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OY, OY, OY !
Festival internazionale di cultura ebraica
1-10 giugno 2007
La seconda edizione del Festival si svolge in un'area
territoriale allargata, con al centro Casale Monferrato, da venerdì 1 a
domenica 10 giugno 2007.
Patrocinatori e sponsor della manifestazione sono:
- la Città di Casale Monferrato
- la Provincia di Alessandria
- la Regione Piemonte
- l'Ucei (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane)
- la Fondazione Cral
- la Fondazione Crt
Viene rafforzato il radicamento territoriale con un
maggiore coinvolgimento delle associazioni di volontariato, delle
organizzazioni di commercianti e imprenditori, oltre ad una
disseminazione territoriale nelle città di Alessandria, Valenza, Asti,
Moncalvo, Vercelli e Trino.
In generale é valorizzata la promozione storico-artistica del territorio
e verranno proposti ai visitatori anche percorsi guidati al patrimonio
storico culturale locale (palazzi storici, piazze, musei e cortili) e al
patrimonio enogastronomico.
Visite guidate nelle Sinagoghe e tra i beni artistici e architettonici di
Casale Monferrato (con una delle più belle Sinagoghe d'Europa), Vercelli,
Alessandria, Asti e Moncalvo.
UN PONTE (GHESCER) CULTURALE
DAL MONFERRATO
Fin dai tempi di Abramo, di Mosè e di Daniele, la vita ebraica è sempre
stata segnata dalla lontananza. Da duemila anni in qua, fino alla fondazione
dello Stato di Israele, la cultura ebraica è stata elaborata per lo più
lontano dalla sua terra originaria: in Mesopotamia e in Spagna, in Francia e
in Egitto, in Polonia e anche molto in Italia, sede con Roma delle più
antica comunità ebraica occidentale, ininterrottamente attiva da più di due
millenni.
Questa condizione di lontananza è testimoniata perfino nel nome: ivrì,
ebreo, è secondo l'etimologia più diffusa, è colui che passa, che attraversa
- fiumi, frontiere, difficoltà, persecuzioni, generazioni. Essa ha due
aspetti. Da un lato è esilio, galut, lontananza dolorosa e luttuosa,
dipendenza da potenze ostili, pericolo, impossibilità di vera autonomia.
Dall'altra è incontro, scambio, missione. Israele non ha velleità di
convertire gli altri popoli, ma fin dai tempi biblici si sente investito di
una missione sacerdotale e sa di dover lavorare per la diffusione universale
del monoteismo: un giorno, si recita nelle preghiere quotidiane, tutti
riconosceranno l'unità di D-o e perfino il suo nome sarà uno.
La disseminazione (diaspora) dell'ebraismo nel mondo da questo punto
di vista è un fatto positivo, è, letteralmente, semina. Riconoscere i giusti
nelle nazioni che incontra è una delle missioni che Israele ha sempre
compiuto volentieri, dall'Avimelech biblico a Carlo Alberto onorato
ancora oggi in tutte le sinagoghe del Piemonte per aver decretato
l'emancipazione, ai Giusti delle Nazioni che hanno sottratto delle vittime
al nazismo e sono celebrati in Israele.
Anche la cultura ebraica ha avuto nei secoli lo stesso doppio aspetto. Da un
lato è stata una costruzione interna straordinariamente ricca e
complessa, con i suoi maestri e le sue scuole, le sue fasi e le sue
discussioni. Solo pochi nomi di questa grande elaborazione culturale sono
arrivati alla notorietà nel mondo occidentale, per esempio Maimonide o i
chassidim dell'Europa orientale. Ma per quantità e qualità la cultura
ebraica interna ha dimensioni e complessità pari a quella della
grande tradizione europea, ricca com'è di riflessione teorica e di poesia,
di legislazione e di costumi quotidiani.
Tale cultura interna, ma non necessariamente segreta o esoterica,
solo appartenente a un certo popolo ed espressa nella sua lingua, è forse il
solo esempio al mondo di una civiltà senza territorio, custodita nei cuori e
nei gesti, non da confini ed eserciti.
Accanto a essa vi è una cultura esterna, frutto degli incontri e
degli scambi, attiva in parte da sempre: si pensi al ruolo delle traduzioni
ebraiche dall'arabo nelle lingue occidentali durante il medioevo, o alla
medicina ebraica. Essa però è esplosa in Occidente a partire dalla
modernità, di cui è una componente essenziale. Sarebbe impossibile concepire
il mondo occidentale contemporaneo senza Freud e Marx, Kafka e Wittegenstein,
Mahler e Proust, solo per fare alcuni nomi a caso.
È importante comprendere che la cultura esterna non ha in alcun modo
sostituito o ibridato quella interna. Essa è il frutto di un
incontro, di uno scambio, che non è stato certamente innocuo o indolore, ma
è stato un terreno di scambio, di incontro, un ponte fra le culture. Come i
numerosi linguaggi misti che le comunità ebraiche hanno elaborato nei loro
diversi soggiorni, dal più celebre, l'yiddish ebraico tedesco, fino al
giudaico-piemontese e al dialetto della comunità di Roma.
Vi sono stati luoghi in cui l'incontro fra ebraismo e nazioni ospitanti è
stato particolarmente difficile e doloroso, fino all'orrore della Shoà. E vi
sono stati luoghi in cui il rapporto è stato generalmente più facile e
costruttivo, intessendo rapporti e collaborazioni per secoli.
Il Monferrato è stato una di queste zone di scambio e di ospitalità, fin dai
tempi dei Paleologi e dei Gonzaga. Le sinagoghe sparse per città e cittadine
ne sono uno splendido ricordo. Ma ancora questa collaborazione vive e il
dialogo dà frutti. Celebrare questo rapporto con un festival vuol dire non
solo far vedere la diaspora ebraica nella sua dimensione di apertura, ma
anche mettere in mostra e valorizzare la vocazione all'ospitalità di queste
terre.
v. anche, nel sito:
Intenso
mese di eventi a Casal Monferrato per il festival ebraico 2006
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