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Il Papa in Medio Oriente andrà in una moschea e al museo della Shoah
di Andrea Tornielli

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Il Papa va in Israele perché “lì sono le nostre radici”]
 
Il viaggio del Papa in Israele non è ancora stato annunciato ufficialmente e fino all’ultimo potrà essere rinviato, nel caso la situazione a Gaza non sia pacificata, ma la diplomazia d’Oltretevere e quella israeliana hanno già concordato nei dettagli il programma.

E l’agenda messa a punto nelle ultime settimane prevede il giorno stesso dell’arrivo a Gerusalemme una sosta al museo della Shoah di Yad Vashem, dove si trova il padiglione con la contestata didascalia sotto l’immagine di Pio XII. Così come prevede anche la visita a una moschea in Giordania.

Il viaggio in Israele era sembrato in forse nel momento più difficile della crisi scaturita dalle dichiarazioni del vescovo lefebvriano Williamson sulle camere a gas, ma la macchina dei preparativi non si è in realtà mai interrotta. Com’era accaduto per lo storico pellegrinaggio di Giovanni Paolo II nel 2000, la visita papale inizierà da Amman, in Giordania, dove l’arrivo di Benedetto XVI è previsto l’8 maggio. Il giorno successivo Raztinger entrerà nell’antica basilica dedicata a Mosè sul monte Nebo e si affaccerà dal parapetto che permette di vedere dall’alto la Terra Promessa. Qualche ora dopo il Papa entrerà per la seconda volta in una moschea, dopo la visita e l’inattesa preghiera nella moschea Blu di Istanbul, nel novembre 2006.

Il 10 maggio è prevista la celebrazione della messa per la comunità cattolica nello stadio di Amman, seguita dalla visita al sito del battesimo di Gesù sul fiume Giordano. L’11 maggio da Amman il Pontefice volerà a Tel Aviv. Quel pomeriggio, dopo l’incontro con il presidente di Israele, Ratzinger andrà nel museo di Yad Vashem, recentemente rinnovato.

La Santa Sede spera ancora che per quella data, la contestata didascalia che presenta Pio XII come insensibile al dramma degli israeliti perseguitati possa essere rivista e formulata diversamente, come peraltro hanno già chiesto diverse autorevoli personalità del mondo ebraico, tra le quali lo storico inglese sir Martin Gilbert. In ogni caso, la didascalia non dovrebbe costituire un intralcio e l’omaggio al memoriale delle vittime dell’Olocausto si terrà comunque, anche se con tutta probabilità Benedetto XVI eviterà di attraversare il padiglione contestato con la fotografia del predecessore.

Martedì 12 maggio Ratzinger incontrerà il Gran Mufti di Gerusalemme, poi sosterà davanti al Muro del Pianto, quindi visiterà il Cenacolo e incontrerà i due Gran Rabbini d’Israele. Una messa all’aperto è prevista nella Josafat Valley, sotto l’Orto degli Ulivi. Il 13 maggio sarà la giornata dedicata all’Autorità palestinese. Benedetto XVI giungerà in elicottero nei Territori, incontrerà Abu Mazen, quindi celebrerà la messa nella piazza della Mangiatoia, come fece Giovanni Paolo II.

E nel pomeriggio visiterà un campo profughi palestinese. Il penultimo giorno del viaggio, giovedì 14 maggio, sarà dedicato alla Galilea. Il Papa arriverà a Nazareth e celebrerà la messa al Monte del Precipizio. La mattina del 15 maggio, qualche ora prima di ripartire per Roma, Ratzinger entrerà nella basilica del Santo Sepolcro. «La presenza di Benedetto XVI in Israele è un fatto positivo – dice al Giornale il presidente dell’assemblea dei rabbini italiani, Giuseppe Laras – e speriamo che da qui a maggio le tensioni e le difficoltà scaturite dalla recente crisi siano state superate».

Rimane invece un’incognita la situazione di Gaza. È infatti molto improbabile che il viaggio possa avvenire se nell’area sono in corso operazioni belliche.


