Tra le più importanti intellettuali del Novecento,
vi sono due giovani donne di origine ebraica, olandese una e francese
l'altra, entrambe morte prematuramente nel 1943, la prima nel campo di
concentramento di Auschwitz, la seconda in Inghilterra, stremata dalla
malattia e dagli stenti mentre è impegnata nella Resistenza.
Due donne che
hanno lasciato parole autentiche di speranza, pur nella tragedia del loro
tempo. All'una che scrive nel suo diario "devi venire a capo dei fatti di
questo mondo; in nessuna situazione puoi chiudere gli occhi, devi
"confrontarti" con questi tempi orribili, e cercare una risposta alle
numerose questioni di vita e di morte che essi ti pongono. E allora forse
troverai una risposta ad alcune di esse, non solo per te ma anche per gli
altri", sembra quasi rispondere l'altra quando scrive "amiamo la patria
terrena, essa è reale e resiste all'amore. È lei che Dio ci ha dato da
amare; e ha voluto che ciò fosse difficile, ma possibile" (Attesa di Dio, Adelphi, 2008). Beatrice Iacopini e Sabina Moser, studiose italiane che
insegnano religione nei licei, hanno accostato le pagine lasciateci dalle
due eroiche giovani, pagine che si distinguono nel pensiero contemporaneo
per la loro forza e originalità. E anche per il loro profondo spessore,
specie attorno a quello che da sempre costituisce uno degli oggetti
principali della riflessione umana, e cioè il senso del male.
Nel volume Uno sguardo nuovo. Il problema del male in Etty Hillesum e
Simone Weil (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, pagine 236, euro 14),
le voci delle due intellettuali - così diverse tra loro eppure così
consonanti - vengono avvicinate nel loro offrire una nuova prospettiva da
cui guardare e, soprattutto, vivere le sofferenze e le brutalità del mondo.
Davvero queste voci così terribilmente attuali, pronte già per il futuro e
illuminanti sul nostro vissuto umano, spalancano gli occhi con uno sguardo
diverso sulla realtà. Uno sguardo positivamente stupefatto, capace di non
soccombere al dolore e all'incomprensibilità, mediante una profonda apertura
all'Amore.
Perché se il male rimane uno scandalo troppo grande per essere rimosso,
queste due giovani donne (pur nelle contraddizioni e nelle debolezze della
loro quotidianità) hanno dimostrato - Simone Weil innanzitutto con la sua
esperienza di lavoro operaio, Etty Hillesum facendosi volontariamente
internare in un campo di smistamento nazista - "che si può sempre vivere
nell'onestà dell'intelligenza e nella pratica della virtù", come scrivono
Iacopini e Moser, il cui merito è senz'altro quello di incuriosire alla
conoscenza di Hillesum e Weil quanti, specie i giovani con cui lavorano, non
le conoscono ancora.
Pur così diverse - il silenzio interiore della Hillesum trova il suo
contraltare nell'accettazione del vuoto della Weil; più immediata e pacifica
l'una, più spigolosa e tormentata l'altra - nel loro percorso di
ridimensionamento dell'io, di passaggio accidentato ma radicale all'Amore,
di incontro autentico con il Signore grazie all'esperienza spirituale, Etty
Hillesum e Simone Weil offrono una luminosità di pensiero, che rende
l'accettazione e l'amore per il prossimo concreta forza vivificante.
(©L'Osservatore Romano - 24 aprile 2010)
[Un
brano dal Diario di Etty Hillesum]
L’amicizia con uno "psicoanalista" attratto dal cristianesimo la avvicinò
alla lettura dei "testi sacri". La sua "spiritualità" si manifestava
nell’«abbandono» al "mistero religioso".
Così parla di Simone Weil Jean Baptiste Gourion:
Eccellenza, lei è cresciuto in ambiente ebraico. Come ha incontrato il
cristianesimo?
La mia conversione è maturata leggendo Simone Weil. Le sue riflessioni
sulla Shoah, in particolare sulla sofferenza dei giusti, mi hanno provocato
un autentico choc. Ho iniziato così un cammino spirituale lungo il quale ho
incontrato la fede. Ad un certo punto, non so esattamente quando, mi è
diventato chiaro che tutto l'immenso dolore degli uomini Dio l'aveva fatto
proprio, l'ha preso sulle sue spalle. Le sembrerà strano ma sono diventato
credente quasi senza accorgermi.