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Le
scoperte delle undici grotte di Qumran, nei pressi del
Mar Morto, in Israele, avvenute dal 1947 al 1956,
hanno rappresentato certamente un fatto della più
grande importanza per la miglior comprensione della
Sacra Scrittura e dell'ambiente storico nel quale si
è sviluppata la Chiesa della prima ora. Si tratta
della più grande scoperta di manoscritti antichi.
Sono i testi della biblioteca della comunità di
Qumran, una sorta di monastero in cui, secondo
l'opinione dei più eminenti specialisti, una parte
della famiglia degli Esseni conduceva una vita
dedicata al lavoro e alla preghiera. I suoi abitanti
appartenevano a uno dei principali gruppi religiosi in
cui si divideva il giudaismo, prima della distruzione
del tempio di Gerusalemme, nel 70 d.C.
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La
quasi totalità dei testi e dei frammenti contenuti nelle 11
grotte del complesso di Qumran è stata redatta in ebraico o
aramaico, e si tratta di pergamene (pelli di animale
opportunamente trattate e utilizzate per scriverci sopra). Solo
la grotta 7, scoperta nel 1955, presenta la particolarità di
contenere, nella sua totalità, dei papiri, una sorta di carta
composta con le fibre di una pianta detta "cyperus papyrus",
e, per di più scritti in greco. È precisamente questa grotta
che ha richiamato l'attenzione dell'esperto papirologo José O'Callaghan,
sacerdote gesuita spagnolo, che iniziò la sua ricerca su di
essa quando stava elaborando un catalogo dei papiri contenenti
sezioni della cosiddetta versione dei LXX (una traduzione dell'
A.T. in greco, eseguita ad Alessandria, da dei giudei, nel III
secolo a.C., per l'utilizzo da parte dei correligionari più
familiarizzati con il greco che con l'ebraico o l'aramaico.
Appassionato
dall'investigazione papirologica, il P. O'Callaghan si diede
allo studio approfondito della grotta 7, familiarizzandosi con i
frammenti ivi contenuti. Un giorno cominciò a trascorrere il
suo tempo libero - come egli stesso dice - «a distrarsi»,
tentando una identificazione del papiro inventariato con il
numero 5, cercando cioè di determinare di quale libro
dell'Antico Testamento facesse parte questo frammento di papiro.
Esso era datato al più tardi come dell'anno 50 d.C. e misurava
3,9 cm di altezza e 2,7 cm di larghezza. Il punto di partenza
per lo studioso fu la combinazione delle lettere "NNES",
che apparivano chiaramente leggibili nella quarta riga.
Dopo
successivi tentativi falliti nei passi che considerava più
probabili, ebbe l'idea di cercare tra i testi del Nuovo
Testamento. Inizialmente nessun riscontro, poiché la sua chiave
di ricerca si orientava sulle genealogie, ma in seguito arrivò
la sorpresa; in un primo momento il risultato lo tenne tra lo
stupore e l'incredulità: 7Q5 corrispondeva a Mc 6,52-53. Dopo
nuove e più rigorose interpretazioni, nonché reiterate
consultazioni con altri esperti, pubblicò, nel 1972, un
articolo, in cui spiegava i risultati del suo lavoro. Questo si
allargava all'intenzione di trovare altri frammenti del NT, su
consiglio di (altri) accademici con i quali si era consultato.
A
lato della chiara identificazione di 7Q5, buona parte degli
altri tentativi di identificazione dei papiri greci della grotta
7 restavano alquanto insicuri. Fu l'inizio così di una intensa
polemica, sorprendente per l'asprezza e l'abbondanza di
argomentazioni ad hominem piuttosto che scientifiche
utilizzate da alcuni dei suoi oppositori. In seguito vi furono
maggiori studi. Oggi, dopo oltre venti anni, le ricerche
rigorose di O'Callaghan vengono sempre di più appoggiate da un
crescente numero di papirologi di gran fama. Malgrado tutto
questo, numerosi biblisti, qumranologi, esperti di critica
testuale mantengono un atteggiamento di resistenza. Le
conclusioni definitive del P. O'Callaghan non hanno fatto altro
che confermare quella identificazione iniziale di 7Q5 come
corrispondente a Mc 6,52-53.
"...perchè non avevano capito
il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. Compiuta la
traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret..."
Dottore
in filosofia presso l'Università di Madrid, Dottore in
filologia classica presso l'università di Milano, il P. O'Callaghan
ha insegnato in importanti centri di studio europei. Egli è
professore emerito del Pontificio Istituto Biblico di Roma, dove
ha insegnato Papirologia e Paleografia Greca, nonché Critica
Testuale. Qui è stato anche decano della Facoltà Biblica.
Attualmente è impiegato come direttore del Seminario di
Papirologia dell'istituto di Teologia Fondamentale di S. Cugat
del Vallès, in Barcellona.
Qual
è la ragione di tanto subbuglio? Come è venuta maturandosi
l'identificazione di 7Q5 fino alle conclusioni definitive? Quali
implicazioni comporta, per la scienza biblica, il ritrovamento
di un frammento del testo di S. Marco datato, al più tardi,
come del 5O della nostra era?
Questi
e altri interrogativi sono stati affrontati nell'intervista che
gentilmente il P. O'Callaghan ha concesso a «Vida y
Espiritualidad»1
e che noi pubblichiamo grazie alla cortesia di Fabiano Gritti
Come
definirebbe, in sintesi, l'aver identificato il frammento 7Q5
con Mc 6,52-53?
