L'allora Card. Ratzinger a Rav David Rosen «Tutto ciò che ha un significato religioso per te, lo ha
anche per me, perché tu sei la mia radice».
Inizierà
ufficialmente il suo ministero proprio mentre il mondo ebraico celebra Pesah,
la Pasqua. Ed è una coincidenza che il biglietto inviato ieri al Rabbino
capo di Roma ha reso ancora più significativa. Anche da Gerusalemme si
guarda con grande attenzione ai primi passi di Benedetto XVI. Ce lo
conferma rabbi David Rosen, uno dei protagonisti del dialogo tra il
Vaticano e i «fratelli maggiori» incoraggiato in questi anni da Giovanni
Paolo II. «Conoscete il detto - scherza -: se hai due ebrei ci sono tre
opinioni... Generalmente parlando, però, la reazione del mondo ebraico è
positiva perché gli atteggiamenti di Benedetto XVI nella promozione del
dialogo e le sue condanne dell'antisemitismo sono state sempre molto
chiare. Ci si aspetta che vada avanti nella direzione indicata da Giovanni
Paolo II».
Ha dei ricordi personali del nuovo Papa?
L'ho incontrato tante volte. La prima fu quindici anni fa, l'ultima ad
Assisi nel 2002, in occasione della giornata di preghiera per la pace. Nel
febbraio 1994, poi, poche settimane dopo la firma dell'accordo che ha reso
possibili relazioni diplomatiche piene tra il Vaticano e la Santa Sede,
organizzammo un congresso qui a Gerusalemme con la presenza di 600 leader
cristiani ed ebrei di tutto il mondo. Fu proprio l'allora cardinale
Ratzinger a tenere l'intervento principale. Ricordo perfettamente le sue
prime parole: la storia delle relazioni tra cattolici ed ebrei - disse -
è piena di lacrime e sangue. Il buio ha avuto il suo momento culminante
ad Auschwitz. Ma quel momento - aggiunse subito - ha reso la
riconciliazione e il ristabilimento di buone relazioni tra di noi più
urgente che mai.
Che cosa deve al teologo Ratzinger il dialogo ebraico-cristiano?
Per il dialogo tra cattolici ed ebrei uno dei documenti recenti più
importanti è stato quello pubblicato nel 2001 dalla Pontificia
Commissione biblica con il titolo «Il popolo ebraico e le sue Sacre
Scritture nella Bibbia cristiana». Fu proprio Ratzinger a dare l'imprimatur
a quel testo e a stendere un'introduzione molto
significativa. È un
documento che sottolinea la centralità del popolo ebraico e delle sue
Scritture per il cristianesimo. Ma ha anche un passaggio molto
interessante sulla nostra convinzione che il Messia non sia ancora venuto.
La descrive come parte essa stessa del piano divino per la salvezza
dell'uomo: l'attesa ebraica, si dice, ricorda come il mondo non sia stato
ancora pienamente redento. È un'idea affascinante. Non dimentichiamo che
una delle maggiori accuse che in passato i cristiani hanno rivolto a noi
ebrei è stata il fatto di non aver riconosciuto il vero Messia. Era
diventata una giustificazione per atti terribili. Ora, nel documento della
Pontificia Commissione biblica, questo stesso atteggiamento è
interpretato come qualcosa di positivo. Significa che la grande
trasformazione teologica ormai è avvenuta.
L'allora cardinale Ratzinger, però, nel 2000 firmò anche la
dichiarazione «Dominus Iesus» che fu contestata duramente da alcune voci
ebraiche.
È vero, ci furono reazioni negative. Però bisogna anche ricordare
che in seguito proprio lui pubblicò un articolo sull'Osservatore
Romano riguardo alla comune eredità di Abramo nostro padre. In quel
testo diceva chiaramente che nella Dominus Iesus si affrontava il
tema del rapporto con le altre fedi. E siccome l'ebraismo sta alla radice
della fede cristiana, non rientra nella stessa categoria. Anche questa è
un'affermazione molto interessante. Già quando lo incontrai la prima
volta, quindici anni fa, dialogammo a lungo sulla teologia. E a un certo
punto mi disse: «Tutto ciò che ha un significato religioso per te, lo ha
anche per me, perché tu sei la mia radice».
Quali ulteriori passi il dialogo ebraico-cristiano potrebbe compiere
sotto papa Benedetto XVI?
Come ho detto, non credo ci siano grandi questioni teologiche ancora
da affrontare. Penso anche che sulla Shoah noi ebrei non dobbiamo
aspettarci passi in avanti rispetto al documento del 1998 «Noi
ricordiamo». Rimarrà anche il giudizio diverso rispetto a Pio XII.
Ragionando in termini realistici, dunque, la mia speranza maggiore è che
Benedetto XVI invii ai cattolici un'istruzione in cui si dica che gli
insegnamenti di Nostra Aetate e tutto ciò che ne consegue devono
essere parte integrante dell'educazione di ogni cattolico e in maniera
speciale della formazione dei sacerdoti. Perché dove ci sono comunità
ebraiche che vivono accanto a comunità cattoliche, l'interiorizzazione
del nuovo atteggiamento è facile. Ma dove ci sono solo grandi comunità
cattoliche (penso all'America Latina, all'Africa o a certe zone dell'Asia)
molti cattolici non sanno neppure che cosa sia la Nostra Aetate.
Appena eletto Benedetto XVI ha risposto con un messaggio all'augurio
espresso dalla Comunità ebraica di Roma.
È stato un gesto molto bello. Anche i giovani ne hanno capito subito
la portata. Tra l'altro inizia con la benedizione che utilizziamo ogni
giorno nella nostra liturgia. Penso sia una dimostrazione della sua
familiarità con noi. Già queste parole dicono il desiderio di
valorizzare la nostra comune radice.
Dopo Montini e Wojtyla si aspetta che anche Papa Ratzinger venga in
visita a Gerusalemme?
Non sono profeta, né figlio di profeta. Ma spero di sì.
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[*] David
Rosen: una tra le voci più autorevoli del dialogo tra ebrei e cristiani,
fautore e sostenitore della «normalizzazione» dei rapporti diplomatici
tra la Santa Sede e Israele, il rabbino David Rosen è di origine inglese
ma vive a Gerusalemme dal 1985. Dal 1975 al 1979 è stato rabbino maggiore
della più grande congregazione nel Sud Africa. È stato il fondatore del
Forum interreligioso ebraico cristiano musulmano. Dal 1979 al 1985 è
stato rabbino capo dell'Irlanda. Nel 1985 è rientrato in Israele. Nel
1988 è stato nominato responsabile per le relazioni interreligiose della Anti
defamation League (Adl) mantenendo i rapporti con la Santa Sede. Nel
1997 è diventato direttore della sezione israeliana dell'Adl. Attualmente
è responsabile internazionale per le relazioni interreligiose all'interno
dell'American jewish committee (Ajc), ente con sede in Israele. Fa
parte della Commissione bilaterale permanente dello Stato di Israele e
della Santa Sede, organismo che portò nel 1993 agli accordi
diplomatici. Nel 1998 è stato eletto anche presidente del Consiglio
internazionale ebraico-cristiano. Più volte ha partecipato agli
incontri di preghiera interreligiosi di Assisi voluti da Giovanni Paolo II.
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[Fonte: Avvenire del 23 aprile 2005]