Ancor prima che Pio XII morisse, nel 1958, in Europa già veniva messa in
circolazione l’accusa — un pezzo classico della propaganda comunista contro
l’Occidente — che il suo pontificato era stato favorevole ai nazisti.
Dopo la morte del Papa l’accusa venne sommersa da un’alluvione di omaggi
tanto da parte di ebrei quanto di gentili, per riaffiorare in occasione della
prima, nel 1963, de Il Vicario (1), il dramma di uno scrittore tedesco
di sinistra — già membro della Hitlerjugend, la "Gioventù hitleriana" — di
nome Rolf Hochhuth.
Il Vicario, romanzesco e fortemente polemico, sosteneva che la
preoccupazione di Pio XII per le finanze vaticane lo aveva reso indifferente
di fronte alla distruzione dell’ebraismo europeo. Ma, ciononostante, il dramma
di Hochhuth — sette ore di durata — ebbe un’eco notevole, scatenando una
controversia protrattasi lungo gli anni 1960. E adesso, oltre trent’anni dopo,
quella controversia è riesplosa all’improvviso e per ragioni non
immediatamente evidenti.
Infatti, il termine "esplosa" non descrive adeguatamente l’attuale torrente
di polemiche. Negli ultimi diciotto mesi sono usciti nove libri su Pio XII:
Il Papa di Hitler. La storia segreta di Pio XII di John Cornwell (2),
Pio XII e la Seconda Guerra mondiale negli Archivi Vaticani di Pierre Blet
(3), Papal Sin di Garry Wills (4), Pio XII. Architetto di pace
di Margherita Marchione (5), Hitler, the War and the Pope di Ronald J.
Rychlak (6), The Catholic Church and the Holocaust, 1930-1965 di
Michael Phayer (7), Under His Very Windows. The Vatican and the Holocaust
in Italy di Susan Zuccotti (8), The Defamation of Pius XII di Ralph
McInerny (9), e, più di recente, Constantine’s Sword. The Church and the
Jews: A History di James Carroll (10).
Dal momento che quattro di essi — quelli di Blet, della Marchione, di
Rychlak e di McInerny — prendono le difese del Papa, e due — i libri di Wills
e di Carroll — si occupano di Pio XII solo nell’ambito di un più ampio attacco
contro il cattolicesimo, il quadro può apparire equilibrato. Di fatto, dopo
averli letti tutti e nove, si deve concludere che i difensori di Pio XII hanno
gli argomenti più forti, soprattutto con Hitler, the War and the Pope
di Rychlak, il migliore e più accurato fra i lavori recenti, un elegante
volume di seria critica scientifica.
Eppure, quelli che hanno ottenuto maggior attenzione sono i libri che
denigrano il Papa, in particolare Il Papa di Hitler, un volume
ampiamente recensito e messo in vendita con l’avviso che Pio XII è stato
"l’ecclesiastico più pericoloso della storia moderna", senza il quale "Hitler
non avrebbe mai potuto [...] farsi strada". Il "silenzio" del Papa
si sta affermando sempre più come stabile opinione nei media americani:
"Il fatto che Pio XII abbia elevato l’interesse privato cattolico al di
sopra della coscienza cattolica costituisce il punto più basso raggiunto dalla
storia moderna del cattolicesimo", osservava quasi di sfuggita il New
York Times recensendo il mese scorso Constantine’s Sword di Carroll.
Strano a dirsi, quasi tutti quelli oggi su questa linea — dagli ex
seminaristi John Cornwell e Garry Wills all’ex prete James Carroll — sono
cattolici non praticanti o del dissenso. Per i leader ebraici della
vecchia generazione, la campagna contro Pio XII sarebbe stata un colpo.
Durante e dopo la guerra molti ebrei famosi — Albert Einstein, Golda Meir,
Moshe Sharett, il rabbino Isaac Herzog e innumerevoli altri — espressero
pubblicamente la loro gratitudine a Pio XII. Nel suo libro uscito nel 1967
Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vittime del Nazismo
(11) il diplomatico Pinchas Lapide — che era stato console israeliano a Milano
e aveva intervistato alcuni italiani sopravvissuti all’Olocausto — dichiarò
che Pio XII "fu lo strumento di salvezza di almeno 700.000, ma forse anche
860.000, ebrei che dovevano morire per mano nazista".
Ciò non significa che Eugenio Pacelli — il potente ecclesiastico che aveva
prestato servizio come nunzio in Baviera e in Germania dal 1917 al 1929, e poi
come Segretario di Stato vaticano dal 1930 al 1939, prima di diventare Papa
Pio XII sei mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale — fosse
amico degli ebrei come lo è stato Giovanni Paolo II. Né che Pio XII abbia
avuto in definitiva successo come difensore degli ebrei. Malgrado i suoi
disperati sforzi per mantenere la pace, la guerra ci fu e, malgrado le sue
proteste contro le atrocità tedesche, il massacro dell’Olocausto ebbe luogo.
Anche se con il senno di poi, uno studio accurato rivela che la Chiesa
cattolica perse l’occasione d’influenzare gli eventi, sbagliò ad accreditare
in pieno le intenzioni dei nazisti e fu contagiata in alcuni dei suoi membri
da un occasionale antisemitismo, che avrebbe approvato — e, in qualche orrendo
caso, anche ratificato — l’ideologia nazista.
Ma fare di Pio XII un bersaglio del nostro sdegno morale contro i nazisti e
annoverare il cattolicesimo fra le istituzioni delegittimate dall’orrore
dell’Olocausto significa mancare di comprensione storica. Quasi nessuno dei
recenti libri su Pio XII e l’Olocausto è in realtà su Pio XII e l’Olocausto.