L'apporto
dell'identificazione di 7Q5 sta nell'esserci avvicinati al Gesù
storico, che questa identificazione permette. Secondo alcuni
studiosi si era interrotta la linea di unione con il Cristo
storico, perché -secondo questi autori- non sapremmo niente di
Lui. Invece risulta che, se adesso siamo in possesso di un
papiro dell'anno 50 d.C., del Vangelo di Marco, -come dice molto
bene la esimia papirologa Orsolina Montevecchi, che è datato
circa vent'anni dopo la morte del Signore-, anche se questo non
ci parla di miracoli del Signore, tuttavia abbiamo stabilito il
contatto, mediante la testimonianza di un papiro, con il Cristo
storico.
Potrebbe
raccontarci qualcosa del cammino che ha percorso dal 1972 e che
culmina con la conferma scientifica di questa identificazione?
Mi
è successo qui quello che mi è accaduto altre volte, ma ancora
prima, quando nella mia disciplina scientifica si lavorava senza
l'aiuto dell'informatica e le cose erano molto più difficili. A
volte, nei momenti di difficoltà scientifica, quando non si
vede chiaro l'approccio ad un problema e lo scoraggiamento si
affaccia, viene una particolare intuizione che chiarisce la
situazione, che illumina il cammino e trova qualcosa di nuovo.
Alcuni mi hanno chiesto se si è trattato di una speciale grazia
di Dio. Al che rispondo: "Grazia di Dio, sì, perché tutto
quello che ho e che faccio è, in fondo, grazia di Dio, però
non una ispirazione divina particolare". Onestamente credo
di no. Si è trattato di una intuizione scientifica,
evidentemente, di cui rendo grazie a Dio.
La
prima ricezione del mio articolo apparso nella rivista Biblica:
"¿Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumrán?"
del 1972, fu molto polemica. Allora persone di grande autorità
scientifica mi dissero testualmente: «Né Lei né io verremo a
capo di una polemica internazionale, perché essa è fortissima.
Lei va contro l'opinione internazionale». Opinione
internazionale, del resto, che trovava spazio tra la maggior
parte degli studiosi della Bibbia nel campo protestante e nel
campo cattolico.
Stiamo
parlando della prospettiva di R. Bultmann, che stabilisce una
separazione tra il Gesù storico, che sarebbe assolutamente
inaccessibile, e il Cristo della fede, che corrisponderebbe alla
elaborazione della prima comunità cristiana e che è quello che
ha tramandato a noi, depositato nel Nuovo Testamento?
Ebbene,
sì. E dunque, chiaramente, questo aspetto è fortissimo. In
realtà il papiro è minuscolo e potrebbe presentare certamente
delle difficoltà. in quel momento non si pretendeva di
concludere di vedere completamente tutto chiaro.
All'inizio
non risposi agli attacchi di studiosi famosi come -soprattutto-
il prof. Kurt Aland, quelli degli specialisti della École
Biblique di Gerusalemme, etc. Essi mi attaccavano fortemente,
però, più che di argomenti scientifici, si trattava di
attacchi personali di grande risonanza internazionale. Io
vedevo, sulla base degli argomenti che la scienza papirologica
consente, per quello che la conosco, che non toccavano il
nocciolo della questione. Erano attacchi di scarso contenuto
papirologico. Allora cominciai a rispondere attenendomi
rigorosamente agli argomenti e non alle persone, finché non mi
stancai di ribattere. Pensavo che perdevo tempo ed energia in un
dibattito che, basato su questi termini, non valeva la pena di
continuare. Avevo risposto abbastanza nella rivista Studi
Papirologici; anche nella rivista Biblica. In seguito la
querelle si smorzò perché non ricevetti risposta ai miei
articoli chiarificatori. Non pubblicavano niente e si fece
silenzio sul tema. Senza interlocutori non potevo rispondere a
niente. La questione rimase assopita finché il papirologo
anglicano Carsten Peter Thiede, professore tedesco, si presentò
nel mio studio, con sua moglie, quando ero decano della Facoltà
Biblica del Pontificio Istituto Biblico di Roma, e mi disse che
era convinto che gli attacchi che la mia ipotesi aveva ricevuto
erano inconsistenti. Egli stava cercando di scrivere un libro
sulla mia identificazione. Dopo che ebbe investigato per suo
conto, pubblicò un libro in Germania di cui si è fatta, mi
pare, la quinta edizione. In castigliano si intitola: ¿El
manuscrito más antiguo de los Evangelios? El fragmento de
Marcos en Qumrán y los comienzos de la tradición escrita del
Nuevo Testamento. L'opera è stata tradotta anche in
olandese e in italiano (Il manoscritto più antico dei
vangeli? Il frammento di Marco diQumran e gli inizi della
tradizione scritta del Nuovo Testamento, (Subsida Biblica
10), Roma: Biblical Insitute Press, 1987: nota redazionale).
