Più del suo «maestro» Guardini, addirittura
più di sant’Agostino... Nel suo recente volume, il Pontefice cita
volentieri Jacob Neusner, ebreo osservante che indaga su Cristo. Parla
padre Stock, segretario della Commissione Biblica Internazionale. «Il
libro del Papa faciliterà il dialogo col giudaismo, ma aiuterà pure gli
esegeti ad approfondire ed entrare con più rispetto e rigore nella
storicità dei Vangeli»
«Un libro che aiuterà ancora di più gli
esegeti e gli esperti di critica testuale a studiare, ad approfondire ma
anche a entrare, con più rispetto e rigore, nel mistero di Gesù e nella
storicità dei Vangeli».
Così, dal suo studio romano del Pontificio Istituto Biblico, (un luogo
simbolo per gli studiosi di Sacra Scrittura, dove si sono formati biblisti
di fama internazionale come Martini, Bea, Lyonnet, Vanhoye, Schoekel),
Klemens Stock - un gesuita tedesco dai tratti gentili, tra i più
autorevoli esperti dei Vangeli sinottici, chiamato proprio dall'allora
cardinale Ratzinger a rivestire dal 2004 il ruolo di segretario della
Pontificia commissione biblica internazionale - legge l'ultima fatica di
Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. «Mi ha colpito da subito,
sfogliando le prime pagine - racconta padre Stock - il grande
apprezzamento che il Santo Padre dà, e cito le sue parole, al "metodo
storico, che è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro
esegetico". Ma non solo: il rispetto di un papa-teologo verso il lavoro di
noi esegeti».
Lei ha lavorato per tanti anni a fianco del
cardinale Ratzinger, prima come membro e poi come segretario della
Pontificia commissione biblica internazionale. Si aspettava un libro su
Gesù e sui Vangeli?
«Non saprei dare una risposta esaustiva. Ho potuto notare come il Papa
ha voluto ribadire che non c'è una contrapposizione tra il "Gesù storico"
e il "Cristo della fede". E mi è sembrato bellissimo che un Papa abbia
voluto ribadire un fatto che, a causa della distorsione di certe
pubblicazioni, non è più accettato come verità: cioè che la fede biblica è
basata su fatti storici e che Gesù è una persona realmente esistita,
vissuta in un determinato Paese».
Un libro, comunque, che prende le distanze
da una certa «esegesi liberale». Penso ad esempio ad alcune osservazioni
sollevate da Papa Ratzinger sugli scritti di Jaspers, di Adolf von Harnack
o di John Meier.
«Il Papa prende le distanze propri o da alcune
teorie ultimamente in voga: non accetta che il vero Gesù storico sia visto
come un grande maestro e moralista, un contadino galileo, un filosofo
itinerante, un rivoluzionario e così via. Basti vedere come il Papa, quasi
a bilanciare questa tendenza, riparta dai Padri della Chiesa e dalla loro
esegesi. (Cita più volte, e non a caso, uno dei massimi studiosi di
patristica del '900, Jean Daniélou, con il suo famoso libro Bibbia e
liturgia). Chiede dunque al lettore di entrare più nel profondo, che è
poi il messaggio centrale del libro, riconoscere in Gesù il figlio di Dio.
Ma non solo. Scoprire in lui il rapporto particolare con il Padre nella
cui volontà e conoscenza si rivela il Gesù vero, quello trasmesso dai
Vangeli».
Un altro aspetto che ha impressionato, nel
libro, è il riconoscimento che il Pontefice dà agli studi del rabbino
statunitense Jacob Neusner, citato più del suo maestro Romano Guardini o
di sant'Agostino. Qual è la sua impressione?
«Mi è sembrato un grande riconoscimento anche
per sottolineare che Gesù era veramente ebreo e osservava la Torah, ma
anche per ribadire ai cristiani di oggi che "Gesù viene chiamato figlio di
Dio in riferimento al Dio di Israele e non di qualsiasi dio pagano".
Ratzinger si riferisce spesso a Neusner e al suo libro Un rabbino parla
con Gesù, specialmente nella spiegazione che l'autore dà del Discorso
della Montagna. Neusner cerca di comprendere Gesù con grande rispetto e
simpatia e dice con sincerità di non essere in grado di accettare i suoi
insegnamenti».
