Nel «Gesù di Nazareth», Ratzinger e il Rabbino
Filippo Rizzi su Avvenire 23 maggio 2007

Vedi anche:
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   Il dialogo fra il teologo Ratzinger ed il rabbino Neusner
   Il Rabbino che ha illuminato il Papa
   Il Rabbino del Papa raccontato da Time

Più del suo «maestro» Guardini, addirittura più di sant’Agostino... Nel suo recente volume, il Pontefice cita volentieri Jacob Neusner, ebreo osservante che indaga su Cristo. Parla padre Stock, segretario della Commissione Biblica Internazionale. «Il libro del Papa faciliterà il dialogo col giudaismo, ma aiuterà pure gli esegeti ad approfondire ed entrare con più rispetto e rigore nella storicità dei Vangeli»

«Un libro che aiuterà ancora di più gli esegeti e gli esperti di critica testuale a studiare, ad approfondire ma anche a entrare, con più rispetto e rigore, nel mistero di Gesù e nella storicità dei Vangeli».

Così, dal suo studio romano del Pontificio Istituto Biblico, (un luogo simbolo per gli studiosi di Sacra Scrittura, dove si sono formati biblisti di fama internazionale come Martini, Bea, Lyonnet, Vanhoye, Schoekel), Klemens Stock - un gesuita tedesco dai tratti gentili, tra i più autorevoli esperti dei Vangeli sinottici, chiamato proprio dall'allora cardinale Ratzinger a rivestire dal 2004 il ruolo di segretario della Pontificia commissione biblica internazionale - legge l'ultima fatica di Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. «Mi ha colpito da subito, sfogliando le prime pagine - racconta padre Stock - il grande apprezzamento che il Santo Padre dà, e cito le sue parole, al "metodo storico, che è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico". Ma non solo: il rispetto di un papa-teologo verso il lavoro di noi esegeti».

Lei ha lavorato per tanti anni a fianco del cardinale Ratzinger, prima come membro e poi come segretario della Pontificia commissione biblica internazionale. Si aspettava un libro su Gesù e sui Vangeli?

«Non saprei dare una risposta esaustiva. Ho potuto notare come il Papa ha voluto ribadire che non c'è una contrapposizione tra il "Gesù storico" e il "Cristo della fede". E mi è sembrato bellissimo che un Papa abbia voluto ribadire un fatto che, a causa della distorsione di certe pubblicazioni, non è più accettato come verità: cioè che la fede biblica è basata su fatti storici e che Gesù è una persona realmente esistita, vissuta in un determinato Paese».

Un libro, comunque, che prende le distanze da una certa «esegesi liberale». Penso ad esempio ad alcune osservazioni sollevate da Papa Ratzinger sugli scritti di Jaspers, di Adolf von Harnack o di John Meier.

«Il Papa prende le distanze propri o da alcune teorie ultimamente in voga: non accetta che il vero Gesù storico sia visto come un grande maestro e moralista, un contadino galileo, un filosofo itinerante, un rivoluzionario e così via. Basti vedere come il Papa, quasi a bilanciare questa tendenza, riparta dai Padri della Chiesa e dalla loro esegesi. (Cita più volte, e non a caso, uno dei massimi studiosi di patristica del '900, Jean Daniélou, con il suo famoso libro Bibbia e liturgia). Chiede dunque al lettore di entrare più nel profondo, che è poi il messaggio centrale del libro, riconoscere in Gesù il figlio di Dio. Ma non solo. Scoprire in lui il rapporto particolare con il Padre nella cui volontà e conoscenza si rivela il Gesù vero, quello trasmesso dai Vangeli».

Un altro aspetto che ha impressionato, nel libro, è il riconoscimento che il Pontefice dà agli studi del rabbino statunitense Jacob Neusner, citato più del suo maestro Romano Guardini o di sant'Agostino. Qual è la sua impressione?