Il loro vero tema si rivela essere una disputa fra cattolici riguardo a come è
diretta la Chiesa oggi, con l’Olocausto che gioca il ruolo del randello più
grosso a disposizione dei cattolici progressisti contro i tradizionalisti.
Un dibattito teologico sul futuro del papato è ovviamente qualcosa in cui i
non-cattolici non dovrebbero farsi coinvolgere troppo in profondità. Ma gli
ebrei, quali che siano i loro sentimenti nei confronti della Chiesa cattolica,
hanno il dovere di rifiutare ogni tentativo di usurpare l’Olocausto e di
usarlo per ragioni di parte in questo dibattito, particolarmente quando tale
tentativo scredita la testimonianza dei sopravvissuti all’Olocausto ed estende
a personaggi impropri la condanna che invece appartiene a Hitler e ai nazisti.
La tecnica usata nei recenti attacchi a Pio XII è semplice. Richiede solo
che le prove a favore siano interpretate nella peggiore luce e sottoposte
all’esame più rigoroso, mentre le prove contro siano invece interpretate nella
miglior luce e non siano sottoposte ad alcun esame.
Così, per esempio, quando Cornwell ne Il Papa di Hitler si propone
di provare che Papa Pio è stato antisemita — un’accusa che anche i più
accaniti oppositori del Pontefice hanno di rado sollevato —, fonda gran parte
del suo deferimento in giudizio di Pacelli su una lettera del 1917 indirizzata
"al culto ebraico", come se per un prelato cattolico italiano nato nel
1876 il termine "culto" avesse lo stesso suono che ha oggi in inglese (12), e
come se lo stesso Cornwell non facesse occasionale riferimento al culto
cattolico dell’Assunzione e al culto della Vergine Maria. (La parte più
immediatamente utile di Hitler, the War and the Pope può essere
considerata l’epilogo di trenta pagine in cui Rychlak si dedica a demolire
questo genere di argomenti contenuti ne Il Papa di Hitler).
Lo stesso modello è adottato in Under His Very Windows della
Zuccotti. Per esempio: esiste testimonianza di un sacerdote secondo cui il
vescovo di Assisi, Giuseppe Nicolini, tenendo una lettera in mano, dichiarò
che il Papa gli aveva scritto per chiedere aiuto in favore degli ebrei
italiani durante la retata tedesca del 1943. Ma, poiché il sacerdote non aveva
effettivamente letto la lettera, la Zuccotti ipotizza che il vescovo avrebbe
potuto ingannarlo, e che di conseguenza la deposizione andrebbe rigettata.
Si può confrontare questo accostamento scettico alla prova giudiziale con
il modo in cui fu esaminata, per esempio, un’intervista del 1967, in cui il
diplomatico tedesco Eitel F. Mollhausen diceva di aver inviato informazioni
all’ambasciatore nazista in Vaticano, Ernst von Weizsäcker, e che
"presumeva" che Weizsäcker le avesse trasmesse a "funzionari" della
Chiesa. La Zuccotti assume questa presunzione come una prova irrefutabile che
il Papa aveva diretta conoscenza in anticipo della retata tedesca. (Una
lettura corretta suggerisce invece che Pio XII avesse udito voci a riguardo e
le avesse riferite agli occupanti tedeschi. La principessa Enza Pignatelli
Aragona narrò che, quando l’interruppe portandogli la notizia della retata nel
primo mattino del 16 ottobre 1943, le prime parole del Papa furono: "Ma i
tedeschi avevano promesso di non toccare gli ebrei!".)
Attraverso questo criterio duplice, gli scrittori recenti non hanno
problemi ad arrivare a due conclusioni preconcette. La prima è che la Chiesa
cattolica deve accollarsi la colpa dell’Olocausto: "Pio XII è il principale
colpevole", propone la Zuccotti. E la seconda è che la colpevolezza del
cattolicesimo è dovuta ad aspetti della Chiesa che ora sono rappresentati da
Giovanni Paolo II.
Infatti, il parallelismo diviene chiaro nel capitolo conclusivo de Il
Papa di Hitler e lungo tutti Papal Sin e Constantine’s Sword:
il tradizionalismo di Giovanni Paolo II fa tutt’uno con il presunto
antisemitismo di Pio XII; le attuali posizioni vaticane sull’autorità del papa
sono in linea diretta con la complicità nello sterminio nazista degli ebrei.
Di fronte a tale mostruosa equivalenza di ordine morale e a un tale abuso
dell’Olocausto, come possiamo non avere obiezioni?
È vero: nel corso della disputa su Il Vicario e ancora durante il
difficoltoso iter vaticano della sua causa di beatificazione — che si
protrae dal 1965 — Pio XII ha avuto denigratori fra gli ebrei. Nel 1964, per
esempio, Guenter Lewy diede alla luce I nazisti e la Chiesa (13), cui
si aggiunse, nel 1966, Pio XII e il Terzo Reich. Documenti di Saul
Friedländer (14). Entrambi i volumi sostenevano che l’anticomunismo di Pio XII
lo aveva portato ad appoggiare Hitler come baluardo contro i russi.
Ma, mentre dal 1989 sono aumentate le informazioni relative alle atrocità
sovietiche e l’ossessione anti-staliniana pare meno assurda di quanto potesse
sembrare a metà degli anni 1960, di fatto sono altrettanto aumentate le prove
che Pio XII abbia accuratamente classificato le minacce incombenti. Per
esempio, nel 1942 egli disse a un visitatore: "È ben vero che il pericolo
comunista esiste, ma in questo momento la minaccia nazista è più seria".
