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Dopo millenni in India torna
nella terra di Israele la tribù dispersa
I presunti discendenti della Bnei
Menashe, una delle dieci tribù disperse di cui parla la Bibbia, stanno per
lasciare l’India dopo 2700 anni. Risiederanno negli insediamenti israeliani
della West Bank.
Un gruppo di 218 persone
provenienti da una zona montuosa del nord-est dell’India è pronta per essere
accolta in Israele. Si tratta dei presunti discendenti della tribù Bnei
Menashe, una delle dieci disperse dopo l’esodo dalla Terra promessa di cui
parla la Bibbia. La notizia è stata confermata ieri da fonti governative
israeliane.
Per Michael Freund, fondatore
della Shavei Israel [associazione che aiuta gli “ebrei dispersi” a
tornare in Israele ndr] si tratta di “un punto di svolta. E’ un
evento storico, perché i membri della tribù dispersa potranno tornare a casa
dopo 27 secoli”.
I membri della tribù si sono
già convertiti all’ebraismo in maniera formale in India, nonostante le
proteste – anche a livello diplomatico – di New Delhi. I rabbini inviati
negli Stati indiani del Mizoran e Manipur dal capo rabbino sefardita di Israele,
Shlomo Amar, hanno seguito la conversione dei tribali e li hanno dichiarati “discendenti
di ebrei”.
La tribù conta circa 7mila
membri: di questi, già mille vivono fra la Striscia di Gaza e gli insediamenti
in Cisgiordania. Per gli avvocati che hanno perorato la loro causa presso i
governi israeliano ed indiano, il punto d’arrivo dei dispersi “non nasce da
una decisione politica, ma pratica”. Sono i coloni di quelle zone, infatti,
gli unici che hanno stanziato dei fondi per “far tornare i loro fratelli in
patria”.
Il Mizoram è uno Stato a
prevalenza cristiana, mentre la maggior parte della popolazione del Manipur è
indù. All’inizio del 20° secolo, i membri della tribù si erano convertiti
al cristianesimo.
Zaitthangchungi, un ricercatore
locale e autore del libro “L’identità dei mizo (abitanti del Mizoram) di
Israele”, ha dichiarato che “la maggioranza della popolazione non conosce la
lingua ebraica, anche se sono molti che ora hanno cominciato a studiarla”. “I
riti che officiano – continua – sono invece del tutto analoghi a quelli
praticati in Israele”.
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[Fonte: AsiaNews 30 settembre 2006]
Così ne parla La Repubblica
Alberto Stabile 27 settembre 2006
GERUSALEMME - Arrivano dal
nordest dell´India dopo aver attraversato l´oceano della Storia. Perciò non
bisogna stupirsi se hanno occhi a mandorla, passaporto indiano e un´antica fede
ebraica. Sono, dicono, i discendenti della tribù di Menasse, esiliata e
dispersa in Asia dopo la conquista assira del regno d´Israele nel 722 a.C. I «Bnei
Menashè», letteralmente «figli di Menasse», non sono una novità nel fluire
dell´immigrazione verso la Terra dei Padri. Alla spicciolata, su base più o
meno individuale, ne sono già arrivati un migliaio negli ultimi due decenni.
Per la prima volta, tuttavia, un gruppo di 218 Shinlung, o Mizo-Kuki-Chin, come
vengono definiti dagli antropologi, sbarcheranno nei prossimi giorni all´aeroporto
Ben Gurion, preceduti e seguiti, proprio in quanto «gruppo», da qualche
polemica. Nascosti come sono stati per secoli nelle pieghe della Storia,
perseguitati per le loro credenze religiose, privati delle loro case e delle
loro terre, venduti come schiavi, sballottati dall´estremo oriente cinese al
Tibet, questi ebrei dalle fattezze mongole si sono infine ritrovati in due
regioni indiane, Maniour e Mizoram, al confine con la Birmania. E qui, nella
seconda metà dell´Ottocento e fino agli inizi del ventesimo secolo, hanno
dovuto subire l´offensiva dei missionari anglicani che li hanno convertiti a
forza al cristianesimo. Non ci sono documenti che possano dimostrarlo, perché i
popoli reietti non hanno archivi in cui preservare le tracce delle proprie
radici, né tribunali cui potersi appellare. Ma le loro leggende, passate di
bocca in bocca prima della loro conversione, parlavano di una patria amata da
cui furono scacciati, di un viaggio interminabile e periglioso culminato nell´attraversamento
di un mare di colore rosso. E che dire della festa del raccolto, che sembra
evocare eventi tali e quali quelli riferiti nel Libro dell´Esodo? Ma fu
soltanto a metà del ‘900, esattamente nel 1951, che un pentecostale chiamato
Malachala o Challiantanga, proveniente dal villaggio di Buallawn, riferì d´aver
fatto uno strano sogno. Dio gli s´era rivelato, ordinandogli di riportare la