«Mi è sembrato un grande riconoscimento anche per sottolineare che Gesù era veramente ebreo e osservava la Torah, ma anche per ribadire ai cristiani di oggi che "Gesù viene chiamato figlio di Dio in riferimento al Dio di Israele e non di qualsiasi dio pagano". Ratzinger si riferisce spesso a Neusner e al suo libro Un rabbino parla con Gesù, specialmente nella spiegazione che l'autore dà del Discorso della Montagna. Neusner cerca di comprendere Gesù con grande rispetto e simpatia e dice con sincerità di non essere in grado di accettare i suoi insegnamenti».

Un «Gesù di Nazaret» che permetterà di facilitare dunque il dialogo tra ebraismo e cristianesimo?
«Credo di sì. Devo dire che vedo una grande continuità ideale, in questo libro, con due documenti della Pontificia commissione biblica internazionale: uno del 1993 L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa e quello del 2001 Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana. Do cumenti che portano la firma del cardinale Ratzinger. Per noi cristiani viene ribadita una verità chiara: il Nuovo Testamento porta all'Antico, di cui Gesù è il compimento».

Si evince la passione del Papa-teologo per la Parola di Dio.

«Mi sembra che il Santo Padre riconosca il grande valore dello studio della Parola di Dio non solo per noi esegeti, ma anche per la teologia contemporanea. Bellissima mi è sembrata la frase: "L'uomo avverte la necessità di abbeverarsi alla Parola di Dio". Mi è parso che il Pontefice, con questo libro, abbia voluto ricordare che Gesù attraverso i Vangeli parla all'uomo di oggi e che essi devono continuare ad essere il terreno e la base di meditazione di ogni singolo credente, nella preghiera personale e comunitaria».

Quale altro aspetto infine l'ha colpita di questa pubblicazione?

«Ho trovato grandi affinità con uno dei libri che fece conoscere il giovane teologo bavarese al mondo scientifico: Introduzione al cristianesimo, scritto quasi 40 anni fa, nel 1968. Mi è sembrato, come allora, che al centro della ricerca del Papa ci sia la figura di Gesù. Difatti Ratzinger, in questo libro, non fa altro che ribadire che Gesù è il cuore del cristianesimo. Mi auguro che il Pontefice possa pubblicare anche il secondo volume e farci entrare così ancora più nel vivo delle verità fondamentali e centrali della fede».

Il rabbino sta col Papa                    
Giorgio Bernardelli, su Avvenire 1 giugno 2007

Lo studioso ebreo citato nel «Gesù di Nazaret» di Ratzinger ha pubblicato un articolo sul «Jerusalem Post». Elogiando il Pontefice. Neusner: «Col suo libro le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Possiamo incontrarci in un promettente esercizio di ragione e di critica». «Negli ultimi due secoli ci siamo parlati per fare riconciliazione sociale; ora finalmente si torna a confrontarsi sulla questione della verità»

«Benedetto XVI è un cercatore della verità. Quelli che stiamo vivendo sono tempi interessanti». Parola di Jacob Neusner, il rabbino newyorkese ampiamente citato dal Papa nel suo libro Gesù di Nazaret. Parola resa ancora più significativa dall'uditorio ebraico cui è stata rivolta. Si tratti infatti del passaggio finale di un lungo articolo di Neusner pubblicato l'altro giorno sul quotidiano israeliano Jerusalem Post. Un testo in cui il rabbino ripercorre la storia dei suoi studi e il suo rapporto con Ratzinger.

«Immaginate il mio stupore quanto mi è stato detto che una risposta cristiana al mio libro A Rabbi Talks with Jesus era contenuta nel capitolo quarto del libro di Benedetto XVI», scrive. Ma soprattutto l'articolo di Neusner è un invito a considerare il volume di Joseph Ratzinger come l'apertura di una pagina nuova nel rapporto tra ebrei e cristiani. Prende le mosse da lontano, l'autore. «Nel Medio Evo - scrive - i rabbini erano costretti a impegnarsi, davanti a re e cardinali, in dispute con i sacerdoti su quale fosse la vera religione, l'ebraismo o il cristianesimo. Il risultato era scontato: i cristiani vincevano perché avevano la spada. Poi nell'era del secondo dopoguerra le dispute hanno lasciato il posto alla convinzione che le due religioni dicano la stessa cosa; le differenze sono state perciò ridotte a questioni secondarie. Ora invece è iniziato un nuovo tipo di disputa, nel quale è la verità delle due religioni a essere al centro del dibattito».