Egli intervenne altresì presso i vescovi americani per sostenere la
concessione di prestiti ai sovietici e si rifiutò esplicitamente di benedire
l’invasione nazista della Russia. (L’accusa di acceso anticomunismo è,
nonostante questo, ancora viva: in Constantine’s Sword Carroll attacca
il concordato del 1933, che Hitler sottoscrisse per la Germania, ponendo la
domanda: "Si può immaginare che Pacelli avrebbe negoziato un accordo del
genere con i bolscevichi di Mosca?", apparentemente non accorgendosi che
era esattamente quello che Pacelli aveva tentato a metà degli anni 1920.)
In ogni modo, Pio XII fra gli ebrei ebbe anche i suoi difensori. Oltre a
Roma e gli ebrei di Lapide si potrebbero elencare Pio XII e gli ebrei,
l’opuscolo scritto nel 1963 dal membro dell’Anti-Defamation League Joseph
Lichten (15), nonché le graffianti recensioni di Friedländer redatte da Livia
Rotkirchen, la storica dell’ebraismo slovaco allo Yad Vashem, il Memoriale
israeliano dell’Olocausto. Jenö Levai, il grande storico ungherese, s’arrabbiò
a tal punto davanti alle accuse di silenzio rivolte al Papa che scrisse
Hungarian Jewry and the papacy. Pope Pius XII did not remain silent. Reports,
documents and records from church and state archives assembled by Jeno Levai
— pubblicato in inglese nel 1968 —, con una forte introduzione di Robert M. W.
Kempner, sostituto procuratore capo statunitense a Norimberga (16).
In risposta ai nuovi attacchi contro Pio XII, parecchi scienziati ebrei
l’anno scorso hanno preso posizione. Sir Martin Gilbert ha detto a un
intervistatore che Pio XII non merita biasimo bensì ringraziamenti. Michael
Tagliacozzo, la principale autorità fra gli ebrei romani durante l’Olocausto,
ha aggiunto: "Ho un raccoglitore sul mio tavolo in Israele intitolato
Calunnie contro Pio XII [...]. Senza di lui, anche molti di noi non
sarebbero vivi". Richard Breitman — l’unico storico autorizzato a studiare
gli archivi della seconda guerra mondiale dello spionaggio statunitense — ha
osservato che i documenti segreti provano fino a qual punto "Hitler
diffidava della Santa Sede perché nascondeva gli ebrei".
Tuttora il libro di Lapide del 1967 resta il più autorevole lavoro svolto
da un ebreo sull’argomento, e nei trentaquattro anni trascorsi da allora molto
materiale si è reso disponibile negli archivi vaticani e altrove. I nuovi
centri di storia orale hanno raccolto un’impressionante massa d’interviste con
sopravvissuti all’Olocausto, cappellani militari e civili cattolici. Visti i
recenti attacchi, è venuto il tempo di riprendere di nuovo le difese di Pio
XII, poiché, nonostante si presuma il contrario, le migliori prove di natura
storica confermano ora che egli non tacque e che quasi nessuno a quel tempo
pensava che lo avesse fatto.
Nel gennaio del 1940, per esempio, il Papa diede istruzione a Radio
Vaticana di rivelare "le tremende crudeltà di una barbara tirannia",
che i nazisti stavano infliggendo agli ebrei e ai cattolici polacchi. Dando
notizia della trasmissione la settimana successiva, il Jewish Advocate
di Boston la lodò per quello che in realtà era: un’"esplicita denuncia
delle atrocità tedesche nella Polonia nazista, che le dichiarava un insulto
alla coscienza morale dell’umanità". Il New York Times pubblicò un
editoriale in cui si diceva: "Ora il Vaticano ha parlato, con un’autorità
che non può essere discussa e ha confermato i peggiori indizi di terrore
emersi dalla tenebra polacca". In Inghilterra il Manchester Guardian
salutò Radio Vaticana come "l’avvocata più potente della Polonia
torturata".
Qualsiasi esame onesto e scrupoloso delle prove dimostra che Pio XII è
stato un tenace critico del nazismo. Basta considerare solo alcuni punti
salienti della sua opposizione prima della guerra.
* Dei quarantaquattro discorsi pronunciati da Pacelli in Germania come
nunzio pontificio fra il 1917 e il 1929 quaranta denunciavano qualche aspetto
dell’emergente ideologia nazista.
* Nel marzo del 1935 scrisse una lettera aperta al vescovo di Colonia
in cui chiamava i nazisti "falsi profeti con l’orgoglio di Lucifero".
* In quello stesso anno attaccava le ideologie "possedute dalla
superstizione della razza e del sangue" davanti a un’enorme folla di
pellegrini a Lourdes. A Notre Dame di Parigi, due anni dopo, chiamò la
Germania "quella nobile e potente nazione che cattivi pastori vorrebbero
portare fuori strada verso l’ideologia della razza".
* Ad alcuni amici disse in privato che i nazisti erano "diabolici".
Hitler "è completamente invasato", disse a quella che fu per lungo
tempo sua segretaria, suor Pasqualina: "Tutto ciò che non gli serve, lo
distrugge [...]; quest’uomo è capace di calpestare i cadaveri".
Incontrando nel 1935 l’eroico antinazista Dietrich von Hildebrand dichiarò:
"Non vi può essere riconciliazione" fra cristianesimo e razzismo nazista:
essi erano come "l’acqua e il fuoco".
* Nel 1930, l’anno dopo che Pacelli divenne Segretario di Stato, fu
fondata Radio Vaticana, che cadeva fondamentalmente sotto il suo
controllo. Mentre sul quotidiano vaticano L’Osservatore Romano vi
furono interventi discontinui, benché migliorassero nella misura in cui
Pacelli gradatamente ne prese carico — per esempio, dando estesa notizia della
Kristallnacht, la "Notte dei cristalli", del 1938 (17) —, la stazione
radio si comportò invece sempre bene, con trasmissioni polemiche al punto di
richiedere agli ascoltatori di pregare per gli ebrei perseguitati in Germania
a seguito delle leggi di Norimberga del 1935.