© Copyright Il Giornale, 9 febbraio 2009

Il Papa va in Israele perché “lì sono le nostre radici”

Anche se la situazione di Gaza è a oggi ancora un’incognita - e, dunque, fino a che non si ha la certezza che nell’area non vi sono in corso operazioni belliche, il programma non verrà comunicato - in Vaticano si sta lavorando sodo per la preparazione del viaggio del Pontefice in Israele. Lo ha confermato ieri mattina lo stesso Benedetto XVI durante l’incontro in Vaticano coi presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane, la “Conference of presidents of major american. Jewish organizations”: «Mi sto preparando a una visita in Israele e Terra Santa per i cristiani così come per gli ebrei, poiché le radici della nostra fede vanno trovate lì», ha detto il Papa.

Il lavoro della Santa Sede è concentrato su tre fronti: da una parte, appunto, il programma che nell’ordine dovrebbe portare il Papa - nel mese di maggio - prima in Giordania, poi in Israele e infine nei territori palestinesi. Dall’altra si lavora per i cristiani arabo-palestinesi. Ovvero perché tutti i cristiani presenti possano seguire liberalmente il Pontefice nei suoi spostamenti nei territori pieni di check point e insidie. Se la cosa riuscirà, la popolazione potrà godere, almeno per qualche giorno, di una piena libertà di movimento in piena sicurezza. E, infine, si lavora sulla didascalia presente nel museo di Yad Vashem, la quale presenta Pio XII come insensibile al dramma degli israeliti perseguitati. Pare che vi siano accordi tra le due parti per modificare il testo e, pare, che la cosa si possa fare quanto prima.

Oltre al museo della Shoah di Yad Vashem, il viaggio dovrebbe comprendere le visite a una moschea in Giordania, all’antica Basilica dedicata a Mosè sul monte Nebo, al sito del battesimo di Gesù sul fiume Giordano, al Muro del Pianto e al Cenacolo, alla piazza della Mangiatoia, a Nazareth, al Monte del Precipizio e alla basilica del Santo Sepolcro. Benedetto XVI incontrerà il Gran Mufti di Gerusalemme, i due Gran Rabbini d’Israele, il presidente di Israele e Abu Mazen.

L’annuncio viene dopo le dichiarazioni dello stesso Benedetto XVI sulla guerra di Gaza ritenute, da parte israeliana, troppo sbilanciate verso Hamas e, soprattutto, dopo i giorni di aspra tensione a motivo delle tesi negazioniste sull’Olocausto avanzate dal vescovo lefebvriano Richard Williamson al quale il 21 gennaio scorso Ratzinger aveva revocato la scomunica. Benedetto XVI ha ribadito quanto già aveva detto due settimane fa durante l’udienza generale del mercoledì: la Shoah - ha detto - è «un crimine contro Dio e l’umanità». E ha sottolineato che è «inaccettabile e intollerabile» chi, tra gli uomini di Chiesa, la nega o la minimizza.

Benedetto XVI ha ricordato quando Wojtyla, al Muro del Pianto a Gerusalemme durante la sua visita nel marzo 2000, chiese perdono a Dio «per tutte le ingiustizie che il popolo ebraico ha dovuto soffrire». La Chiesa cattolica, ha detto, è «profondamente e irrevocabilmente impegnata nel rifiutare ogni anti-semitismo». E ha ricordato il Concilio Vaticano II, una «pietra miliare» nelle relazioni ebraico-cattoliche.

Il mondo ebraico ha reagito con soddisfazione a queste nuove parole del Pontefice. In particolare parole significative sono arrivate dal rabbino Arthur Schneier il quale, lo scorso aprile, aveva ospitato il Papa nella sua sinagoga di New York: «Le nostre relazioni, basate sulle solide fondamenta del Concilio Vaticano II possono sopravvivere a periodiche cadute» e «noi possiamo riemergere» da queste «ancora più forti per lavorare insieme nell’affrontare le sfide alla nostra civilizzazione».

Ma forse le parole più gradite oltre il Tevere sono state quelle del rabbino David Rosen. Presidente dell’International Jewish Committee for Inter-religious Consultations (Ijcic) e direttore internazionale per gli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee (Ajc), Rosen criticò energicamente il Papa per il caso Williamson. Ieri ha però smorzato ogni polemica dicendo: «Tutta la faccenda ha creato molti danni, al rapporto tra ebrei e cattolici e alla Chiesa stessa, ma anche qualche vantaggio. E, alla fine, abbiamo rafforzato le nostre relazioni».


© Copyright Il Riformista, 13 febbraio 2009

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