Un «Gesù di Nazaret» che permetterà di
facilitare dunque il dialogo tra ebraismo e cristianesimo?
«Credo di sì. Devo dire che vedo una grande continuità ideale, in
questo libro, con due documenti della Pontificia commissione biblica
internazionale: uno del 1993 L'interpretazione della Bibbia nella
Chiesa e quello del 2001 Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture
nella Bibbia cristiana. Do cumenti che portano la firma del cardinale
Ratzinger. Per noi cristiani viene ribadita una verità chiara: il Nuovo
Testamento porta all'Antico, di cui Gesù è il compimento».
Si evince la passione del Papa-teologo per
la Parola di Dio.
«Mi sembra che il Santo Padre riconosca il
grande valore dello studio della Parola di Dio non solo per noi esegeti,
ma anche per la teologia contemporanea. Bellissima mi è sembrata la frase:
"L'uomo avverte la necessità di abbeverarsi alla Parola di Dio". Mi è
parso che il Pontefice, con questo libro, abbia voluto ricordare che Gesù
attraverso i Vangeli parla all'uomo di oggi e che essi devono continuare
ad essere il terreno e la base di meditazione di ogni singolo credente,
nella preghiera personale e comunitaria».
Quale altro aspetto infine l'ha colpita di
questa pubblicazione?
«Ho trovato grandi affinità con uno dei libri
che fece conoscere il giovane teologo bavarese al mondo scientifico:
Introduzione al cristianesimo, scritto quasi 40 anni fa, nel 1968. Mi
è sembrato, come allora, che al centro della ricerca del Papa ci sia la
figura di Gesù. Difatti Ratzinger, in questo libro, non fa altro che
ribadire che Gesù è il cuore del cristianesimo. Mi auguro che il Pontefice
possa pubblicare anche il secondo volume e farci entrare così ancora più
nel vivo delle verità fondamentali e centrali della fede».
Il rabbino sta col Papa
Giorgio Bernardelli, su Avvenire 1 giugno
2007
Lo studioso ebreo citato nel «Gesù
di Nazaret» di Ratzinger ha pubblicato un articolo sul «Jerusalem
Post». Elogiando il Pontefice. Neusner: «Col suo libro le dispute
ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Possiamo incontrarci in
un promettente esercizio di ragione e di critica». «Negli ultimi due
secoli ci siamo parlati per fare riconciliazione sociale; ora
finalmente si torna a confrontarsi sulla questione della verità»
«Benedetto XVI è un cercatore della verità. Quelli che stiamo vivendo
sono tempi interessanti». Parola di Jacob Neusner, il rabbino
newyorkese ampiamente citato dal Papa nel suo libro Gesù di Nazaret.
Parola resa ancora più significativa dall'uditorio ebraico cui è
stata rivolta. Si tratti infatti del passaggio finale di un lungo
articolo di Neusner pubblicato l'altro giorno sul quotidiano
israeliano Jerusalem Post. Un testo in cui il rabbino ripercorre la
storia dei suoi studi e il suo rapporto con Ratzinger.
«Immaginate il mio stupore quanto mi è
stato detto che una risposta cristiana al mio libro A Rabbi Talks
with Jesus era contenuta nel capitolo quarto del libro di Benedetto
XVI», scrive. Ma soprattutto l'articolo di Neusner è un invito a
considerare il volume di Joseph Ratzinger come l'apertura di una
pagina nuova nel rapporto tra ebrei e cristiani. Prende le mosse da
lontano, l'autore. «Nel Medio Evo - scrive - i rabbini erano
costretti a impegnarsi, davanti a re e cardinali, in dispute con i
sacerdoti su quale fosse la vera religione, l'ebraismo o il
cristianesimo. Il risultato era scontato: i cristiani vincevano
perché avevano la spada. Poi nell'era del secondo dopoguerra le
dispute hanno lasciato il posto alla convinzione che le due religioni
dicano la stessa cosa; le differenze sono state perciò ridotte a
questioni secondarie. Ora invece è iniziato un nuovo tipo di disputa,
nel quale è la verità delle due religioni a essere al centro del
dibattito».
È la prospettiva scelta da Neusner in
A Rabbi Talks with Jesus, il suo libro pubblicato nel 1993 (in
italiano Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, Piemme 1996).