Inoltre Carsten Peter Thiede ha scritto un altro libro in
inglese, tradotto anche in francese (e in Italiano: Qumran e
i Vangeli. I manoscritti della grotta 7 e la nascita del Nuovo
Testamento, Milano: Massimo, 1996: nota redazionale). Tutta
la faccenda, come può vedere, ha acquistato risonanza. Si
tratta di uno scienziato di alto livello. Lo conosco e lo
rispetto molto, come è naturale. In quel tempo fu lui che
riprese la tematica. Essa era come addormentata, non spenta;
Thiede non la resuscitò, piuttosto la ha risvegliata.
Quale
è stata l'importanza del simposio svoltosi presso l'Università
di Eichstätt, in Germania, nell'ottobre del 1991?
È
stata grande. Mi invitarono, però non volli assistervi, perché
i partecipanti potessero sentirsi liberi di parlare in favore
oppure contro. Ciò che feci, fu di inviare una lettera, di cui
si diede lettura, ringraziandoli per il loro interessamento e
offrendo le mie preghiere perché incontrassero la verità. In
quella sede grandi personalità si espressero a favore della
identificazione, altre no; però, in generale, la opinione fu
favorevole. Mi offrirono i loro lavori. Erano nord-americani,
tedeschi, francesi, belgi... nessun italiano e nessun spagnolo.
Queste persone hanno potuto agire in un ambiente internazionale
altamente scientifico, pubblicando, in seguito, degli atti che,
in generale, propendevano in favore della mia posizione. In
seguito F. Rohrhirsch pubblicò un libro favorevole alla mia
identificazione e contro la presa di posizione di Kurt Aland e
la sua scuola, i quali, nella loro analisi informatica di tutti
i fattori relativi a 7Q5 hanno sbagliato a programmare il
computer; logicamente, l'elaboratore, programmato in modo
erroneo, ha dato risultati erronei, non validi.
E
allora Lei si accinge ad assumere lo studio di 7Q5 in profondità
e si avvia verso l'ultima tappa che culmina con il libro che
pubblicherà tra breve...
Con
tutti questi precedenti e altri apporti -compresi alcuni che per
essere a volte contrari alla mia tesi non lascio di valutare e
di ringraziare- con tutto il materiale raccolto dagli studiosi
che hanno cercato di stabilire altre identificazioni per 7Q5,
sono andato approfondendo la mia indagine. Grazie a un calcolo
delle probabilità da me richiesto all'eminente professore
Alberto Dou, Dottore in matematica e membro delle reale
Accademia delle Scienze di Madrid, risulta chiaro che il
frammento del papiro non può corrispondere ad altri testi...
Non combacia con nessun altro testo! Questo studio si riporta
ampiamente nell'epilogo del libro che sto dando alle stampe: Los
testimonios más antiguos del Nuevo Testamento. Papirología
neotestamentaria. ((En los origines del cristianismo 7)
Cordoba: Ediciones El Almendro, 1995: I testimoni più antichi
del Nuovo Testamento. papirologia neotestamentaria; attualmente
il libro non è ancora tradotto in italiano; nota redazionale).
Qui dichiaro e provo scientificamente, da un punto di vista
papirologico, che 7Q5 è Mc 6,52-53. Qui, infine, includo
l'apporto dello studio matematico del professor Dou. La
questione e definitivamente provata e sicura; cosa che mi anche
detto, dal punto di vista delle possibilità matematiche, lo
stesso professor Dou.
Parliamo
un po' delle diverse obiezioni e problemi posti alla
identificazione: secondo alcuni c'è un primo ostacolo ed che lo
studio è stato fatto usando come base dlle foto grafie e non il
papiro stesso...
In
primo luogo le rispondo come papirologo. A un papirologo non
sempre è possibile viaggiare fino a San Pietroburgo, a New York
o chissà dove per studiare un papiro, perché non possiamo
contare sul presupposto di avere sempre l'accesso diretto
all'originale. Questo è evidente. Quello che facciamo è, dalla
nostra sede, lavorare per mezzo di fotografie, talvolta ad
infrarossi. Questo è abituale, nella papirologia. In secondo
luogo è assolutamente falso che io non abbia lavorato con i
papiri originali. Il P. Martini, oggi Cardinale, che è stato
rettore del Pontificio Istituto Biblico quando proposi
l'identificazione per la prima volta, appena uscì il primo
articolo, nel 1972, mi chiese di stare a lavorare una settimana
completa al Museo di Gerusalemme.E la mia visita ai luoghi santi
fu, in gran parte la sala dei papiri del suddetto museo. Ebbi sì
la consolazione di celebrare la Messa presso il Sepolcro del
Signore, a cui mi ero già preparato da tempo, però, per lo più,
ciò che feci, fu di verificare le letture su 7Q5, letture che
erano ovvie già nella fotografia a raggi infrarossi. E nel
medesimo anno pubblicai un ampio articolo nella rivista Biblica,
in base alle note prese nel corso dello studio diretto presso il
Museo di Gerusalemme. Ed è curioso, perché, come ho detto, io
ho visto e ho lavorato una settimana con gli originali, C.P.
Thiede è stato 5 volte là, mentre il Prof. Aland, la cui
memoria rispetto e a cui riconosco il molto che ha dato nel
campo della critica testuale, ha lavorato soltanto con
fotografie e non è mai andato a Gerusalemme. È stato
paradossale il fatto che abbia attaccato duramente le mie
ipotesi dicendo precisamente che la mi identificazione è stata
realizzata lavorando soltanto con fotografie!
