...da Avvenire del 31 Luglio 2002

     
DOPO GLI ARRESTI AL VERANO
ADDIO PIETÀ SE LA TOMBA DIVENTA OSTAGGIO
Marina Corradi

  Se è stata una banda di giardinieri a profanare il cimitero ebraico al Verano, se è una storia di racket insoddisfatto il vandalismo contro cinquanta tombe, allora la vicenda romana si inserisce in quel pullulare losco di affari che prospera ormai anche sui morti. Come quegli oscuri giri di dipendenti di pompe funebri e infermieri, che periodicamente vengono accusati di passarsi il nome del morto, una busta per ogni funerale strappato ai concorrenti.

Non antisemitismo dunque, ma semplicemente una logica da ricattatori dietro quel gesto, che avrebbe colpito il cimitero ebraico per fare più rumore, per alzare la posta.

Ostaggi, insomma, quei cinquanta defunti strappati alla loro pace; oggetto di trattative e minacce, e ritorsioni. Se questa è la logica delle cinquanta tombe spaccate, allora il vandalismo del Varano è nella stessa linea del rapimento della salma di Enrico Cuccia, sottratta da un balordo di provincia per averne un riscatto. E abituati come siamo a sapere che per tutto può venire chiesto un prezzo, pure questo andare a toccare i morti è l'indicatore di un abbassamento ulteriore della soglia del rispetto umano.

Hanno una lunga storia i nostri cimiteri. Fino all'illuminismo, nell'Europa cristiana, i morti erano sepolti nei sotterranei delle chiese e negli immediati dintorni: a significare una confidenza assoluta, un essere ancora "loro", in mezzo ai vivi, certi come si era di una vita ulteriore. È il secolo dei lumi - esibendo pur ragionevoli obiezioni di carattere sanitario - a proibire queste tumulazioni e a espellere anzi i cimiteri dalle città dei vivi. Fuori, lontano, oltre le mora. /Igiene, sì, ma non solo, in quella cancellazione della morte dalle geografie urbane, in quella massiccia rimozione architettonica). Poi, con l'era napoleonica, la morte e i cimiteri sono riammessi ai margini delle città. Ma sono diventati giardini, abbelliti di sculture e monumenti - il primo esempio è il Père Lachaise di Parigi - che ai vivi dovrebbero ispirare rispetto dei defunti, e nobili pensieri. Vengono infine i cimiteri del Novecento, spesso rigorosamente progettati in serie di loculi tutti uguali. È il socialismo dell'edilizia cimiteriale.

Ma in questi corsi e ricorsi del comune sentire verso i defunti, non era sostanzialmente venuta meno una legge non scritta ma fortemente interiorizzata: rispetto ai morti - per pietà oppure per un vago timore, come se ne ha con ciò che va in un oltre sconosciuto. È un cedimento da questo imperativo comune, spaccar le tombe per faccende di racket, o chieder soldi, come è avvenuto per riavere la salma di un parente.

È l'effetto di una secolarizzazione penetrata fino a quegli strati sociali di cultura più bassa, che però fino a trent'anni fa conservavano perfino nell'emarginazione o nella bassa manovalanza criminale, una sorta di codice: lasciar stare i bambini, lasciare stare i morti. Tabù caduti per un timore venuto meno; accolti una volta nelle chiese, poi cacciati, poi democraticamente allineati, inizia il tempo dei morti come ostaggi, dentro un mercato che non risparmia nessuno.

 

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