«Negli ultimi due secoli il dialogo ebraico-cristiano è servito come
un mezzo per politiche di riconciliazione sociale - spiega l'autore
-, non è stato più un'indagine religiosa sulle convinzioni
dell'altro. Il negoziato ha preso il posto del dibattito, e si è
pensato che la pretesa di verità della propria religione violasse le
regole di buona condotta.
Nel mio libro invece ho preso sul
serio l'affermazione di Gesù secondo cui in lui la Torah trova
compimento e ho messo a confronto questa affermazione con gli
insegnamenti di altri rabbini, in una sorta di colloquio tra maestri
della Torah. Spiego in una maniera lucida e niente affatto
apologetica perché, se fossi vissuto nella Terra di Israele del primo
secolo e fossi stato presente al Discorso della Montagna, non mi
sarei unito al gruppo dei discepoli di Gesù. Avrei detto no (anche se
in maniera cortese) e sono sicuro di avere dalla mia parte solide
ragioni e fatti».
È una prospettiva - precisa il rabbino
- che non indebolisce il dialogo, ma all'opposto lo rafforza. «Per
molto tempo - si legge ancora nell'articolo apparso sul Jerusalem
Post - gli ebrei hanno lodato Gesù come rabbino, un ebreo veramente
come noi; ma per la fede cristiana in Gesù Cristo questa affermazione
è assolutamente irrilevante. D'altra parte i cristiani hanno lodato
l'ebraismo come la religione da cui è venuto Gesù, ma per noi questo
è difficilmente un vero complimento. Io - aggiunge ancora Neusner -
sottolineo le scelte diverse che sia l'ebraismo sia il cristianesimo
compiono davanti alle Scritture che condividono. I cristiani
capiranno meglio il cristianesimo se saranno consapevoli delle scelte
che hanno compiuto; e lo stesso vale anche per gli ebrei rispetto
all'ebraismo. Voglio spiegare ai cristiani perché io credo
all'ebraismo; e questo dovrebbe aiutare loro a identificare quali
sono le convinzioni che invece li portano in chiesa ogni domenica».
Un compito sul quale ora Benedetto XVI
rilancia. «Quando il mio editore mi chiese di consigliargli a quali
colleghi chiedere di presentare il mio libro - scrive -, suggerii il
rabbino capo Jonathan Sacks e il cardinale Joseph Ratzinger. Avevo
ammirato gli scritti del cardinale Ratzinger sul Gesù della storia e
gli avevo scritto per dirglielo. Lui mi aveva risposto e ci eravamo
scambiati scritti e libri. La sua volontà di confrontarsi con la
questione della verità e non solo con le politiche della dottrina, mi
era sembrata coraggiosa e costruttiva. Ora però Sua Santità ha
compiuto un passo ulteriore e ha risposto alla mia critica con un
esercizio di esegesi e teologia. Col suo Gesù di Nazaret le
dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo in grado di
incontrarci l'un l'altro in un promettente esercizio di ragione e
critica. Le parole del Monte Sinai ci portano insieme a rinnovare una
tradizione lunga duemila anni di dibattito teologico al servizio
della verità di Dio».
Il teologo Ratzinger ed il rabbino Neusner
in dialogo
L’ebreo osservante e il teologo sulla montagna delle Beatitudini
Joseph Ratzinger parla di (e con) Jacob Neusner nel quarto capitolo
del suo “Gesù di Nazaret”, quando prende in esame i tre capitoli del
vangelo di Matteo, dal quinto al settimo, che raccolgono il Discorso
della montagna.
Per il Papa questa, che viene presentata come la Magna Carta della
vita cristiana, è “la nuova Torah, portata da Gesù” dopo quella
consegnata al popolo di Israele da Mosé.
Del Discorso della montagna fanno parte le Beatitudini (con le quali
erroneamente spesso viene identificato, mentre ne costituiscono solo
l’introduzione programmatica) che, spiega Ratzinger, “vengono non di
rado presentate come l’antitesi neotestamentaria al Decalogo”. Questa
interpretazione, per il Papa, “fraintende completamente” il senso
delle parole di Gesù” nel senso che il Discorso della montagna
“riprende i comandamenti della seconda tavola, e li approfondisce,
non li abolisce… Gesù non pensa di abolire il Decalogo, al contrario:
lo rafforza”.
