"L’Olocausto vergogna dell'umanità"

Per il pontefice la deportazione compiuta dei nazisti fu "un´operazione infame di morte". La condanna di Papa Ratzinger per lo sterminio degli ebrei. Per "non dimenticare" le persecuzioni, ieri un nuovo forte appello dal Vaticano

«L´olocausto ebraico nei campi di sterminio nazisti, vergogna indelebile nella storia dell´umanità». Nuova severa condanna papale della Shoah e nuovo appello «a non dimenticare» le persecuzioni antiebraiche da parte dei nazisti. Il monito arriva, quasi a sorpresa, nell´udienza generale di ieri mattina [30 novembre 2005 ndr], quando il tedesco Joseph Ratzinger torna a ricordare - come ha già fatto altre volte da quando è stato eletto Papa - le sofferenze ebraiche durante il nazismo prendendo lo spunto dal passo biblico sull´esilio degli ebrei in terra babilonese, un episodio visto da Benedetto XVI come «anticipatore» delle future persecuzioni del popolo ebreo che culmineranno con l´olocausto. 

Anche ieri, la condanna del Papa è stata durissima, in linea con i precedenti moniti antinazisti lanciati, ad esempio, ad agosto a Colonia, in Germania, durante le giornate mondiali della gioventù; a giugno incontrando i tre rabbini capo dell´ebraismo mondiale; o a maggio dopo la proiezione del film «Karol, storia di un uomo diventato papa».

Nel commentare il salmo biblico 136, il pontefice ricorda che «il testo evoca la tragedia vissuta dal popolo ebraico durante la distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 586 a. C., e il successivo e conseguente esilio babilonese. Siamo di fronte a un canto nazionale di dolore, segnato da un´asciutta nostalgia per ciò che si è perso». Un testo che - dice il Papa - può essere letto anche come «l´anticipazione simbolica dei campi di sterminio nei quali il popolo ebraico, nel secolo che abbiamo appena lasciato alle spalle, fu avviato, attraverso un´operazione infame di morte, vergogna indelebile nella storia dell´umanità». 

Da qui, la certezza che «Dio, che è l´arbitro ultimo della storia, saprà comprendere e accogliere secondo la sua giustizia anche il grido delle vittime... «. Analoghe condanne, Ratzinger aveva pronunciato il 9 ottobre scorso alla beatificazione del vescovo Clemens August von Galen, quando definì il nazismo «aberrante ideologia neopagana»; e il 19 agosto scorso, nella sinagoga di Colonia, dove disse che la Shoah è stato un «crimine inaudito e inimmaginabile», espressione di una «folle ideologia razzista di matrice neopagana». 

Quei «terribili avvenimenti», esortò il Papa, devono «incessantemente destare le coscienze, eliminare conflitti, esortare alla pace». Circa due mesi prima, il 9 giugno scorso, ricevendo in Vaticano i tre rabbini-capo dell´International Jewish Committee che raggruppa i rami ortodosso, conservatore e riformista dell´ebraismo mondiale, Ratzinger, nel deplorare «le passate sofferenze patite dal popolo ebraico», aveva sostenuto la necessità di tenere viva la memoria dell´olocausto. Lo stesso appello aveva fatto, il 19 maggio scorso, alla fine della proiezione del film su Wojtyla, quando invitò l´umanità intera a «non dimenticare le atrocità del nazismo» e di «ricordarlo soprattutto ai giovani».
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[Fonte: La Repubblica 1 dicembre 2005]

[Testo integrale del discorso del papa]

UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 30 novembre 2005

Salmo 136,1-6
Sui fiumi di Babilonia
Vespri - Martedì 4a settimana

[1] Sui fiumi di Babilonia,
là sedevamo piangendo
al ricordo di Sion.
[2] Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.

[3] Là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
canzoni di gioia, i nostri oppressori:
"Cantateci i canti di Sion!".

[4] Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?

[5] Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;

[6] mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.

[7] Ricordati, Signore, dei figli di Edom,
che nel giorno di Gerusalemme,
dicevano: "Distruggete, distruggete
anche le sue fondamenta".

[8] Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.

[9] Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
e li sbatterà contro la pietra.

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1. In questo primo mercoledì di Avvento, tempo liturgico di silenzio, vigilanza e preghiera in preparazione al Natale, meditiamo il Salmo 136, divenuto celebre nella versione latina del suo avvio, Super flumina Babylonis. Il testo evoca la tragedia vissuta dal popolo ebraico durante la distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 586 a.C., e il successivo e conseguente esilio babilonese. Siamo di fronte a un canto nazionale di dolore, segnato da un’asciutta nostalgia per ciò che si è perso.