* Nel 1938, quando Pacelli era il principale consigliere del suo
predecessore, Pio XI fece la famosa dichiarazione a un gruppo di pellegrini
belgi secondo cui "l’anti-semitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo
tutti semiti". E fu Pacelli a stendere la bozza dell’enciclica di Pio XI
Mit brennender Sorge, "Con bruciante preoccupazione", una condanna
della Germania fra le più dure mai emesse dalla Santa Sede. Infatti, lungo
tutti gli anni 1930, Pacelli fu largamente oggetto di attacchi satirici da
parte della stampa nazista come il cardinale di Pio XI "amante degli ebrei"
per le oltre cinquantacinque note di protesta inviate ai tedeschi come
Segretario di Stato vaticano.
A questi vanno aggiunti i punti salienti dell’azione di Pio XII durante la
guerra.
* La sua prima enciclica, Summi pontificatus, pubblicata in
fretta nel 1939 per implorare la pace, era in parte la dichiarazione che il
ruolo del papato era di far appello a entrambi i campi in conflitto piuttosto
che condannarne uno. Ma molto significativamente citava san Paolo — "non
esiste più greco e giudeo", usando la parola "giudeo"
specificatamente nel contesto di un rigetto dell’ideologia razziale. Il New
York Times, il 28 ottobre 1939, accolse l’enciclica con il titolo di prima
pagina Il Papa condanna i dittatori, i violatori di trattati, il razzismo.
Aeroplani alleati lanciarono migliaia di copie del giornale sulla Germania
nello sforzo di alimentare il sentimento antinazista.
* Nel 1939 e nel 1940, Pio XII agì da intermediario segreto fra i
congiurati tedeschi contro Hitler e gl’inglesi e avrebbe corso del pari un
rischio avvisando gli Alleati dell’imminente invasione tedesca di Olanda,
Belgio e Francia.
* Nel marzo del 1940, Pio XII concesse udienza a Joachim von Ribbentrop,
ministro degli Esteri tedesco e unico nazista di alto rango a prendersi la
briga di visitare il Vaticano. Che i tedeschi capissero qual era la posizione
di Pio XII era almeno chiaro: Ribbentrop espresse severe critiche al Papa,
accusandolo di parteggiare per gli Alleati. Dopo la qual cosa Pio XII cominciò
la lettura di una lunga lista di atrocità tedesche. "Con le infiammate
parole con cui parlò a Herr Ribbentrop", scrisse il New York Times
il 14 marzo, Pio XII "si trovò a essere il difensore degli ebrei in
Germania e in Polonia".
* Quando i vescovi francesi, nel 1942, diffusero lettere pastorali che
attaccavano le deportazioni, Pio XII mandò il suo nunzio a protestare presso
il governo di Vichy contro "gl’inumani arresti e le deportazioni di ebrei
dalla zona d’occupazione francese in Slesia e in certe parti della Russia".
Radio Vaticana commentò le lettere episcopali per sei giorni di
seguito, in un momento in cui ascoltare Radio Vaticana in Germania e in
Polonia era un crimine per cui alcuni furono condannati a morte. (Il 6 agosto
1942 il New York Times titolava: Si dice che il Papa abbia lanciato
un appello per gli ebrei in lista di deportazione dalla Francia. E il
Times, tre settimane dopo, scriveva: Vichy cattura gli ebrei. Ignorato
Papa Pio XII.) Come ritorsione, nell’autunno del 1942, l’ufficio di
Goebbels diffondeva dieci milioni di copie di un opuscolo che definiva Pio XII
"il Papa filo-ebraico" e menzionava esplicitamente i suoi interventi in
Francia.
* Nell’estate del 1944, dopo la liberazione di Roma e prima della fine
della guerra, Pio XII disse a un gruppo di ebrei romani che erano venuti a
ringraziarlo per la sua protezione: "Per secoli gli ebrei sono stati
ingiustamente trattati e disprezzati. È tempo che vengano trattati con
giustizia e umanità. Dio lo vuole e la Chiesa lo vuole. San Paolo ci dice che
gli ebrei sono nostri fratelli. Essi dovrebbero essere accolti come amici".
Dal momento che questi esempi — e centinaia di altri — nei libri che di
recente hanno attaccato Pio XII sono a uno a uno screditati, il lettore perde
di vista la loro enorme entità e il loro effetto cumulativo, che non lasciava
nel dubbio nessuno, meno di tutti i nazisti, sulla posizione del Papa.
Un esame approfondito rivela lo schema costantemente adottato. Scrittori
come Cornwell e la Zuccotti considerano, per esempio, degno di nota il
messaggio natalizio del Papa del 1941 in primo luogo perché sbaglia nel non
usare il linguaggio che useremmo noi oggi. Ma gli osservatori contemporanei lo
considerarono del tutto esplicito.
Nell’editoriale del giorno seguente il New York Times dichiarava:
"La voce di Pio XII è una voce isolata nel silenzio e nella tenebra che in
questo Natale avvolge l’Europa [...]. Nel suo richiamo a "un autentico
nuovo ordine" basato sulla "libertà, la giustizia e l’amore" [...] il
Papa si schiera in pieno contro l’hitlerismo".