A questo punto il Papa passa in rassegna analiticamente i
paradossi delle Beatitudini (Mt 5, 3-12), leggendole tutte e nove
alla luce del loro carattere cristologico: “Le Beatitudini sono la
trasposizione della croce e della resurrezione nell’esistenza dei
discepoli… sono come una nascosta biografia interiore di Gesù, un
ritratto della sua figura… nelle Beatitudini si manifesta il mistero
di Cristo stesso”. Contemporaneamente Benedetto XVI sottolinea sempre
il riferimento veterotestamentario delle parole di Gesù (i Salmi, il
libro dei Numeri, il profeta Zaccaria, Ezechiele, il libro di
Daniele) mostrando il suo radicamento nella storia del popolo eletto.
Terminata l’esegesi delle Beatitudini, il Papa si occupa della
pretesa di Gesù, della sua nuova Torah: “Fu detto – ma io vi dico”. E
qui entra in scena il rabbino Jacob Neusner e il suo libro “A Rabbi
Talks with Jesus: An Intermillennial, Interfaith Exchange”,
New York 1993), un rabbino parla con Gesù.
Neusner, scrive il Papa, “si è, per così dire, inserito tra gli
ascoltatori del Discorso della montagna e ha poi cercato di avviare
un colloquio con Gesù… Questa disputa, condotta con rispetto e
franchezza fra un ebreo credente e Gesù, il figlio di Abramo, più
delle altre interpretazioni del Discorso della montagna a me note, mi
ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla
scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo. Così… desidero
entrare anch’io, da cristiano, nella conversazione del rabbino con
Gesù, per comprendere meglio, partendo da essa, ciò che è
autenticamente ebraico e ciò che costituisce il mistero di Gesù”.
Ratzinger – ha ricordato il cardinale Christoph Schönborn nella
presentazione del libro avvenuta in Vaticano il 13 aprile scorso –
definì il libro del rabbino Neusner come “il saggio di gran lunga più
importante per il dialogo ebraico-cristiano che sia stato pubblicato
nell’ultimo decennio”.
“Il dialogo del rabbino con Gesù – scrive il Papa – mostra come la
fede nelle parola di Dio presente nelle Sacre Scritture crei
contemporaneità attraverso i tempi: a partire dalla Scrittura il
rabbino può entrare nell’oggi di Gesù e a partire dalla Scrittura
Gesù viene nel nostro oggi… è un dialogo molto schietto”. “Cerchiamo
ora di riprendere l’essenziale di questo colloquio per conoscere
meglio Gesù e comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei”. Il
rabbino Neusner, “nel suo dialogo interiore, aveva seguito Gesù per
tutto il giorno e ora si ritira per la preghiera e lo studio della
Torah con gli ebrei di una cittadina, per poi discutere le cose
sentite – sempre nell’idea della contemporaneità attraverso i
millenni – con il rabbino del luogo”.
Essi ora paragonano gli insegnamenti di Gesù con quelli della
tradizione ebraica.
Il rabbino chiede a Neusner: “È questo che il saggio Gesù aveva da
dire?”.
Neusner: “Non precisamente, ma quasi”.
“Che cosa ha tralasciato?” “Nulla”.
“Che cosa ha aggiunto allora?” “Se stesso”.
“Questo è il punto centrale dello ‘spavento’ dell’ebreo osservante
Neusner di fronte al messaggio di Gesù – commenta il Papa – il motivo
centrale per cui egli non vuole seguire Gesù e rimane fedele
all’Israele Eterno”. Neusner, per spiegare il suo rifiuto, cita la
parola di Gesù al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto (la
perfezione richiesta dalla Torah, ndr) va’ vendi tutto quello che hai
e seguimi”. Tutto dipende, dice Neusner “da chi si intenda con questo mi”. E
conclude: “Ora mi rendo conto che solo Dio può esigere da me quanto
Gesù richiede”.
Notava il cardinal Schönborn nella sua presentazione: “Il rabbino
Neusner è così importante per il libro di Joseph Ratzinger/Benedetto
XVI, proprio perché egli oppone un netto rifiuto a tutti i tentativi
di scindere il Gesù storico dal Gesù del dogma della chiesa.