È la prospettiva scelta da Neusner in A Rabbi Talks with Jesus, il suo libro pubblicato nel 1993 (in italiano Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, Piemme 1996). «Negli ultimi due secoli il dialogo ebraico-cristiano è servito come un mezzo per politiche di riconciliazione sociale - spiega l'autore -, non è stato più un'indagine religiosa sulle convinzioni dell'altro. Il negoziato ha preso il posto del dibattito, e si è pensato che la pretesa di verità della propria religione violasse le regole di buona condotta.

Nel mio libro invece ho preso sul serio l'affermazione di Gesù secondo cui in lui la Torah trova compimento e ho messo a confronto questa affermazione con gli insegnamenti di altri rabbini, in una sorta di colloquio tra maestri della Torah. Spiego in una maniera lucida e niente affatto apologetica perché, se fossi vissuto nella Terra di Israele del primo secolo e fossi stato presente al Discorso della Montagna, non mi sarei unito al gruppo dei discepoli di Gesù. Avrei detto no (anche se in maniera cortese) e sono sicuro di avere dalla mia parte solide ragioni e fatti».

È una prospettiva - precisa il rabbino - che non indebolisce il dialogo, ma all'opposto lo rafforza. «Per molto tempo - si legge ancora nell'articolo apparso sul Jerusalem Post - gli ebrei hanno lodato Gesù come rabbino, un ebreo veramente come noi; ma per la fede cristiana in Gesù Cristo questa affermazione è assolutamente irrilevante. D'altra parte i cristiani hanno lodato l'ebraismo come la religione da cui è venuto Gesù, ma per noi questo è difficilmente un vero complimento. Io - aggiunge ancora Neusner - sottolineo le scelte diverse che sia l'ebraismo sia il cristianesimo compiono davanti alle Scritture che condividono. I cristiani capiranno meglio il cristianesimo se saranno consapevoli delle scelte che hanno compiuto; e lo stesso vale anche per gli ebrei rispetto all'ebraismo. Voglio spiegare ai cristiani perché io credo all'ebraismo; e questo dovrebbe aiutare loro a identificare quali sono le convinzioni che invece li portano in chiesa ogni domenica».

Un compito sul quale ora Benedetto XVI rilancia. «Quando il mio editore mi chiese di consigliargli a quali colleghi chiedere di presentare il mio libro - scrive -, suggerii il rabbino capo Jonathan Sacks e il cardinale Joseph Ratzinger. Avevo ammirato gli scritti del cardinale Ratzinger sul Gesù della storia e gli avevo scritto per dirglielo. Lui mi aveva risposto e ci eravamo scambiati scritti e libri. La sua volontà di confrontarsi con la questione della verità e non solo con le politiche della dottrina, mi era sembrata coraggiosa e costruttiva. Ora però Sua Santità ha compiuto un passo ulteriore e ha risposto alla mia critica con un esercizio di esegesi e teologia. Col suo Gesù di Nazaret le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo in grado di incontrarci l'un l'altro in un promettente esercizio di ragione e critica. Le parole del Monte Sinai ci portano insieme a rinnovare una tradizione lunga duemila anni di dibattito teologico al servizio della verità di Dio».

Il teologo Ratzinger ed il rabbino Neusner in dialogo     

L’ebreo osservante e il teologo sulla montagna delle Beatitudini
Joseph Ratzinger parla di (e con) Jacob Neusner nel quarto capitolo del suo “Gesù di Nazaret”, quando prende in esame i tre capitoli del vangelo di Matteo, dal quinto al settimo, che raccolgono il Discorso della montagna.

Per il Papa questa, che viene presentata come la Magna Carta della vita cristiana, è “la nuova Torah, portata da Gesù” dopo quella consegnata al popolo di Israele da Mosé. Del Discorso della montagna fanno parte le Beatitudini (con le quali erroneamente spesso viene identificato, mentre ne costituiscono solo l’introduzione programmatica) che, spiega Ratzinger, “vengono non di rado presentate come l’antitesi neotestamentaria al Decalogo”. Questa interpretazione, per il Papa, “fraintende completamente” il senso delle parole di Gesù” nel senso che il Discorso della montagna “riprende i comandamenti della seconda tavola, e li approfondisce, non li abolisce… Gesù non pensa di abolire il Decalogo, al contrario: lo rafforza”.