Così pure il messaggio natalizio del Papa dell’anno seguente — in cui
esprimeva la sua preoccupazione per quelle "centinaia di migliaia di
persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di
nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo
deperimento" — venne largamente inteso come una condanna pubblica dello
sterminio nazista degli ebrei. In verità, gli stessi tedeschi lo videro come
tale. Un’analisi di fonte interna nazista così interpreta: "Il suo discorso
è un unico lungo attacco a tutto ciò che rappresentiamo [...]. Egli sta
chiaramente parlando per conto degli ebrei [...]. Sta virtualmente
accusando il popolo tedesco d’ingiustizia verso gli ebrei e si fa portavoce
dei criminali di guerra ebraici".
Inoltre, questa consapevolezza nazista poteva avere conseguenze tremende.
Esistevano numerosi precedenti perché il Papa temesse un’invasione: Napoleone
aveva assediato il Vaticano nel 1809 catturando Pio VII in punta di baionetta;
Pio IX fuggì da Roma per salvare la vita dopo l’assassinio del suo ministro
degl’Interni; e Leone XIII fu costretto a una sorta di temporaneo esilio,
confinato in Vaticano per decenni, alla fine del secolo XIX.
Ancora, Pio XII — inveiva il ministro degli Esteri di Mussolini — era
"pronto anche ad essere deportato in un campo di concentramento, ma non a fare
alcunché contro coscienza". Hitler parlava apertamente di entrare in
Vaticano per "far sloggiare tutta quella masnada di puttanieri" e Pio
XII era al corrente dei vari piani nazisti per rapirlo. Ernst von Weizsäcker
ha scritto che egli metteva regolarmente in guardia i funzionari vaticani dal
provocare Berlino. L’ambasciatore nazista in Italia Rudolf Rahn descrive in
termini simili uno dei piani di rapimento hitleriani e gli sforzi dei
diplomatici tedeschi per scongiurarlo. Il generale Karl Wolff testimoniò di
aver ricevuto, nel 1943, ordine da Hitler di "occupare il più presto
possibile il Vaticano e la Città del Vaticano, mettere al sicuro gli archivi e
i tesori d’arte, di valore unico, e di trasferire il Papa, insieme alla Curia,
per la loro protezione, in modo che non cadessero nelle mani degli Alleati ed
esercitassero alcuna influenza politica". All’inizio di dicembre del 1943
Wolff riuscì a dissuadere Hitler dall’attuare il piano.
Nel valutare quali azioni Pio XII avrebbe potuto svolgere, alcuni — e io
fra loro — desiderano che fossero state comminate scomuniche esplicite. Certo,
i nazisti battezzati erano già incorsi automaticamente nella scomunica per
tutto quanto va dalla mancata frequenza alla Messa all’omicidio non confessato
e al pubblico ripudio del cristianesimo. E, come rivelano i suoi scritti e le
conversazioni a tavola, Hitler aveva smesso di considerarsi cattolico — anzi,
si considerava un anticattolico — molto prima di salire al potere. Ma una
dichiarazione pontificia di scomunica avrebbe potuto in qualche misura
giovare.
D’altra parte, avrebbe potuto anche essere inutile. Don Luigi Sturzo,
fondatore del movimento democratico cristiano in Italia negli anni della
guerra, fece notare che l’ultima volta in cui "fu pronunciata una scomunica
contro un capo di Stato" né la regina Elisabetta I, né Napoleone mutarono
la loro politica. "Le proteste di Pio XII furono inutili. Sapeva —
sostiene la Marchione — che se avesse pubblicamente denunciato le atrocità
di Hitler verso gli ebrei, la situazione sarebbe facilmente peggiorata. Non
solo avrebbe esposto i cattolici a pericoli più gravi, ma sapeva anche che
sarebbe fallita la sua azione di aiuto agli ebrei. Ogni volta che i vescovi
cattolici protestarono, i nazisti aumentarono le deportazioni e le atrocità".
I sopravvissuti all’Olocausto come Marcus Melchior, il rabbino capo danese,
sostenne che "se il Papa avesse solo aperto bocca, probabilmente Hitler
avrebbe trucidato molto più dei sei milioni di ebrei che eliminò, e forse
avrebbe assassinato centinaia di milioni di cattolici, solo se si fosse
convinto di aver bisogno di un tal numero di vittime". Robert M. W.
Kempner — in una lettera al direttore dopo che il periodico Commentary,
nel 1964, pubblicò un brano del libro di Lewy — rievocò la sua esperienza al
processo di Norimberga per affermare: "Ogni mossa propagandistica della
Chiesa cattolica contro il Reich hitleriano sarebbe stato non solo "un
procurato suicidio" [...], ma avrebbe affrettato l’esecuzione di ancor
più numerosi ebrei e sacerdoti".
E questa non è solo una preoccupazione teorica. Una lettera pastorale dei
vescovi olandesi, che condannava "lo spietato e ingiusto trattamento
riservato agli ebrei", venne letta nelle chiese cattoliche olandesi nel
luglio del 1942. La lettera, ben intenzionata — che mostrava di essere
ispirata da Pio XII —, si rivelò in realtà controproducente. Come nota Lapide:
"La conclusione più triste e sulla quale ci sarebbe molto da riflettere è
che, mentre il clero cattolico d’Olanda protestava più vibratamente, più
formalmente e più spesso contro le persecuzioni ebraiche di qualsiasi altro, è
stata proprio l’Olanda che ha visto il numero maggiore di ebrei — circa
110.000, circa il 79 per cento di tutti — deportato verso i campi di
sterminio, più di qualunque altro Stato dell’Europa occidentale".
Il vescovo Jean Bernard del Lussemburgo, detenuto a Dachau dal 1941 al
1942, avvisò il Vaticano che "tutte le volte che venivano sollevate
proteste, il trattamento dei prigionieri immediatamente peggiorava". Verso
la fine del 1942, l’arcivescovo Sapieha di Cracovia e due altri vescovi
polacchi, avendo sperimentato le selvagge rappresaglie naziste, pregarono Pio
XII di non pubblicare le sue lettere sulle condizioni della Polonia. Perfino
la Zuccotti ammette che, nel caso degli ebrei romani, il Papa "avrebbe ben
potuto essere preoccupato per gli ebrei, per il fatto di nasconderli, e per i
loro protettori cattolici".