C'è
un altra questione papirologica ed è costituita da tentativi di
realizzare altre identificazioni di 7Q5, diverse dalla sua; come
quella della professoressa Spottorno, con Zac 7, 4-5? Altri
studiosi, come Julio Trebolle, per esempio, in un libro
recentemente pubblicato, dicono che sono possibili differenti
identificazioni del papiro. Che ne dice, a proposito?
Sono
ipotesi completamente sbagliate. Lo dico, come papirologo, con
tutta franchezza. Tutto quanto affermano a livello papirologico
io lo analizzo in profondità -come ho già detto- nella
conclusione del mio libro. Queste alternative che essi
propongono, in quanto papirologo, fanno pena a vederle. Sembra
che qui vogliano, più che illuminare, disorientare e parlare
tanto per parlare. Hanno proposto come identificazione testi che
non c'entrano in nessun modo! Ho sempre detto, fin dall'inizio,
che se mi provano che questo non è il Vangelo di Marco, io lo
accetto di conseguenza. Ma hanno cercato distorcere la realtà...
Nel libro che sta per apparire, c'è una sezione chiamata: «Presupposti
scientifici per l'identificazione». E sulla base di quanto ivi
espongo si vede con chiarezza che, nella proposta delle loro
alternative, non si è tenuto conto di quanto, nella metodologia
scientifica, è più elementare. E questo lo affermo nella
maniera più assoluta.
In
concreto, di che cosa stiamo parlando, di lettere che non
esistono nel papiro originale?
Quando
uno fa una identificazione, se è vera, questa corrisponde a
quello che si vede nel papiro, alla disposizione delle lettere e
al resto. Se la identificazione non corrisponde a quello che si
vede nel papiro, uno, di conseguenza, mette in dubbio e dice: «Questo
non è il papiro, è un'altra cosa». Queste interpretazioni
alternative, che hanno proposto, fanno pena, sul piano
scientifico. Nel caso della professoressa Spottorno, che
rispetto molto a livello personale, ella ricostruisce, in base a
7Q5, un passaggio che non è uguale al brano di Zaccaria con il
quale pretende di identificarlo, ma sarebbe una specie di
parafrasi dello stesso passo; che razza di identificazione è?
In
queste pretese identificazioni, si rispetta la "verticalità
delle lettere", che si deduce dalla media sticometrica
(numero delle lettere per linea) del rotolo al quale il papiro
apparteneva?
No,
in nessun modo. Né la "verticalità delle lettere", né
la lettura. Perché oltre a non corrispondere al papiro, le
lettere che propongono non vi si vedono. Non sto parlando solo
di lettere complete, ma non si vedono neppure incomplete, e
neppure si vedono tratti d penna. In papirologia le lettere
complete non presentano nessuna difficoltà: quelle incomplete
possono essere di lettura sicura o incerta. Però, se
incontriamo in un documento antico, per esempio, nel nostro
alfabeto, un triangolo con il vertice in alto, si possono
completare i lati fino alla base e si può dire che è una
"A". Però, se si incontra un simile triangolo, non si
può dire che è una "S". Eppure queste supposte
identificazioni alternative presentano cose simili; è
incredibile!
Un
altra obiezione è che il papiro è troppo piccolo per poterci
lavorare sopra seriamente...
Questo
fatto potrebbe mettere la pulce nell'orecchio a uno che non sia
papirologo, ma a un papirologo questo non suona strano, perché
ci sono dei papiri più piccoli, come per esempio quello che
corrisponde a Samia, (la cui sigla è P. Oxy. XXXVIII
2831), opera di Menandro, che misura 2.4 per 3.3 cm. Per la sua
identificazione il papirologo inglese E.G. Turner modifica il
testo e realizza un cambio fonetico che non si incontra da
nessuna altra parte. Questa identificazione è stata accettata
da tutti. Ci sono altri esempi. Il papiro neotestamentario
pubblicato da C.P. Thiede, appartenente alla collezione Bodmer,
è molto più piccolo. Inoltre c'è anche il caso del papiro che
fu identificato nella gotta 7 di Qumran come corrispondente a un
testo dell'Antico Testamento, della lettera di Geremia, in cui
si presenta una identificazione testuale che gli identificatori
aggiustano come possono, sulla base di una versione latina.
Inoltre le uniche parole che si leggono con sicurezza assoluta
sono OUN (= dunque, cong. consecutiva) e AUTOUS, (= essi). In
tutti questi casi nessuno ha fatto pesare qualche difficoltà
perché il papiro è più piccolo di 7Q5.
C'è
un'altra questione relativa a 7Q5; è la lettera incompleta che
alcuni hanno letto come una «I» e che Lei legge come «N»...
C'è
una lettera che io leggo come «N», in relazione alla quale
quelli dell' École Biblique di Gerusalemme mi dissero
che ciò era -testualmente- «assurdo». Dicevano che era
assurdo vedere lì il tratto verticale sinistro di una «N» -il
ny maiuscolo in greco è come la N in italiano (or.
"in castigliano"). Si tirava in ballo questo finché,
al Dipartimento di Investigazione e Scienza Forense della
Polizia Nazionale di Israele, e con gli apparati della
tecnologia moderna, concretamente con lo stereomicroscopio,
videro che nel tratto verticale a cui ci riferiamo, nella parte
superiore, discendeva parte del tratto obliquo discendente
corrispondente ad una «N». E' dunque scientificamente provato.