Non è stata la chiesa, e neanche l’apostolo Paolo a innalzare un
predicatore ambulante della Galilea, mite, liberale, profetico,
apocalittico o come altro sia, al rango di Figlio di Dio, ma egli
stesso accampa una pretesa, in tutto il suo fare e dire, che spetta
solo a Dio. È questa la tematica centrale del libro. Si
tratta della domanda di Gesù a Cesarea di Filippo: ‘Ma voi, chi dite
che io sia?’ (Mt 16, 15)”.
Il Rabbino che ha illuminato il Papa
Andrea Monda,
Il Foglio, 16 maggio 2007
Ratzinger dice che Neusner gli ha “aperto gli occhi” Lui spiega al
Foglio che il dibattito è meglio del dialogo.
Non c’è Von Balthasar. E nemmeno Rahner e Congar (e Wojtyla). De
Lubac giusto una volta, Danielou due volte e Agostino, il “suo”
Agostino, tre volte soltanto. E’ interessante, a volte, leggere un
libro a ritroso, partendo dalle ultime pagine, anzi, dall’indice dei
nomi. Se poi il libro è quello di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI,
un’occhiata alle “fonti” è tentazione troppo forte a cui resistere.
E le sorprese non mancano, non solo per le assenze ma anche per le
“presenze”, come quella dell’anglicano C.S. Lewis, l’autore delle
“Cronache di Narnia”, ma la più notevole delle quali è senz’altro
quella di Jacob Neusner a cui Benedetto XVI dedica intere pagine,
proprio nel cuore del suo saggio, nel capitolo dedicato all’esame del
Discorso della montagna.
Neusner, chi era costui? Anzi, chi è, visto che il settantacinquenne
Rabbi Jacob è attivo come non mai. Nato ad Hartford nel Connecticut
nel 1932, sposatosi nel 1964 e padre di quattro figli, Jacob Neusner
è un rabbino culturalmente influente quanto raffinato, tra i massimi
esperti delle Sacre Scritture ebree: ad oltre novecento ammontano le
sue pubblicazioni su Torah, Mishnah, Talmud e sui Midrash. Ha
insegnato in diverse università americane (Columbia, Wisconsin,
Dartmouth…) e dal 1994 insegna Storia e Teologia del giudaismo al
Bard College dello stato di New York.
Ma forse il suo ritratto migliore è quello che gli dedica il Papa a
pagina 129 del suo saggio su Gesù di Nazaret quando riconosce il
“grande aiuto” che ha ricevuto dalla lettura del libro di
Neusner “A Rabbi Talks with Jesus: An Intermillennial, Interfaith
Exchange”, New York 1993) (tradotto in italiano da Piemme, Casale
Monferrato, nel 1996 col titolo “Disputa immaginaria tra un rabbino e
Gesù” e ora, purtroppo, introvabile). Scrive Benedetto XVI che
“Neusner, un ebreo osservante e rabbino, è cresciuto in amicizia con
cattolici ed evangelici, insegna all’università insieme con teologi
cristiani e nutre un profondo rispetto nei confronti della fede dei
suoi colleghi cristiani, ma resta saldamente convinto della validità
dell’interpretazione ebraica delle Sacre Scritture. Il profondo
rispetto verso la fede cristiana
e la sua fedeltà al giudaismo lo hanno indotto a cercare il dialogo
con Gesù”.
Parafrasando le parole di Benedetto XVI si potrebbe dire che ora è
il Papa che, spinto dal profondo rispetto verso la fede ebraica e
dalla sua fedeltà al cattolicesimo, è stato indotto a cercare il
dialogo con il Neusner. Il Foglio ha cercato Jacob Neusner per
saperne di più di questo dialogo tra un ebreo e un teologo cattolico,
iniziato negli anni Novanta attraverso una corrispondenza epistolare
privata e ora diventato pubblico grazie al libro su Gesù di Nazaret,
che quel teologo ha scritto dopo essere stato eletto Papa.
* * *
Nel suo saggio “Mere Christianity” del 1952 Lewis afferma: “Sto
cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza
che spesso si sente ripetere: ‘Sono pronto ad accettare
Gesù come grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di
essere Dio’. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un
uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù
non sarebbe certo un grande maestro di morale ma un pazzo… oppure il
Diavolo”.