A questo punto il Papa passa in rassegna analiticamente i paradossi delle Beatitudini (Mt 5, 3-12), leggendole tutte e nove alla luce del loro carattere cristologico: “Le Beatitudini sono la trasposizione della croce e della resurrezione nell’esistenza dei discepoli… sono come una nascosta biografia interiore di Gesù, un ritratto della sua figura… nelle Beatitudini si manifesta il mistero di Cristo stesso”. Contemporaneamente Benedetto XVI sottolinea sempre il riferimento veterotestamentario delle parole di Gesù (i Salmi, il libro dei Numeri, il profeta Zaccaria, Ezechiele, il libro di Daniele) mostrando il suo radicamento nella storia del popolo eletto.

Terminata l’esegesi delle Beatitudini, il Papa si occupa della pretesa di Gesù, della sua nuova Torah: “Fu detto – ma io vi dico”. E qui entra in scena il rabbino Jacob Neusner e il suo libro “A Rabbi Talks with Jesus: An Intermillennial, Interfaith Exchange”, New York 1993), un rabbino parla con Gesù.

Neusner, scrive il Papa, “si è, per così dire, inserito tra gli ascoltatori del Discorso della montagna e ha poi cercato di avviare un colloquio con Gesù… Questa disputa, condotta con rispetto e franchezza fra un ebreo credente e Gesù, il figlio di Abramo, più delle altre interpretazioni del Discorso della montagna a me note, mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo. Così… desidero entrare anch’io, da cristiano, nella conversazione del rabbino con Gesù, per comprendere meglio, partendo da essa, ciò che è autenticamente ebraico e ciò che costituisce il mistero di Gesù”. Ratzinger – ha ricordato il cardinale Christoph Schönborn nella presentazione del libro avvenuta in Vaticano il 13 aprile scorso – definì il libro del rabbino Neusner come “il saggio di gran lunga più importante per il dialogo ebraico-cristiano che sia stato pubblicato nell’ultimo decennio”.

“Il dialogo del rabbino con Gesù – scrive il Papa – mostra come la fede nelle parola di Dio presente nelle Sacre Scritture crei contemporaneità attraverso i tempi: a partire dalla Scrittura il rabbino può entrare nell’oggi di Gesù e a partire dalla Scrittura Gesù viene nel nostro oggi… è un dialogo molto schietto”. “Cerchiamo ora di riprendere l’essenziale di questo colloquio per conoscere meglio Gesù e comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei”. Il rabbino Neusner, “nel suo dialogo interiore, aveva seguito Gesù per tutto il giorno e ora si ritira per la preghiera e lo studio della Torah con gli ebrei di una cittadina, per poi discutere le cose sentite – sempre nell’idea della contemporaneità attraverso i millenni – con il rabbino del luogo”.
Essi ora paragonano gli insegnamenti di Gesù con quelli della tradizione ebraica.
Il rabbino chiede a Neusner: “È questo che il saggio Gesù aveva da dire?”.
Neusner: “Non precisamente, ma quasi”.
“Che cosa ha tralasciato?” “Nulla”.
“Che cosa ha aggiunto allora?” “Se stesso”.

“Questo è il punto centrale dello ‘spavento’ dell’ebreo osservante Neusner di fronte al messaggio di Gesù – commenta il Papa – il motivo centrale per cui egli non vuole seguire Gesù e rimane fedele all’Israele Eterno”. Neusner, per spiegare il suo rifiuto, cita la parola di Gesù al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto (la perfezione richiesta dalla Torah, ndr) va’ vendi tutto quello che hai e seguimi”. Tutto dipende, dice Neusner “da chi si intenda con questo mi”. E conclude: “Ora mi rendo conto che solo Dio può esigere da me quanto Gesù richiede”.