Ora, la lettera che segue, che più di uno vedono come una eta
-che nell'alfabeto maiuscolo greco è fatta come una «H»-, io
non la vedo tale. E sebbene un eta in questa posizione
combacia perfettamente con la mia identificazione, poiché
desidero essere onesto scientificamente, quando il professor A.
Dou fece i calcoli delle probabilità che gli richiesi, gli
dissi di mettere un punto nella posizione che quella lettera
occupava, perché io, semplicemente, non la vedevo.
Il
fatto che si sia ricorso alla polizia scientifica israeliana,
che non ha nessun interesse nella polemica, garantisce
l'imparzialità delle informazioni che sono servite ad
identificare la lettera...
Per
un certo aspetto sì, però non in quello fondamentale.
L'obiettività della identificazione è garantita dal rigore
scientifico del lavoro nel suo insieme. Le dirò un'altra cosa,
perché possa vedere l'onestà del procedimento: ogni qual volta
pubblicavo un articolo, difendendo la mia posizione, ho sempre
pubblicato la fotografia a raggi infrarossi. Quelli che
attaccarono l'identificazione non hanno mai pubblicato nulla,
soltanto parlavano. Qui c'è già una differenza di procedura
scientifica. In questo desiderio di onestà, ad un estremo e
massimo rigore scientifico, non si è mancato di adottare tutte
le possibilità di investigazione, e di presentare il papiro
alla polizia israeliana, la stessa che è completamente
imparziale nella materia di questa identificazione.
Si
è parlato anche del cambio di un delta con un tau
che si deve fare per ottenere l'identificazione. È un aspetto
che hanno trattato C. Roberts, Pierre Benoit, M.E. Boismard e
altri.
Sì.
E quando vidi che alcuni assunsero questo come una obiezione, mi
recai presso la biblioteca del Pontificio Istituto Biblico, e
scrissi una nota che fu pubblicata nella rivista Biblica,
circa la frequenza del cambio delta-tau nei papiri
biblici. E ripeto quello che ha detto la professoressa
Montevecchi, una eminenza in papirologia: obiettare questo
cambio delta-tau è quasi ridicolo, a motivo della
possibilità e ammissibilità del cambio. E di fatto esistono
numerosi casi dello stesso errore, compreso perfino un graffito
in greco su pietra, dei tempi di Erode, dove è evidente che
avrebbero dovuto badare di più alla scrittura.
Nel
campo della critica interna ci sono delle altre osservazioni.
Una di esse mette in discussione l'identificazione fatta da Lei
perché essa esige l'eliminazione di nove lettere,
corrispondenti alla frase EPI TEN GEN, che appare nella variante
greca più comune del Vangelo di S. Marco.
Di
questo parla anche O. Montevecchi. Io potrei rispondere con le
sue parole, che sono molto più autorevoli delle mie e
assolutamente imparziali. Se il cambio delta-tau, come ho
già spiegato, non ha niente di particolare -e parlo come
papirologo-, omissioni analoghe a EPI TEN GEN sono un caso
conosciuto e accettato. Lo stesso C. Roberts, quando pubblicò
il papiro p52, quello famoso del vangelo di S. Giovanni,
realizzò la sua identificazione omettendo alcune lettere; Ed è
che nella pericope (Gv 17, 37-38) c'è una ripetizione, nel
testo originario di S. Giovanni, che dice: «Io per questo (EIS
TOUTO) sono nato e per questo (EIS TOUTO) sono venuto nel mondo»
(v. 37). La seconda occorrenza di EIS TOUTO, che è la lettura
ordinaria nel testo oggi conservato, per ragioni sticometriche,
lo omise lo stesso Roberts, guidato dalla «verticalità delle
lettere» del testo nel margine destro del papiro, considerando
il suo testo come una variante più breve. Ed è ben conosciuta
l'accoglienza entusiasta e la generale accettazione della
identificazione di p52, corrispondente all'anno 125. Non
voglio parlare di altri diversi papiri biblici la cui
identificazione, malgrado presentassero varianti «assurde», è
stata accettata da tutti gli specialisti. Mi limito solo a
citare un pezzo di papiro (più piccolo di 7Q5), il p73
(= p. Bodmer I). In questo insignificante papiro, tra il
fronte e il retro si leggono con sicurezza solo otto lettere.
Ebbene, l'identificazione di questo papiro con il testo di Mt
25,43 e 26,2-3, è stata accettata senza nessuna difficoltà.
Non
le sembra degno di prendere in considerazione l'argomento del
prof. Metzger che cerca di mettere in questione
l'identificazione perché, -dice- per realizzarla si rende
necessario accettare delle eccezioni in un pezzetto molto
piccolo di papiro?
Che
eccezioni sono?
Il
cambio delta-tau e l'EPI TEN GEN.
Questo
che dice il professor Metzger mi sembrava molto opportuno, perché
rispetto molto la sua personalità scientifica. Siamo amici. Però
l'argomento che porta è scardinare la questione. Può darsi che
in un pezzo piccolo di papiro ci siano delle varianti perché
cadono proprio lì. Inoltre, in questo caso, queste varianti non
hanno corpo e volume sufficiente per far dubitare della
identificazione perché non hanno, ognuna di esse, un peso
significativo per generare dei dubbi.
Il
che equivale a dire, riassumendo, che esistono papiri accettati
ai quali si sono concesse non poche eccezioni in più e nessuno
si è fatto alcun problema?