Jacob Neusner da buon ebreo non accetta la pretesa di Gesù di essere
Dio ma la prende molto sul serio e soprattutto non ama ripetere
luoghi comuni come per esempio quello di separare il Gesù storico dal
Gesù della fede. Questa sua apertura intellettuale non lo fa però
venir meno neanche di un millimetro rispetto alla sua fede
nell’Israele Eterno. “Io e il Papa siamo d’accordo sull’asserzione
che il Gesù storico non è separato dal Gesù della fede” afferma il
rabbino settantacinquenne.
“Nei primi anni Novanta il cardinale Ratzinger, richiamato
all’interno della questione della pretesa di conoscenza storica nelle
biografie del Gesù storico, fece notare che i risultati di molti di
questi lavori erano predeterminati dalle presupposizioni degli
storici che li avevano scritti. Nuovi approcci sono seguiti a
quello storico-critico, rappresentati di recente dal professore Bruce
Chilton, nel suo ‘Rabbi Jesus’ che ha realizzato una biografia
interiore, descrivendo il significato religioso delle narrazioni dei
Vangeli, compreso quello di Giovanni. Il mio contributo è stato
quello di mostrare che il Discorso della montagna, per la gran parte
attribuito alle ‘ipsissima verba’ di Gesù, è un documento di una
teologia cristiana pienamente sviluppata”.
Jacob Neusner è molto soddisfatto dell’andamento del dialogo tra
lui e Ratzinger, persone “fedeli a Dio” che hanno “appreso il
rispetto reciproco delle diverse convinzioni: noi partecipiamo a un
medesimo compito che è quello di servire Dio e questo non esclude il
dibattito. Ciò su cui i due libri insistono è che la pretesa di
verità delle religioni non è negoziabile e deve essere affrontata”.
Il rabbino è colpito in particolare dall’affetto del teologo
diventato Pontefice, un affetto e un rispetto che si inseriscono
“nella tradizione dei doni di Papa Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II
e del Concilio Vaticano II, e di due generazioni di cristiani che
hanno cercato di realizzare questo compito di conciliazione. La
chiesa cattolica ha tentato di formare una teologia cattolica del
giudaismo e alcune autorità del giudaismo si sono impegnate a
rispondere.
Tutti questi sforzi sono a un tempo sensibili e delicati ma anche
capaci di far nascere frutti”.
Profondo conoscitore delle Scritture, Neusner preferisce entrare nel
merito del confronto tra ebrei e cristiani a livello appunto
scritturistico, lasciando da parte la pur condivisa critica
all’eredità dell’illuminismo che ha fatto sì che la questione ‘de
veritate’ sia stata accantonata perché la religione è stata
progressivamente considerata, proprio per le sua pretesa di verità,
come un elemento di disordine e violenza.
Anche a Neusner non va giù che gli stati laici abbiamo predicato e
praticato una indifferenza rispetto alla verità e quindi alle
religioni ed è triste, secondo il rabbino, che il dialogo e la
“negoziazione” abbiano preso il posto del dibattito e della ricerca.
Questa considerazione lo porta a confermare la bontà del suo
interloquire col pontefice romano perché “quelli che prendono sul
serio la pretesa veritativa delle religioni entrano nel dibattito,
basato su premesse condivise, riguardante ciò che è giusto e ciò che
è sbagliato”.
Insomma, niente chiacchiere, ma massima concentrazione sul Discorso
della montagna, perché è lì che si gioca tutto: “Il vangelo secondo
Matteo definisce le basi del dibattito con l’affermazione di Cristo
sul fatto che egli sia giunto a portare a compimento la Torah.
Questo è il punto di partenza della discussione, un punto in cui
persiste un criterio condiviso di verità. E’ un’impresa degna di
essere affrontata.
Il risultato della discussione è chiarire le scelte fatte dai
partecipanti al dibattito, le alternative che si trovano di fronte a
ciascuno di essi, e le conseguenti forme di sistema religioso difese
da ognuno. Lo studio comparativo delle religioni chiarisce il
carattere delle religioni che sono comparate e rinforza da entrambi i
lati la fede nelle proprie rispettive posizioni”.
Se queste sono le premesse è scontata la risposta sul tema della
tendenza, presente in molti stati occidentali, di ridurre lo spazio
pubblico delle religioni che devono essere costrette nell’ambito
privato, personale, interiore.