Notava il cardinal Schönborn nella sua presentazione: “Il rabbino Neusner è così importante per il libro di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, proprio perché egli oppone un netto rifiuto a tutti i tentativi di scindere il Gesù storico dal Gesù del dogma della chiesa.
Non è stata la chiesa, e neanche l’apostolo Paolo a innalzare un predicatore ambulante della Galilea, mite, liberale, profetico, apocalittico o come altro sia, al rango di Figlio di Dio, ma egli stesso accampa una pretesa, in tutto il suo fare e dire, che spetta solo a Dio. È questa la tematica centrale del libro. Si tratta della domanda di Gesù a Cesarea di Filippo: ‘Ma voi, chi dite che io sia?’ (Mt 16, 15)”.

Il Rabbino che ha illuminato il Papa                
Andrea Monda, Il Foglio, 16 maggio 2007

Ratzinger dice che Neusner gli ha “aperto gli occhi” Lui spiega al Foglio che il dibattito è meglio del dialogo.

Non c’è Von Balthasar. E nemmeno Rahner e Congar (e Wojtyla). De Lubac giusto una volta, Danielou due volte e Agostino, il “suo” Agostino, tre volte soltanto. E’ interessante, a volte, leggere un libro a ritroso, partendo dalle ultime pagine, anzi, dall’indice dei nomi. Se poi il libro è quello di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, un’occhiata alle “fonti” è tentazione troppo forte a cui resistere.

E le sorprese non mancano, non solo per le assenze ma anche per le “presenze”, come quella dell’anglicano C.S. Lewis, l’autore delle “Cronache di Narnia”, ma la più notevole delle quali è senz’altro quella di Jacob Neusner a cui Benedetto XVI dedica intere pagine, proprio nel cuore del suo saggio, nel capitolo dedicato all’esame del Discorso della montagna.

Neusner, chi era costui? Anzi, chi è, visto che il settantacinquenne Rabbi Jacob è attivo come non mai. Nato ad Hartford nel Connecticut nel 1932, sposatosi nel 1964 e padre di quattro figli, Jacob Neusner è un rabbino culturalmente influente quanto raffinato, tra i massimi esperti delle Sacre Scritture ebree: ad oltre novecento ammontano le sue pubblicazioni su Torah, Mishnah, Talmud e sui Midrash. Ha insegnato in diverse università americane (Columbia, Wisconsin, Dartmouth…) e dal 1994 insegna Storia e Teologia del giudaismo al Bard College dello stato di New York.

Ma forse il suo ritratto migliore è quello che gli dedica il Papa a pagina 129 del suo saggio su Gesù di Nazaret quando riconosce il “grande aiuto” che ha ricevuto dalla lettura del libro di Neusner “A Rabbi Talks with Jesus: An Intermillennial, Interfaith Exchange”, New York 1993) (tradotto in italiano da Piemme, Casale Monferrato, nel 1996 col titolo “Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù” e ora, purtroppo, introvabile). Scrive Benedetto XVI che “Neusner, un ebreo osservante e rabbino, è cresciuto in amicizia con cattolici ed evangelici, insegna all’università insieme con teologi cristiani e nutre un profondo rispetto nei confronti della fede dei suoi colleghi cristiani, ma resta saldamente convinto della validità dell’interpretazione ebraica delle Sacre Scritture. Il profondo rispetto verso la fede cristiana e la sua fedeltà al giudaismo lo hanno indotto a cercare il dialogo con Gesù”.

Parafrasando le parole di Benedetto XVI si potrebbe dire che ora è il Papa che, spinto dal profondo rispetto verso la fede ebraica e dalla sua fedeltà al cattolicesimo, è stato indotto a cercare il dialogo con il Neusner. Il Foglio ha cercato Jacob Neusner per saperne di più di questo dialogo tra un ebreo e un teologo cattolico, iniziato negli anni Novanta attraverso una corrispondenza epistolare privata e ora diventato pubblico grazie al libro su Gesù di Nazaret, che quel teologo ha scritto dopo essere stato eletto Papa.