Così
è. Esistono molti altri papiri. Lo dico sempre e lo ripeto ora:
se questo papiro fosse del VII secolo, sarebbe fantastico; però
chiaramente è del I secolo e per questo non si accetta.
Comprendo queste riserve soltanto per le conseguenze che questa
accettazione comporta.
C'è
qualcuno che parlava di un Suo intento apologetico...
Se
mi dicono questo è per mettermi addosso un marchio d'infamia.
Io lavoro sempre con rigore scientifico e ho compiuto altre
identificazioni, per esempio una che un gruppo di professori
tedeschi di Berlino mi presentarono come un brano di prosa e che
io ho identificato come del poeta Teocrito. Ora mi domando:
"Che apologetica ho fatto con questa identificazione?"
A quel tempo ed ora il mio procedere è scientifico. Nel caso
poi di 7Q5 la identificazione compiuta non fu fatta cercandola,
ma è successo..., semplicemente. Inoltre, a condurmi ad essa fu
la curiosità nel tempo del riposo... «fare i cruciverba in
greco», semplicemente.
Proseguendo,
parliamo delle conclusioni del calcolo delle probabilità, la
prova matematica. Il cambio delta-tau da Lei rimarcato, non
interferisce con il risultato?
Infatti
io avvertii di questo il professor Dou, ma bisogna supplire all'equivocazione
dello scriba. Matematicamente, tuttavia, nella prima ipotesi di
lavoro (egli ha lavorato con cinque ipotesi distinte che,
nell'insieme, hanno dato un risultato favorevole alla
identificazione che io propongo) questo cambio consonantico
influiva poco.
E
nel caso delloeta che Lei ha detto che non vedeva
chiaramente...
In
questo caso richiesi al professor Dou di non considerarla e di
mettere lì un punto, che denotava una lettera sconosciuta. Il
resto delle lettere sicure del papiro si sono considerate come
tali. D'altro canto si è utilizzata, come base, la medesima
sticometria (lunghezza di ogni riga della colonna del testo)
della mia identificazione, cioè con lo stesso numero di spazi o
lettere, e con possibilità di variare tra le venti e le ventitré
lettere, perché, essendo lettere fatte a mano, non sempre la
loro quantità è costante in ogni linea.
La
prima ipotesi semplicemente considera il numero delle lettere e
la loro ubicazione, senza distinguerne nessuna...
Sì,
si tratta di un calcolo puramente matematico, senza identificare
nessuna lettera... A farlo, la probabilità che si incontri una
sequenza che possa corrispondere a 7Q5 è di 1 contro
trentaseimila bilioni. Per farsi un'idea, si può spiegare che
quando si tira una moneta in aria la probabilità che venga testa
è 1 contro 2. Così, la probabilità in questo caso è di 1
contro 36.000.000.000.000.000 (trentasei milioni di miliardi).
Questa cifra si riduce, cioè la probabilità è maggiore,
quando ci si riferisce alla congiunzione di lettere propria di
un testo espressivo letterario, che è differente dalla ipotesi
precedente di un testo matematico inespressivo.
Nel
caso di un testo espressivo letterario ci sono più probabilità
che nel caso precedente che il frammento 7Q5 coincida con un
testo diverso da Marco...
Sì,
ma la probabilità in questo caso è di 1 contro novecentomila
milioni... cioè non ce ne è praticamente nessuna. Si tratta di
una contro 900.000.000.000 possibilità. Questo è sicuro, perché
in tutte queste migliaia di milioni, parlando matematicamente, e
impossibile e assurdo che si possa incontrare un'altra
identificazione, perché questa è unica ed è con Mc 6,52-53.
Tanto nel primo come nel secondo caso, il risultato è
scientificamente sicuro. Tutti i dettagli di questa come di
tutte le altre ipotesi di lavoro dell'analisi del professor Dou
saranno riportate nell'appendice della mia prossima opera, come
ho già detto.
C'è
una terza ipotesi...
Questa
si riferisce a una sticometria più ampia, perché nel lavoro
con la matematica cerchiamo di esaurire tutte le possibilità di
variazione. In questo caso la probabilità di una
identificazione di 7Q5 con un testo che non sia di Marco è di 1
contro 430 bilioni. Si tratta di 1 possibilità tra
430.000.000.000.000 di opzioni. nuovamente il risultato è molto
chiaro.
Persino
un risultato più...
Le
analisi del professor Dou lo portano ad affermare che, nel caso
si scoprisse nel futuro qualche documento con il quale il
frammento 7Q5 potrebbe identificarsi, questo documento e Mc 6,
52-53 sarebbero testi non indipendenti. Cioè, eventualmente si
scoprisse un qualunque altro testo suscettibile di supportare
una identificazione con 7Q5, questo testo avrà a che vedere con
il nostro brano di Marco. Tutto questo verrà spiegato nel
libro.
Lei
si sente intimamente convinto, come scienziato, che questa sua
identificazione è certa...
Ora
sì, inizialmente non ero tanto fermamente convinto. Era
un'ipotesi molto probabile. Adesso sì, sono sicuro.
Andando
oltre il tema della identificazione propriamente tale del testo,
circa la datazione del testo...
La
datazione la fece Roberts, il grande paleografo di Oxford. Forse
adesso stanno facendo maggiori difficoltà rispetto al momento
iniziale, però fino ad allora non si presentò nessun problema.
