dei suoi membri costituita da sopravvissuti all’Olocausto, vedeva ancora Wagner come simbolo del regime nazista. È inconcepibile che il governo israeliano avrebbe pagato le spese della trasferta di tutta l’orchestra a Roma per rendere omaggio al "Papa di Hitler". Al contrario, il concerto senza precedenti della Filarmonica israeliana in Vaticano fu un gesto unico comunitario di riconoscimento collettivo offerto a un grande amico del popolo ebraico.

Centinaia di altri reperti storici potrebbero essere citati. Nella conclusione di Under His Very Windows la Zuccotti scarta — come mal diretto, male informato o perfino ambiguo — l’elogio che Pio XII ricevette dai leader e dagli scienziati ebrei, come pure le espressioni di gratitudine dei cappellani ebrei e dei sopravvissuti all’Olocausto, che diedero testimonianza personale dell’assistenza ricevuta dal Papa.

Che la studiosa si comporti così è inquietante. Negare la legittimità della gratitudine da loro espressa a Pio XII equivale a negare la credibilità della loro testimonianza personale e del loro personale giudizio sull’Olocausto stesso. "Più di chiunque altro — ricordava Elio Toaff, un ebreo italiano che visse attraverso l’Olocausto e divenne in seguito rabbino capo di Roma — noi abbiamo avuto modo di beneficare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto Pontefice, durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando ogni speranza sembrava essere morta per noi".

Ma la Zuccotti non è sola. Vi è un’inquietante componente in quasi tutti i lavori attuali su Pio XII. A parte il libro di Rychlak Hitler, the War and the Pope, nessuno dei libri recenti — dal brutale attacco di Cornwell ne Il Papa di Hitler alla difesa acritica che McIrnery fa in The Defamation of Pius XII — è in ultima analisi un libro sull’Olocausto. Tutti sono intenti a utilizzare le sofferenze degli ebrei di cinquant’anni fa per imporre cambiamenti in seno alla Chiesa cattolica odierna.

Questo abuso dell’Olocausto deve essere rifiutato. Un resoconto veritiero su Pio XII arriverebbe, credo, all’esatto opposto delle conclusioni di Cornwell: Pio XII non fu il Papa di Hitler, bensì in lui gli ebrei ebbero il maggior sostenitore papale che abbiano mai avuto, e proprio nel momento in cui era più importante averlo.

Nel 1983, scrivendo su Yad Vashem Studies, John S. Conway — la maggiore autorità in materia degli undici volumi degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde Guerre mondiale — così concludeva: "Un rigoroso studio delle molte migliaia di documenti pubblicati in questi volumi offre scarso sostegno alle tesi che l’autoperpetuazione ecclesiastica sia stata il motivo principale della condotta dei diplomatici vaticani. Piuttosto, l’immagine che ne emerge è quella di un gruppo di uomini intelligenti e coscienziosi, che cercarono di perseguire le vie della pace e della giustizia in un tempo in cui questi ideali erano inesorabilmente ridotti all’irrilevanza in un mondo di "guerra totale"". Questi volumi trascurati — che il lettore inglese può trovare riassunti nel libro di Blet Pio XII e la Seconda Guerra mondiale negli Archivi Vaticani rivelerà "ancora più chiaramente e in modo più convincente — come Giovanni Paolo II ha detto a un gruppo di leader ebrei a Miami nel 1987 — quanto profondamente Pio XII ha sentito la tragedia del popolo ebraico, e quanto intensamente ed efficacemente si è adoperato per assisterlo durante la Seconda Guerra Mondiale".

Il Talmud insegna che "chiunque salva una vita, è considerato dalla Scrittura come se avesse salvato il mondo intero". Pio XII ha adempiuto questo detto talmudico più di ogni altro leader del secolo XX, quando fu in gioco la sorte dell’ebraismo europeo. Nessun altro papa è stato così largamente apprezzato dagli ebrei, ed essi non si sbagliarono. La loro gratitudine, come pure quella dell’intera generazione di sopravvissuti all’Olocausto, attesta che Pio XII fu genuinamente e profondamente un Giusto fra le Nazioni.

David G. Dalin


*
Pius XII and the Jews. A defense, in © The weekly Standard, volume 6, n. 23, New York 26-2-2001. Traduzione redazionale. Le note, pure redazionali, si limitano — con poche eccezioni — a dare gli estremi bibliografici delle opere esaminate dall’autore; anche le citazioni reperite in lingua italiana sono state lasciate senza rimando per non alterare il testo originale.