Si potrebbe naturalmente chiedere che cosa ci sarebbe stato di peggio
dell’omicidio di massa di sei milioni di ebrei. La risposta è: il massacro di
altre centinaia di migliaia. E il Vaticano ha operato nel senso di salvare
quelli che poteva salvare.
La sorte degli ebrei italiani è divenuta uno dei maggiori argomenti delle
critiche contro Pio XII, nel senso che la mancanza di senso cattolico nella
sua stessa casa dimostrerebbe apparentemente l’ipocrisia di ogni odierno
richiamo del Papa alla sua autorità morale. (Si noti, per esempio, il titolo
del libro della Zuccotti: Under His Very Windows, "Proprio sotto le sue
finestre".)
Ma resta il fatto che mentre circa l’80 per cento degli ebrei europei è
perita durante la seconda guerra mondiale, l’80 per cento degli ebrei italiani
furono salvati.
Nei mesi in cui Roma si trovava sotto l’occupazione tedesca, Pio XII diede
istruzioni al clero italiano di salvare vite con ogni possibile mezzo.
(Una fonte trascurata sulla condotta di Pio XII durante questo periodo è la
biografia, del 1966, But for Grace of God: the story of an Irish priest who
became a resistence leader and later a father to thousand of children in the
boy’s towns of Italy (18), di monsignor John Patrick Carroll-Abbing, che
lavorò come soccorritore sotto la guida di Pio XII.)
A partire dall’ottobre del 1943, Pio XII domandò alle chiese e ai conventi
di tutta Italia di dar rifugio agli ebrei. In conseguenza di ciò — e malgrado
Mussolini e i fascisti avessero ceduto alle richieste di deportazioni fatte da
Hitler — molti cattolici italiani disubbidirono agli ordini tedeschi.
A Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a circa cinquemila ebrei.
Almeno tremila ebrei trovarono rifugio presso la residenza pontificia estiva a
Castelgandolfo. Sessanta ebrei vissero per nove mesi nell’Università
Gregoriana e molti furono ospitati nella cantina del Pontificio Istituto
Biblico. Centinaia trovarono asilo dentro il Vaticano stesso. Seguendo le
istruzioni di Pio XII, singoli sacerdoti italiani, monaci, monache, cardinali
e vescovi si prodigarono a salvare la vita a migliaia di ebrei. Il cardinale
Boetto di Genova ne salvò almeno ottocento. Il vescovo di Assisi nascose
trecento ebrei per oltre due anni. Il vescovo di Campagna, mons. Giuseppe
Maria Palatucci, e due suoi parenti ne salvarono anche di più a Fiume.
Il cardinale Pietro Palazzini, allora assistente vice rettore del Seminario
Romano, nascose per parecchi mesi Michael Tagliacozzo e altri ebrei italiani
nel Seminario — che era di proprietà del Vaticano — nel 1943 e nel 1944. Nel
1985, lo Yad Vashem rese onore al cardinale come a un Giusto fra le Nazioni,
e nell’accettare l’onorificenza Palazzini sottolineò che "il merito è
interamente di Pio XII, che ci ordinò di fare tutto ciò che potevamo fare per
salvare gli ebrei dalla persecuzione". Anche alcuni laici prestarono aiuto
e, nelle loro deposizioni successive, attribuirono invariabilmente al Papa la
loro ispirazione ad agire.
Di nuovo, la testimonianza più eloquente viene dagli stessi nazisti.
Documenti di provenienza fascista, pubblicati nel 1998 — e riassunti nel libro
della Marchione Pio XII. Architetto di pace —, parlano di un piano
tedesco, denominato Rabat-Fohn, che avrebbe dovuto essere eseguito nel
gennaio del 1944. Il piano prevedeva che l’ottava divisione di cavalleria
delle SS, travestita da italiani, assalisse San Pietro e attuasse
"l’assassinio del Papa con tutti i cardinali in Vaticano", e menzionava
specificamente quale causa "la protesta pontificia in favore degli ebrei".
La stessa storia potrebbe venir ritrovata attraverso tutta l’Europa.
Se vi è spazio per sostenere che la Chiesa cattolica avrebbe dovuto
sforzarsi di più — in quanto restano gl’innegabili fatti che davvero Hitler
salì al potere, davvero la seconda guerra mondiale si verificò e davvero sei
milioni di ebrei morirono —, il punto di partenza della discussione dev’essere
la verità che la gente di quel tempo, in uguale misura i nazisti e gli ebrei,
compresero che il Papa era l’oppositore più chiaro dell’ideologia nazista.
* Già nel dicembre del 1940, in un articolo sul Time Magazine,
Albert Einstein rese così omaggio a Pio XII: "Solo la Chiesa sbarra
pienamente il cammino alla campagna hitleriana per la soppressione della
verità. Prima d’ora non ho avuto alcun interesse particolare per la Chiesa, ma
ora sento un grande affetto e ammirazione per essa perché solo la Chiesa ha
avuto il coraggio e la perseveranza di schierarsi dalla parte della verità
intellettuale e della libertà morale. Sono pertanto costretto ad ammettere che
quanto una volta disprezzavo, ora lo apprezzo senza riserve".
* Nel 1943, Chaim Weizmann, che sarebbe diventato il primo presidente
d’Israele, scrisse che "la Santa Sede sta prestando il suo potente aiuto
dove può per attenuare la sorte dei miei correligionari perseguitati".