Il professor Fitzmyer diceva in un articolo che, poiché non si
può cambiare la datazione, non si può accettare la
identificazione di 7Q5. ora, perché non si può cambiare la
identificazione, cercano di cambiare la datazione.
Ci
sarebbe la possibilità di usare il metodo del carbonio 14 per
precisare la datazione?
No,
è impossibile, perché bisognerebbe bruciare il papiro... In
pezzi di papiro più grandi sì, è possibile farlo, ma in
questo caso ciò implicherebbe la perdita totale dello stesso.
In
relazione al medesimo tema della datazione, ci sono alcuni - e
tra questi il già menzionato ricercatore K. Aland- che
affermano che il papiro debba essere posteriore all'anno 50.
Il
professor Aland non era paleografo; cioè, pur con gran rispetto
ai suoi lavori di critica testuale, nel campo della paleografia
preferisco altre opinioni.
Inoltre
esiste un problema da tirare in ballo e che è il passaggio dal
rotolo al codice; potrebbe spiegare qualcosa a proposito?
Nel
simposio della Sorbona, a Parigi, svoltosi pochi anni fa,
ricordo esattamente che gli specialisti si misero d'accordo e si
può dire che è verso l'anno 80 che ebbe luogo il passaggio dal
rotolo al codice; non in maniera netta, ma si cambiò poco a
poco, finché finalmente si passò al codice, soprattutto per
facilitare la diffusione del nuovo testamento. Era più facile
inviare libri, quaderni, che rotoli, complicatissimi da
maneggiare.
Nel
caso del papiro 7Q5 teniamo un pezzetto di rotolo; il che
implica che esso sia anteriore all'anno 80 d.C., che fu quando
essi cessarono di essere utilizzati...
In
realtà anteriori a quando si chiusero le grotte di Qumran, cioè
nel 68 d.C.; in base all'archeologia e alla storia, per
precisione storica, questo frammento è molto antico.
Tra
i metodi paleografici, quali furono utilizzati per datare il
papiro prima dell'anno 50 d.C.? Cosa c'entra il cosiddetto Zierstil
(«stile ornato») con tutto ciò?
Ogni
stile paleografico (stile di scrittura) ha una nascita, uno
sviluppo, e una morte. È in base a questi stili e ai suoi cicli
di vita che si può spere la datazione di un manoscritto. La
datazione la fece il prof. Roberts, di Oxford, molto noto, come
ho già detto. Un altro professore, un altro molto rinomato in
Italia, di cui non faccio il nome perché me lo ha detto
confidenzialmente -non sarebbe particolarmente significativo
sapere, in questa vicenda, il suo nome- sosteneva: «Al massimo
questo papiro è dell'anno 50 d.C.». E chi mi ha detto questo
è, secondo me, il miglior paleografo biblico del mondo.
Cioè
paleograficamente il papiro 7Q5 ha uno stile che è determinato
tra un intervallo di anni e per questo è possibile datarlo...
Sì,
questo intervallo di anni va dal 50 a.C. al 50 d.C. Potrebbe
darsi che questo stile abbia una ramificazione, però c'è da
tenere conto di una cosa: alcuni dei papiri della grotta 7 di
Qumran presentano dei tratti che sono molto interessanti, si
incontrano tratti paleografici dei papiri di Ercolano,
dell'Italia. Allora può darsi che si scrivessero a Roma...
Infine c'è una serie di casi molto interessanti, tuttavia
enigmatici.
Questo
ha a che vedere qualcosa con la iscrizione che si riscontrò
nell'anfora della grotta 7, che diceva «Roma»?
Questo
lo affermano alcuni. Io non sono un tecnico in questo campo e
non mi azzardo a sostenerlo. Persone più accreditate potranno
dirlo. Quanto Lei dice lo suggerì un professore del Pontificio
Istituto Biblico; ma, per contro, il neutrale specialista di
Qumran Yigael Yadin disse di no, che si metteva solo il nome del
proprietario o il contenuto, ma non l'origine geografica... Però,
nella migliore delle ipotesi, il contenuto era «manoscritti di
Roma». Si tratta di qualcosa aperto alla investigazione.
A
parlare di 7Q5, davanti a che cosa ci troviamo? Davanti ad un
frammento del Vangelo di Marco? Di quale versione? Di una fonte
di Marco?
Questo
non lo so. Alcuni dicono che è una fonte. Colui che oggi è il
Cardinale Martini aveva un'opinione al riguardo e, credo, la
pubblicò. Avendo un cambio di sezione (tra i versetti 52 e 53
del capitolo 6 del Vangelo di S. Marco), si tratta di un testo
già formato. C'è un paragrafo, un spazio vuoto in bianco, che
implica un «punto e a capo». Però, una volta di più, questo
esula dalla mia competenza e per questo non esprimo valutazioni.
Altri lo diranno.
Ci
sono anche altri indizi che permettono di compiere questa
identificazione con Marco; per esempio, l'uso reiterato della
parola KAI (in italiano «e»), se non mi sbaglio...