(1) Cfr. Rolf Hochhuth, Il Vicario, dramma in 5 atti, trad. it., con una prefazione di Carlo Bo, Feltrinelli, Milano 1964.

(2) Cfr. John Cornwell, Il Papa di Hitler. La storia segreta di Pio XII, trad. it., Garzanti, Milano 2000.

(3) Cfr. Pierre Blet S.J, Pio XII e la Seconda Guerra mondiale negli Archivi Vaticani, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999.

(4) Cfr. Garry Wills, Papal Sin. Structures of Deceit [Peccato pontificio. Strutture d’inganno], Doubleday, New York 2000.

(5) Cfr. suor Margherita Marchione, delle Maestre Pie Filippini, Pio XII. Architetto di pace, Editoriale Pantheon, Roma 2000.

(6) C fr. Ronald J. Rychlak, Hitler, the War and the Pope [Hitler, la guerra e il Papa], Our Sunday Visitor, Huntington (Indiana) 2000.

(7) Cfr. Michael Phayer, The Catholic Church and the Holocaust, 1930-1965 [La Chiesa cattolica e l’Olocausto. 1930-1965], Indiana University Press, Bloomington (Indiana) 2000.

(8) Cfr. Susan Zuccotti, Under His Very Windows. The Vatican and the Holocaust in Italy [Proprio sotto le sue finestre. Il Vaticano e l’Olocausto in Italia], Yale University Press, New Haven (Connecticut) 2000.

(9) Cfr. Ralph McInerny, The Defamation of Pius XII [La diffamazione di Pio XII], St. Augustine’s, South Bend (Indiana) 2000.

(10) Cfr. James Carroll, Constantine’s Sword. The Church and the Jews: A History [La spada di Costantino. La Chiesa e gli ebrei. Una storia], Hougthon Mifflin Company, Boston (Massachusetts) 2001.

(11) Cfr. Pinchas Emilio Lapide, Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vittime del Nazismo, trad. it., Mondadori, Milano 1967.

(12) Con il termine cult l’inglese attuale traduce sia l’italiano "culto" — è il senso in cui usa il termine Pio XII riferito alla religione ebraica —, sia l’italiano "setta", in senso peggiorativo.

(13) Cfr. Guenter Lewy, I nazisti e la Chiesa, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1965.

(14) Cfr. Saul Friedländer, Pio XII e il Terzo Reich. Documenti, trad. it., Feltrinelli, Milano 1965.

(15) Cfr. Joseph L. Lichten, Pio XII e gli ebrei, trad. it., Edizioni Dehoniane, Bologna 1988.

(16) Cfr. Jenö Levai, Hungarian Jewry and the papacy. Pope Pius XII did not remain silent. Reports, documents and records from church and state archives assembled by Jeno Levai [L’ebraismo ungherese e il papato. Papa Pio XII non restò in silenzio. Resoconti, documenti e testimonianze dagli archivi ecclesiastici e statali raccolti da Jeno Levai], ed. inglese, con introduzione di Robert M. W. Kempner, Sands and Co. Ltd., Londra 1968).

(18) Cfr. monsignor John Patrick Carroll-Abbing, But for Grace of God: the story of an Irish priest who became a resistence leader and later a father to thousand of children in the boy’s towns of Italy [Se non per grazia di Dio. La storia di un sacerdote irlandese divenuto un capo della resistenza e poi un padre per migliaia di fanciulli nelle città dei ragazzi d’Italia], con prefazione del card. Giuseppe Pizzardo, Secker & Warburg, Londra 1966.


Nota sull’Autore

David Gil Dalin nasce a San Francisco, in California, negli Stati Uniti d’America, nel 1949.

Rabbino di osservanza conservative, appartiene alla corrente religiosa ebraica che si colloca intermediamente fra gli "ortodossi" e i "riformati" e che rappresenterebbe circa il 55% della popolazione ebraica del paese.

Laureato a Berkeley, ha insegnato in vari atenei e seminari ebraici statunitensi. Attualmente è docente di studi giudaici alla Georgetown University di Washington. Dal 1989 ha pubblicato — da solo e con altri — e ha curato più volumi sulle relazioni fra la religione ebraica e lo Stato in America, fra i quali, con Alfred J. Kolatch, The presidents of the United States & the Jews, "I presidenti degli Stati Uniti e gli ebrei" (Jonathan David Publishers, Middle Village [New York] 2000); e, con Jonathan D. Sarna, Religion and State in the American Jewish experience, "Religione e Stato nell’esperienza ebraica americana" (University of Notre Dame Press, Notre Dame [Indiana] 1997).

Collabora a diverse riviste americane — ebraiche e non —, fra le quali The weekly Standard di New York.

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