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Nel suo saggio “Mere Christianity” del 1952 Lewis afferma: “Sto cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza che spesso si sente ripetere: ‘Sono pronto ad accettare
Gesù come grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio’. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale ma un pazzo… oppure il Diavolo”.
Jacob Neusner da buon ebreo non accetta la pretesa di Gesù di essere Dio ma la prende molto sul serio e soprattutto non ama ripetere luoghi comuni come per esempio quello di separare il Gesù storico dal Gesù della fede. Questa sua apertura intellettuale non lo fa però venir meno neanche di un millimetro rispetto alla sua fede nell’Israele Eterno. “Io e il Papa siamo d’accordo sull’asserzione che il Gesù storico non è separato dal Gesù della fede” afferma il rabbino settantacinquenne.
“Nei primi anni Novanta il cardinale Ratzinger, richiamato all’interno della questione della pretesa di conoscenza storica nelle biografie del Gesù storico, fece notare che i risultati di molti di questi lavori erano predeterminati dalle presupposizioni degli storici che li avevano scritti. Nuovi approcci sono seguiti a quello storico-critico, rappresentati di recente dal professore Bruce Chilton, nel suo ‘Rabbi Jesus’ che ha realizzato una biografia interiore, descrivendo il significato religioso delle narrazioni dei Vangeli, compreso quello di Giovanni. Il mio contributo è stato quello di mostrare che il Discorso della montagna, per la gran parte attribuito alle ‘ipsissima verba’ di Gesù, è un documento di una teologia cristiana pienamente sviluppata”.
Jacob Neusner è molto soddisfatto dell’andamento del dialogo tra lui e Ratzinger, persone “fedeli a Dio” che hanno “appreso il rispetto reciproco delle diverse convinzioni: noi partecipiamo a un medesimo compito che è quello di servire Dio e questo non esclude il dibattito. Ciò su cui i due libri insistono è che la pretesa di verità delle religioni non è negoziabile e deve essere affrontata”.
Il rabbino è colpito in particolare dall’affetto del teologo diventato Pontefice, un affetto e un rispetto che si inseriscono “nella tradizione dei doni di Papa Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e del Concilio Vaticano II, e di due generazioni di cristiani che hanno cercato di realizzare questo compito di conciliazione. La chiesa cattolica ha tentato di formare una teologia cattolica del giudaismo e alcune autorità del giudaismo si sono impegnate a rispondere. Tutti questi sforzi sono a un tempo sensibili e delicati ma anche capaci di far nascere frutti”.

Profondo conoscitore delle Scritture, Neusner preferisce entrare nel merito del confronto tra ebrei e cristiani a livello appunto scritturistico, lasciando da parte la pur condivisa critica all’eredità dell’illuminismo che ha fatto sì che la questione ‘de veritate’ sia stata accantonata perché la religione è stata progressivamente considerata, proprio per le sua pretesa di verità, come un elemento di disordine e violenza.

Anche a Neusner non va giù che gli stati laici abbiamo predicato e praticato una indifferenza rispetto alla verità e quindi alle religioni ed è triste, secondo il rabbino, che il dialogo e la “negoziazione” abbiano preso il posto del dibattito e della ricerca. Questa considerazione lo porta a confermare la bontà del suo interloquire col pontefice romano perché “quelli che prendono sul serio la pretesa veritativa delle religioni entrano nel dibattito, basato su premesse condivise, riguardante ciò che è giusto e ciò che è sbagliato”.

Insomma, niente chiacchiere, ma massima concentrazione sul Discorso della montagna, perché è lì che si gioca tutto: “Il vangelo secondo Matteo definisce le basi del dibattito con l’affermazione di Cristo sul fatto che egli sia giunto a portare a compimento la Torah.

Questo è il punto di partenza della discussione, un punto in cui persiste un criterio condiviso di verità. E’ un’impresa degna di essere affrontata. Il risultato della discussione è chiarire le scelte fatte dai partecipanti al dibattito, le alternative che si trovano di fronte a ciascuno di essi, e le conseguenti forme di sistema religioso difese da ognuno. Lo studio comparativo delle religioni chiarisce il carattere delle religioni che sono comparate e rinforza da entrambi i lati la fede nelle proprie rispettive posizioni”.