Certo,
è vero; non c'è un altro autore classico che fa iniziare un
paragrafo con KAI, come nel caso di 7Q5. Questo comincia una
sezione al v. 53. E se si tiene conto che in Marco più del 90%
delle pericopi cominciano con KAI, rivelando un greco poco
raffinato -che tuttavia bisogna dire che è proprio del Vangelo
di Marco-, gli argomenti i favore della datazione aumentano. La
verticalità delle lettere, il dettaglio del paragrafo, il KAI,
lo stesso fatto di essere una lectio brevior (una
variante più breve dovuta all'omissione di EPI TEN GEN)...
tutti questi fatti portano O. Montevecchi ad affermare che se
questo non ci fosse, avrebbe dubitato che il papiro fosse
antico.
Parliamo
un po' delle reazioni, come per esempio quella del professor
Ravasi, che, mostrando disinformazione sul tema affermò,
rispondendo alla proposta di identificazione di 7Q5 con il
menzionato passo di Marco, che si trattava di un papiro con
lettere ebraiche. Come è possibile una simile mancanza di
obiettività?
Questo,
invece di chiederlo a me, bisognerebbe piuttosto chiederlo a Lui
Lei
non ha nessuna idea sulla faccenda?
Questa
leggerezza è una cosa incredibile... Ravasi, che è una persona
molto competente in certe cose, non si è neppure degnato di
guardare il papiro! Appare chiaramente il KAI, appare
chiaramente il tau, appare chiaramente il gruppo NNES... E lui
dice che è ebraico? Eppure sembrerebbe che si sia espresso così.
Ci troviamo di fronte ad un pregiudizio di scuola, o, piuttosto,
di posizione. Si vede chiaramente... Le personalità eminenti
che hanno le loro posizioni scientifiche, come potevano cambiare
la loro posizione per la proposta di un giovane sconosciuto
nell'ambiente biblico internazionale? Nel campo papirologico io
ero conosciuto, ma in campo biblico no. Se non si è papirologi,
sinceramente, si vedranno o non si vedranno cose con
superficialità...
Che
cosa le dice il fatto che le critiche provengono più dagli
esegeti che dai papirologi, pur non essendo quello il loro
campo?
Quello
che dice Herbert Hunger, che è stato direttore della collezione
dei papiri della Biblioteca Nazionale dell'Austria, realtà di
grandissima importanza per la papirologia, è assai ragionevole:
"Io non parlo né come teologo né come biblista, parlo
come scienziato e papirologo, e come scienziato dico che O'Callaghan
ha ragione". Quanto afferma O. Montevecchi è importate:
questo non toglie ne aggiunge nulla, perché anche se questo non
fosse un papiro di San Marco, il cristianesimo non perde nulla.
Ed ora si deve anche presentare in conto, a coloro che si
oppongono alla identificazione che avanzo, che, a fronte dei
loro pregiudizi c'è stato un rafforzamento di un più equanime
e scientifico apprezzamento delle cose.
Sebbene
il suo lavoro su 7Q5 non abbia un intento apologetico, non di
meno esso ha delle conseguenze importanti per l'annuncio delle
fede nel nostro tempo, soprattutto per quanto ha a che fare con
la storicità dei vangeli. Come vede questo aspetto?
Una
cosa è che io, come sacerdote, mi rallegri molto, ma è altra
cosa che un sacerdote abbai tirato acqua al suo mulino. Quando
valutavo globalmente la cosa, allora, oltre ad aver discusso e
parlato con rigore scientifico, mi sentivo che come sacerdote
ero molto lieto della vicenda, per contro considerando che la
mia lotta iniziale fu molto difficile -ho trascurato anche le
prime votazioni per proseguire come cattedratico presso il
Pontificio Istituto Biblico e mi stavo giocando tutto come
scienziato; era molto rischioso per me mettermi nella questione
di 7Q5-. Ed è che sono convinto che la ricerca della verità
necessariamente conduce a Dio, che è la verità. Ora, come
sacerdote, non potrei certo minimizzare la mia aspettativa che
l'identificazione di 7Q5 con Marco fosse vera, però mai ho
fatto apologetica, perché reputo che lavorare così sia
inaccettabile. Tra i risultati finali dell'investigazione, sono
contento che questa si sia rivelata vera: non posso negarlo.
Che
conseguenze pratiche vede? Crede che si tratti di una porta per
cui alcune persone volgano gli occhi alla fede?
Ebbene,
questo si vedrà. Io non so quello che farà la gente. Però se
si accetta questo, per la stessa solidità scientifica che
possiede, papirologica, matematica, credo che potrà aiutare
qualcuno a dire di sì. Io ripeto tuttavia mille volte la stessa
cosa: questo papiro non ha aumentato minimamente la mia fede,
perché la mia fede va oltre tutti i papiri e i codici. Però la
fede suppone la razionalità umana; di conseguenza sono contento
che la identificazione che ho proposto possa affermarsi con
certezza.
Concludendo,
dando ora uno sguardo retrospettivo, che lettura fa di questo
che ha chiamato una «avventura scientifica»? Come vede le cose
alla luce degli anni?
Ebbene,
è stato tutto. È stato benedizione, è stata prova, è stato
calvario, è stata gloria, sono stati momenti intensi... Però
innanzi tutto è stato lo sforzo di servire Dio e la Chiesa,
sulla base del mio ministero sacerdotale e dei miei studi
scientifici.
1
Da
«Vida
y Espiritualidad», maggio-agosto 1995,
anno 11, N. 31.
Traduzione dallo spagnolo a cura della redazione di San Lorenzo
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