* Moshe Sharett, il secondo nella serie dei primi ministri israeliani,
incontrò Pio XII negli ultimi giorni di guerra e gli disse che il suo
"primo dovere era di ringraziarlo e, attraverso lui, ringraziare la Chiesa
cattolica da parte dell’opinione pubblica ebraica per tutto quanto avevano
fatto nei vari paesi per salvare gli ebrei".
* Il rabbino Isaac Herzog, rabbino capo d’Israele, nel febbraio del
1944 inviò un messaggio in cui dichiarava: "Il popolo d’Israele non
dimenticherà mai quello che Sua Santità e i suoi illustri delegati, ispirati
dagli eterni princìpi della religione, che formano le vere basi di
un’autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sfortunati fratelli e
sorelle nell’ora più tragica della nostra storia, prova vivente dell’esistenza
della divina Provvidenza in questo mondo".
* Nel settembre del 1945, Leon Kubowitzky, segretario generale del
Congresso Ebraico Mondiale, ringraziò personalmente il Papa per i suoi
interventi e il Congresso Ebraico Mondiale donò 20.000 dollari alla opere
caritative vaticane "in riconoscimento del lavoro svolto dalla Santa Sede
nel salvare gli ebrei dalle persecuzioni fascista e nazista".
* Nel 1955, quando l’Italia celebrò il decennale delle sua liberazione,
l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane proclamò il 17 aprile Giorno
della Gratitudine, per l’assistenza avuta dal Papa durante la guerra.
* Il 26 maggio 1955 l’Orchestra Filarmonica d’Israele volò a Roma per
un’esecuzione speciale della Settima Sinfonia di Beethoven, come
espressione della duratura gratitudine dello Stato d’Israele verso il Papa per
l’aiuto prestato al popolo ebraico durante l’Olocausto.
Quest’ultimo esempio è particolarmente significativo. Per ragioni di Stato,
la Filarmonica israeliana non ha mai suonato la musica di Richard Wagner, per
la sua ben nota reputazione di "compositore di Hitler" e di santo patrono
culturale del Terzo Reich. Specialmente durante gli anni 1950,
l’opinione pubblica israeliana, in centinaia di migliaia dei suoi membri
costituita da sopravvissuti all’Olocausto, vedeva ancora Wagner come simbolo
del regime nazista. È inconcepibile che il governo israeliano avrebbe pagato
le spese della trasferta di tutta l’orchestra a Roma per rendere omaggio al
"Papa di Hitler". Al contrario, il concerto senza precedenti della
Filarmonica israeliana in Vaticano fu un gesto unico comunitario di
riconoscimento collettivo offerto a un grande amico del popolo ebraico.
Centinaia di altri reperti storici potrebbero essere citati. Nella
conclusione di Under His Very Windows la Zuccotti scarta — come mal
diretto, male informato o perfino ambiguo — l’elogio che Pio XII ricevette dai
leader e dagli scienziati ebrei, come pure le espressioni di
gratitudine dei cappellani ebrei e dei sopravvissuti all’Olocausto, che
diedero testimonianza personale dell’assistenza ricevuta dal Papa.
Che la studiosa si comporti così è inquietante. Negare la legittimità della
gratitudine da loro espressa a Pio XII equivale a negare la credibilità della
loro testimonianza personale e del loro personale giudizio sull’Olocausto
stesso. "Più di chiunque altro — ricordava Elio Toaff, un ebreo
italiano che visse attraverso l’Olocausto e divenne in seguito rabbino capo di
Roma — noi abbiamo avuto modo di beneficare della grande e caritatevole
bontà e della magnanimità del rimpianto Pontefice, durante gli anni della
persecuzione e del terrore, quando ogni speranza sembrava essere morta per
noi".
Ma la Zuccotti non è sola. Vi è un’inquietante componente in quasi tutti i
lavori attuali su Pio XII. A parte il libro di Rychlak Hitler, the War and
the Pope, nessuno dei libri recenti — dal brutale attacco di Cornwell ne
Il Papa di Hitler alla difesa acritica che McIrnery fa in The
Defamation of Pius XII — è in ultima analisi un libro sull’Olocausto.
Tutti sono intenti a utilizzare le sofferenze degli ebrei di cinquant’anni fa
per imporre cambiamenti in seno alla Chiesa cattolica odierna.
Questo abuso dell’Olocausto deve essere rifiutato. Un resoconto veritiero
su Pio XII arriverebbe, credo, all’esatto opposto delle conclusioni di
Cornwell: Pio XII non fu il Papa di Hitler, bensì in lui gli ebrei ebbero il
maggior sostenitore papale che abbiano mai avuto, e proprio nel momento in cui
era più importante averlo.
Nel 1983, scrivendo su Yad Vashem Studies, John S. Conway — la
maggiore autorità in materia degli undici volumi degli Actes et Documents
du Saint-Siège relatifs à la seconde Guerre mondiale — così concludeva:
"Un rigoroso studio delle molte migliaia di documenti pubblicati in questi
volumi offre scarso sostegno alle tesi che l’autoperpetuazione ecclesiastica
sia stata il motivo principale della condotta dei diplomatici vaticani.
Piuttosto, l’immagine che ne emerge è quella di un gruppo di uomini
intelligenti e coscienziosi, che cercarono di perseguire le vie della pace e
della giustizia in un tempo in cui questi ideali erano inesorabilmente ridotti
all’irrilevanza in un mondo di "guerra totale"". Questi volumi trascurati
— che il lettore inglese può trovare riassunti nel libro di Blet Pio XII e
la Seconda Guerra mondiale negli Archivi Vaticani — rivelerà "ancora
più chiaramente e in modo più convincente — come Giovanni Paolo II ha
detto a un gruppo di leader ebrei a Miami nel 1987 — quanto
profondamente Pio XII ha sentito la tragedia del popolo ebraico, e quanto
intensamente ed efficacemente si è adoperato per assisterlo durante la Seconda
Guerra Mondiale".