Se queste sono le premesse è scontata la risposta sul tema della tendenza, presente in molti stati occidentali, di ridurre lo spazio pubblico delle religioni che devono essere costrette nell’ambito privato, personale, interiore.
“La religione è una faccenda pubblica e sociale, è qualcosa che la gente compie insieme. Ridurre la religione a qualcosa di privato e di personale è trattare la religione come qualcosa di insignificante. Ma la stragrande maggioranza degli esseri umani in tutto il mondo pratica una religione che è pubblica e che ha una pesante relazione con la sfera politica. Nella storia e nella contemporaneità il cristianesimo, il giudaismo, l’islam, il buddismo e le altre religioni del mondo esprimono giudizi sulla condizione umana e definiscono la cultura per la maggior parte dell’umanità, come hanno dimostrato gli studi sociali di padre Andrew Greely dell’Università di Chicago e dell’Arizona. Dobbiamo sempre ricordarci che solo alcune nazioni hanno intrapreso il sentiero di secolarizzazione, solo alcune, non la maggior parte”.

Per Neusner, e questo è un altro punto di accordo con l’impostazione ratzingeriana, la religione ebraica insieme a quella cristiana, rappresentano il vero “illuminismo”, perché portano la luce della ragione in un mondo pagano oscuro e violento, e questo lo si comprende bene rispetto al problema della concezione della vita: “Abbiamo appreso la lezione della guerra e dell’Olocausto, che ci ha insegnato ad apprezzare il carattere sacro, inviolabile della vita, anche dei non nati. Il giudaismo e il cristianesimo stanno dalla parte della vita che supera la morte.”

Dalla vita alla famiglia il passo è breve: “La famiglia trova la sua definizione nel racconto della creazione nella Genesi, con la sua enfasi sull’unione tra l’uomo e la donna. Il rito del matrimonio del giudaismo è esplicito nel paragone tra gli sposi e Adamo ed Eva”. Breve anche il passo dalla famiglia alla nazione; sotto questo aspetto Neusner rifiuta ogni idea di ebraismo come religione etnica o nazionalistica: “I profeti della Bibbia ebraica e i rabbini del Talmud che sostengono l’eredità profetica trasmettono una visione di tutta l’umanità, una visione di pace, e includono nelle loro profezie tutti i popoli e le razze.

Questa è la concezione del giudaismo, che cerca la riconciliazione escatologica di tutta l’umanità”, come dice il secondo capitolo del libro del profeta Isaia: “Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti”( Is 2, 1-2).

Se il Papa sottolinea la portata universale del messaggio cristiano, gli fa eco (e da controcanto) il rabbino Neusner: “Il giudaismo porta un messaggio per tutta l’umanità e apre la porta alla conversione, all’accettazione della Torah del Sinai e alla sua legge e alla sua teologia da parte di tutta l’umanità. In questo senso l’umanità realizza la santità di ogni vita umana, nell’accettare la parola di Dio della Torah e il piano per la santificazione dell’umanità. Il giudaismo, che accetta i convertiti, non è una religione etnica o nazionalistica ma una religione che si comprende attraverso la figura di Israele come popolo di Dio, così come definito dalla Torah. In questa convinzione entra lo stato di Israele che incarna la speranza del popolo ebraico per la restituzione della terra santa al popolo santo e viceversa, ma questa è un’aspirazione soprannaturale, non limitata a un particolare gruppo etnico”.

Universalismo e questione del sabato: il rabbino rilegge il capitolo che il Papa dedica al Discorso della montagna e, con perfetta simmetria, ne sottolinea anche tutte le “distanze”: “Il sabato per il giudaismo è inteso come la celebrazione della creazione del mondo e la liberazione per gli schiavi dall’oppressione, la libertà per l’umanità. Il riposo del sabato rappresenta un’offerta a Dio. Tutto questo non può essere de-sacralizzato, ‘laicizzato’. Qui le due fedi sciolgono la compagnia, si dividono.

E così pure l’islam che, da parte sua, ha una concezione del venerdì diversa dalla santificazione giudaica del settimo giorno della creazione e diversa pure dalla domenica cristiana”.

Così, acutamente senza peli sulla lingua, un ebreo rabbino capo parla con Gesù e di Gesù, aiutato e confortato dall’altrettanto acuta e schietta attenzione di un teologo tedesco che da due anni da oltre un miliardo di persone di quel Gesù è considerato vicario.

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