|
|
|
|
|
Il Papa in Sinagoga. Una visita all'insegna della verità
di Gianteo Bordero
I tanti cultori del politicamente corretto e del religiosamente corretto che si
aspettavano dalla visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma gesti clamorosi
e clamorose «aperture» saranno rimasti delusi.
Perché la vera notizia che è venuta dall'incontro di domenica è che Papa
Ratzinger vuole dare al «dialogo» con gli ebrei quella dimensione ordinaria che
dovrebbe contraddistinguere i buoni rapporti tra fratelli.
Nessuna concessione alla retorica, dunque, nessun annuncio sensazionale, né
tantomeno nessun dietro-front rispetto alle decisioni assunte dall'attuale
pontefice riguardo al processo di beatificazione del suo predecessore Pio XII.
Al «dialogo» - quello vero, e non quello sbandierato come vessillo ideologico
dai paladini dell'ecumenismo un tanto al chilo - serve innanzitutto franchezza,
chiarezza delle idee e delle posizioni, coraggio di chiamare i problemi col loro
nome, senza nasconderli ipocritamente sotto il tappeto di un indistinto e noioso
buonismo.
Questa franchezza ha contraddistinto i giorni che hanno preceduto la visita in
Sinagoga, a partire già dallo scorso mese di dicembre, con la decisione di non
rimandare a data da destinarsi la firma del decreto che riconosce le virtù
eroiche di Papa Pacelli: un gesto che da molti è stato considerato come una
pietra d'inciampo nel rapporto con gli ebrei si è rivelato, in realtà, come un
utile invito a preparare l'importante appuntamento del 17 gennaio in spirito di
verità, senza paura di affrontare le questioni aperte e senza «timori
reverenziali», buoni per le chiacchiere di routine ma deleteri quando in ballo
c'è qualcosa di grande e importante per milioni di persone.
Così anche all'Angelus di domenica mattina, annunciando ai fedeli presenti in
piazza San Pietro la visita pomeridiana al Tempio Maggiore sul Lungotevere,
Benedetto XVI non ha mancato di ricordare che nel «cammino di concordia e di
amicizia» tra cristiani ed ebrei ancora sussistono «problemi e difficoltà».
Questi atti e queste parole del Papa hanno evitato che l'incontro in Sinagoga si
limitasse a un nostalgico ricordo della prima visita di Giovanni Paolo II,
avvenuta nel 1986, oppure si trasformasse in un momento di pura forma senza
contenuto alcuno. E infatti l'invito alla franchezza è stato raccolto dai
rappresentanti della comunità ebraica che hanno preso la parola, e dal rabbino
capo Riccardo Di Segni. Lo stesso Benedetto XVI, nel suo intervento, non ha
sorvolato su una questione scottante come quella riguardante Pio XII: pur senza
nominarlo esplicitamente, Papa Ratzinger ha ricordato che durante i tragici anni
della Shoah «la Sede Apostolica svolse un'azione di soccorso, spesso nascosta e
discreta».
Così è apparso chiaramente che il «dialogo» non può fondarsi sull'annacquamento
delle proprie posizioni o sulla rinuncia alla propria storia.
Affinché esso sia tale è invece necessaria una approfondita conoscenza
reciproca, capace di superare i pregiudizi e i luoghi comuni e di andare al
cuore delle rispettive identità cogliendone le radici comuni e le verità
condivise, a partire dalle quali diviene possibile costruire un'amicizia solida
e feconda. E' un lavoro faticoso, che implica,
come ha più volte ricordato Papa Ratzinger nel suo discorso, «un cammino» quotidiano, fatto di piccoli passi, e
il cui fine non è il progressivo annullamento delle differenze, ma una più
convinta risposta di ciascuno «alla chiamata del Signore».
Questo è tanto più vero nel caso del rapporto tra cristiani ed ebrei, che
partecipano di una «comune eredità tratta dalla Legge e dai Profeti». Infatti la
loro «vicinanza» e la loro «fraternità spirituale» - ha detto Benedetto XVI -
«trovano nella Sacra Bibbia il fondamento più solido e perenne, in base al quale
veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al
ricco patrimonio spirituale che condividiamo». E' su tale fondamento che il
«dialogo» tra cristiani ed ebrei può uscire dall'astrattezza e
dall'indeterminatezza e divenire impegno condiviso e concreto di fronte al
mondo. Ad esempio partendo dal Decalogo, patrimonio comune alle due fedi. Esso
può fornire la base per una collaborazione dinanzi alle grandi sfide e ai grandi
drammi del tempo attuale: per «risvegliare nella nostra società l'apertura alla
dimensione trascendente e testimoniare l'unico Dio», per «testimoniare insieme
il valore supremo della vita», per «conservare e promuovere la santità la
famiglia come cellula essenziale della società». Non si tratta di semplici
affermazioni di principio o mere dichiarazioni d'intenti per una qualche forma
di umanitarismo condiviso. Tale collaborazione - spiega Benedetto XVI - ha
origini più solide: «È scrutando il suo stesso mistero che la Chiesa, popolo di
Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli ebrei,
scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola». Sembrerà poco a
chi si attendeva dalla visita del Papa in Sinagoga l'annuncio di grandi passi in
avanti. In realtà, senza annunci reboanti, questo è stato il modo migliore per
fare insieme qualche piccolo passo verso un rapporto all'insegna della verità.
© Copyright RagionPolitica 20 gennaio 2002
|
|
| |
| |