Questa accorata invocazione al Signore, perché liberi i suoi fedeli dalla schiavitù babilonese, esprime bene anche i sentimenti di speranza e di attesa della salvezza con i quali abbiamo iniziato il nostro cammino di Avvento.

La prima parte del Salmo (cfr vv. 1-4) ha come sfondo la terra d’esilio, coi suoi fiumi e canali, quelli appunto che irrigavano la pianura babilonese, sede dei deportati ebrei. È quasi l’anticipazione simbolica dei campi di sterminio nei quali il popolo ebraico – nel secolo che abbiamo appena lasciato alle spalle – fu avviato attraverso un’operazione infame di morte, che è rimasta come una vergogna indelebile nella storia dell’umanità.

La seconda parte del Salmo (cfr vv. 5-6) è, invece, pervasa dal ricordo amoroso di Sion, la città perduta ma viva nel cuore degli esuli.

2. Coinvolti sono, nelle parole del Salmista, la mano, la lingua, il palato, la voce, le lacrime. La mano è indispensabile per il suonatore di cetra: ma ormai essa è paralizzata (cfr v. 5) dal dolore, anche perché le cetre sono appese ai salici.

La lingua è necessaria al cantore, ma ora è attaccata al palato (cfr v. 6). Invano gli aguzzini babilonesi «chiedono parole di canto… canzoni di gioia» (v. 3). I «canti di Sion» sono «canti del Signore» (vv. 3-4), non sono canzoni folcloristiche e da spettacolo. Solo nella liturgia e nella libertà di un popolo possono salire al cielo.

3. Dio, che è l’arbitro ultimo della storia, saprà comprendere e accogliere secondo la sua giustizia anche il grido delle vittime, al di là degli accenti aspri che a volte esso assume.

Vorremmo affidarci a sant’Agostino per un’ulteriore meditazione sul nostro Salmo. In essa il grande Padre della Chiesa introduce una nota sorprendente e di grande attualità: egli sa che anche tra gli abitanti di Babilonia ci sono persone che s’impegnano per la pace e per il bene della comunità, pur non condividendo la fede biblica, non conoscendo cioè la speranza della Città eterna alla quale noi aspiriamo. Essi portano in sé una scintilla di desiderio dell’ignoto, del più grande, del trascendente, di una vera redenzione. Ed egli dice che anche tra i persecutori, tra i non credenti, si trovano persone con questa scintilla, con una specie di fede, di speranza, per quanto è loro possibile nelle circostanze in cui vivono. Con questa fede anche in una realtà non conosciuta, essi sono realmente in cammino verso la vera Gerusalemme, verso Cristo. E con questa apertura di speranza anche per i babilonesi - come Agostino li chiama - per quelli che non conoscono Cristo, e neppure Dio, e tuttavia desiderano l’ignoto, l’eterno, egli ammonisce anche noi di non fissarci semplicemente sulle cose materiali dell’attimo presente, ma di perseverare nel cammino verso Dio. Solo con questa speranza più grande possiamo anche, nel modo giusto, trasformare questo mondo. Sant’Agostino lo dice con queste parole: «Se siamo cittadini di Gerusalemme… e dobbiamo vivere in questa terra, nella confusione del mondo presente, nella presente Babilonia, dove non dimoriamo da cittadini ma siamo tenuti prigionieri, bisogna che quanto detto dal Salmo non solo lo cantiamo ma lo viviamo: cosa che si fa con una aspirazione profonda del cuore, pienamente e religiosamente desideroso della città eterna».

Ed aggiunge riguardo alla «città terrestre chiamata Babilonia»: essa «ha persone che, mosse da amore per lei, si industriano per garantirne la pace - pace temporale - non nutrendo in cuore altra speranza, riponendo anzi in questo tutta la loro gioia, senza ripromettersi altro. E noi li vediamo fare ogni sforzo per rendersi utili alla società terrena. Ora, se si adoperano con coscienza pura in queste mansioni, Dio non permetterà che periscano con Babilonia, avendoli predestinati ad essere cittadini di Gerusalemme: a patto però che, vivendo in Babilonia, non ne ambiscano la superbia, il fasto caduco e l'indisponente arroganza... Egli vede il loro asservimento e mostrerà loro quell’altra città, verso la quale debbono veramente sospirare e indirizzare ogni sforzo» (Esposizioni sui Salmi, 136,1-2: Nuova Biblioteca Agostiniana, XXVIII, Roma 1977, pp. 397.399).

E preghiamo il Signore che in tutti noi si risvegli questo desiderio, questa apertura verso Dio, e che anche quelli che non conoscono Cristo possano essere toccati dal suo amore, cosicché tutti insieme siamo in pellegrinaggio verso la Città definitiva e la luce di questa Città possa apparire anche in questo nostro tempo e in questo nostro mondo.

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