Il Talmud insegna che "chiunque salva una vita, è considerato
dalla Scrittura come se avesse salvato il mondo intero". Pio XII ha
adempiuto questo detto talmudico più di ogni altro leader del secolo XX,
quando fu in gioco la sorte dell’ebraismo europeo. Nessun altro papa è stato
così largamente apprezzato dagli ebrei, ed essi non si sbagliarono. La loro
gratitudine, come pure quella dell’intera generazione di sopravvissuti
all’Olocausto, attesta che Pio XII fu genuinamente e profondamente un
Giusto fra le Nazioni.
David G. Dalin
*Pius XII and the Jews. A defense, in © The weekly Standard,
volume 6, n. 23, New York 26-2-2001. Traduzione redazionale. Le note, pure
redazionali, si limitano — con poche eccezioni — a dare gli estremi
bibliografici delle opere esaminate dall’autore; anche le citazioni reperite
in lingua italiana sono state lasciate senza rimando per non alterare il testo
originale.
(1) Cfr. Rolf Hochhuth, Il Vicario, dramma in 5 atti, trad. it., con
una prefazione di Carlo Bo, Feltrinelli, Milano 1964.
(2) Cfr. John Cornwell, Il Papa di Hitler. La storia segreta di Pio XII,
trad. it., Garzanti, Milano 2000.
(3) Cfr. Pierre Blet S.J, Pio XII e la Seconda Guerra mondiale negli
Archivi Vaticani, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1999.
(4) Cfr. Garry Wills, Papal Sin. Structures of Deceit [Peccato
pontificio. Strutture d’inganno], Doubleday, New York 2000.
(5) Cfr. suor Margherita Marchione, delle Maestre Pie Filippini, Pio XII.
Architetto di pace, Editoriale Pantheon, Roma 2000.
(6) C fr. Ronald J. Rychlak, Hitler, the War and the Pope [Hitler,
la guerra e il Papa], Our Sunday Visitor, Huntington (Indiana) 2000.
(7) Cfr. Michael Phayer, The Catholic Church and the Holocaust,
1930-1965 [La Chiesa cattolica e l’Olocausto. 1930-1965], Indiana
University Press, Bloomington (Indiana) 2000.
(8) Cfr. Susan Zuccotti, Under His Very Windows. The Vatican and the
Holocaust in Italy [Proprio sotto le sue finestre. Il Vaticano e
l’Olocausto in Italia], Yale University Press, New Haven (Connecticut) 2000.
(9) Cfr. Ralph McInerny, The Defamation of Pius XII [La diffamazione
di Pio XII], St. Augustine’s, South Bend (Indiana) 2000.
(10) Cfr. James Carroll, Constantine’s Sword. The Church and the Jews: A
History [La spada di Costantino. La Chiesa e gli ebrei. Una storia],
Hougthon Mifflin Company, Boston (Massachusetts) 2001.
(11) Cfr. Pinchas Emilio Lapide, Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano
a favore delle vittime del Nazismo, trad. it., Mondadori, Milano 1967.
(12) Con il termine cult l’inglese attuale traduce sia l’italiano
"culto" — è il senso in cui usa il termine Pio XII riferito alla religione
ebraica —, sia l’italiano "setta", in senso peggiorativo.
(13) Cfr. Guenter Lewy, I nazisti e la Chiesa, trad. it., Il
Saggiatore, Milano 1965.
(14) Cfr. Saul Friedländer, Pio XII e il Terzo Reich. Documenti,
trad. it., Feltrinelli, Milano 1965.
(15) Cfr. Joseph L. Lichten, Pio XII e gli ebrei, trad. it.,
Edizioni Dehoniane, Bologna 1988.
(16) Cfr. Jenö Levai, Hungarian Jewry and the papacy. Pope Pius XII did
not remain silent. Reports, documents and records from church and state
archives assembled by Jeno Levai [L’ebraismo ungherese e il papato. Papa
Pio XII non restò in silenzio. Resoconti, documenti e testimonianze dagli
archivi ecclesiastici e statali raccolti da Jeno Levai], ed. inglese, con
introduzione di Robert M. W. Kempner, Sands and Co. Ltd., Londra 1968).
(18) Cfr. monsignor John Patrick Carroll-Abbing, But for Grace of God:
the story of an Irish priest who became a resistence leader and later a father
to thousand of children in the boy’s towns of Italy [Se non per grazia di
Dio. La storia di un sacerdote irlandese divenuto un capo della resistenza e
poi un padre per migliaia di fanciulli nelle città dei ragazzi d’Italia], con
prefazione del card. Giuseppe Pizzardo, Secker & Warburg, Londra 1966.
David Gil Dalin nasce a San Francisco, in California, negli Stati Uniti
d’America, nel 1949.
Laureato a Berkeley, ha insegnato in vari atenei e seminari ebraici
statunitensi. Attualmente è docente di studi giudaici alla Georgetown
University di Washington. Dal 1989 ha pubblicato — da solo e con altri — e ha
curato più volumi sulle relazioni fra la religione ebraica e lo Stato in
America, fra i quali, con Alfred J. Kolatch, The presidents of the United
States & the Jews, "I presidenti degli Stati Uniti e gli ebrei" (Jonathan
David Publishers, Middle Village [New York] 2000); e, con Jonathan D. Sarna,
Religion and State in the American Jewish experience, "Religione e
Stato nell’esperienza ebraica americana" (University of Notre Dame Press,
Notre Dame [Indiana] 1997).