“La religione è una faccenda pubblica e sociale, è qualcosa che la
gente compie insieme. Ridurre la religione a qualcosa di privato e di
personale è trattare la religione come qualcosa di insignificante. Ma
la stragrande maggioranza degli esseri umani in tutto il mondo
pratica una religione che è pubblica e che ha una pesante relazione
con la sfera politica. Nella storia e nella contemporaneità il
cristianesimo, il giudaismo, l’islam, il buddismo e le altre
religioni del mondo esprimono giudizi sulla condizione umana e
definiscono la cultura per la maggior parte dell’umanità, come hanno
dimostrato gli studi sociali di padre Andrew Greely dell’Università
di Chicago e dell’Arizona. Dobbiamo sempre ricordarci che solo alcune
nazioni hanno intrapreso il sentiero di secolarizzazione, solo
alcune, non la maggior parte”.
Per Neusner, e questo è un altro punto di accordo con l’impostazione
ratzingeriana, la religione ebraica insieme a quella cristiana,
rappresentano il vero “illuminismo”, perché portano la luce della
ragione in un mondo pagano oscuro e violento, e questo lo si
comprende bene rispetto al problema della concezione della vita:
“Abbiamo appreso la lezione della guerra e dell’Olocausto, che ci ha
insegnato ad apprezzare il carattere sacro, inviolabile
della vita, anche dei non nati. Il giudaismo e il cristianesimo
stanno dalla parte della vita che supera la morte.”
Dalla vita alla famiglia il passo è breve: “La famiglia trova la
sua definizione nel racconto della creazione nella Genesi, con la sua
enfasi sull’unione tra l’uomo e la donna. Il rito del matrimonio
del giudaismo è esplicito nel paragone tra gli sposi e Adamo ed Eva”.
Breve anche il passo dalla famiglia alla nazione; sotto questo
aspetto Neusner rifiuta ogni idea di ebraismo come religione etnica o
nazionalistica: “I profeti della Bibbia ebraica e i rabbini del
Talmud che sostengono l’eredità profetica trasmettono una visione di
tutta l’umanità, una visione di pace, e includono nelle loro profezie
tutti i popoli e le razze.
Questa è la concezione del giudaismo, che cerca la riconciliazione
escatologica di tutta l’umanità”, come dice il secondo capitolo del
libro del profeta Isaia: “Alla fine dei giorni, il monte del tempio
del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei
colli; ad esso affluiranno tutte le genti”( Is 2, 1-2).
Se il Papa sottolinea la portata universale del messaggio cristiano,
gli fa eco (e da controcanto) il rabbino Neusner: “Il giudaismo porta
un messaggio per tutta l’umanità e apre la porta alla conversione,
all’accettazione della Torah del Sinai e alla sua legge e alla sua
teologia da parte di tutta l’umanità. In questo senso l’umanità
realizza la santità di ogni vita umana, nell’accettare la parola di
Dio della Torah e il piano per la santificazione dell’umanità. Il
giudaismo, che accetta i convertiti, non è una religione etnica o
nazionalistica ma una religione che si comprende attraverso la figura
di Israele come popolo di Dio, così come definito dalla Torah. In
questa convinzione entra lo stato di Israele che incarna la speranza
del popolo ebraico per la restituzione della terra santa al popolo
santo e viceversa, ma questa è un’aspirazione soprannaturale, non
limitata a un particolare gruppo etnico”.
Universalismo e questione del sabato: il rabbino rilegge il capitolo
che il Papa dedica al Discorso della montagna e, con perfetta
simmetria, ne sottolinea anche tutte le “distanze”: “Il sabato per il
giudaismo è inteso come la celebrazione della creazione del mondo e
la liberazione per gli schiavi dall’oppressione, la libertà per
l’umanità.
Il riposo del sabato rappresenta un’offerta a Dio. Tutto questo non
può essere de-sacralizzato, ‘laicizzato’. Qui le due fedi sciolgono
la compagnia, si dividono.
E così pure l’islam che, da parte sua, ha una concezione del venerdì
diversa dalla santificazione giudaica del settimo giorno della
creazione e diversa pure dalla domenica cristiana”.
Così, acutamente senza peli sulla lingua, un ebreo rabbino capo parla
con Gesù e di Gesù, aiutato e confortato dall’altrettanto acuta e
schietta attenzione di un teologo tedesco che da due anni da oltre un
miliardo di persone di quel Gesù è considerato vicario.