sua gente alla fede precristiana osservata prima della conversione e di tornare
alla paria originaria, Israele. I suoi discendenti, oggi Bnei Menashè,
sostengono che Challiantanga effettivamente partì con un pugno di seguaci, ma
imbattutosi nella giungla, dovette fare marcia indietro e rinunciare. Nonostante
quell´iniziale fallimento, tuttavia, le conversioni si moltiplicarono e gli
echi di quella popolazione che si ritiene legata ad una delle tribù perdute
giunse in Israele. La causa dei discendenti di Menasse non avrebbe fatto molta
strada se non avesse attratto l´attenzione del rabbino Elihau Avichail, uno
studioso che ha speso tutta la sua vita sulle tracce degli ebrei inghiottiti nei
gorghi della storia. Avichal, nel 1979, fonda l´organizzazione «Amishav» (Il
mio popolo ritorna) dando di fatto inizio al lungo processo che porterà nei
prossimi giorni a 218 arrivi, tutti in una volta. Già nel gennaio del 2000,
tuttavia, Avichail aveva festeggiato come «un trionfo della fede» lo sbarco al
Ben Gurion, senza il marchio del governo e delle agenzie che favoriscono l´immigrazione
in Israele, di parecchi Bnei Menashè. Ma il percorso non è stato facile. Ci
sono voluti anni prima che il rabbinato centrale accettasse la rivendicazione di
appartenenza all´ebraismo da parte di quei membri della popolazione Shinlung, o
Mizo-Kuki-Chin, desiderosi di convertirsi. Anni di battaglie, dentro e fuori
Israele, e di missioni impossibili. Giunta, nel 2005, la decisione favorevole
del rabbinato, viene spedita una task force in India per favorire le conversioni
in loco di quegli ottomila Bnei Menashè desiderosi di convertirsi. Ma il
governo di Nuova Delhi s´oppone, altre minoranze gridano al favoritismo nei
confronti degli ebrei, i rapporti, per altro eccellenti, tra India e Israele
vengono messi a rischio. La polemica interna invece s´accende quando, in vista
dell´operazione che prenderà il via nei prossimi giorni, il ministro
israeliano dell´Assorbimento, Zeev Boim, annuncia che i 218 - la cui
conversione risale già all´anno scorso - potranno giungere in Israele non
prima che il governo decida quale atteggiamento tenere verso le altre migliaia
che hanno manifestato il desiderio di convertirsi ma non lo hanno ancora potuto
fare. Michael Freund, fondatore di un altra organizzazione favorevole all´accoglimento
dei Bnei Menashè, spara a zero accusando Boim di tenere una linea «illegale,
immorale e contraria ai valori del sionismo e dell´ebraismo». Per questo,
oggi, il ministro dell´Assorbimento, a proposito dei 218 nuovi immigrati, parla
di una decisione «una tantum», destinata a non ripetersi. Mentre il personale
coinvolgimento del premier Olmert dice quanto importante siano questi nuovi
arrivi per il governo israeliano. A differenza di quelli che li hanno preceduti,
i nuovi immigrati dall´India nord-orientale saranno accolti nella zona del
Carmelo e vicino a Nazareth. In Israele, dunque, mentre i primi trovarono
sistemazione soprattutto negli insediamenti di Gaza e nella West Bank. Non di
proposito, disse a suo tempo in un´intervista a Repubblica il rabbino Avichail,
ma perché non avevano trovato posto nei kibbutz religiosi dove sarebbe stato
preferibile mandarli. Al momento dell´evacuazione del Gush Katif, nell´agosto
2005, molte famiglie di Bnei Menashè si opposero alla decisione di Sharon di
abbandonare la Striscia di Gaza.
Pubblichiamo una notizia d'interesse, con
risvolti analoghi
"Una parte dei talebani afghani, quelli almeno che appartengono alla stirpe
dei patani, potrebbero essere i discendenti di una antica tribù ebraica andata
dispersa in epoca biblica. Lo ha sostenuto in una intervista radio il rabbino
Eliahu Avihail, che da quarant’anni studia le similitudini fra riti ebraici e
abitudini diffuse fra remote tribù nel Terzo mondo.
Secondo il rabbino, sui due lati del confine fra Afghanistan e Pakistan vivono
15 milioni di musulmani sunniti patani. I nomi di alcune tribù patane (Rabani,
Ashuri, Yussuf-Sai) hanno assonanze ebraiche (Reuben, Asher, figli di Yossef).
Nelle sue ricerche antropologiche, Avihail ha appurato che — come fra gli
ebrei — anziane donne patane accendono due candele il venerdì sera e i
neonati maschi sono circoncisi all’ottavo giorno di vita.
Malgrado ripetuti sforzi, il rabbino non è riuscito a confermare voci secondo
cui in alcune tribù patane circolerebbero amuleti con la scritta "Shemà
Israel", "Ascolta, Israele"".
[Dall’Ansa del 25 settembre 2001]
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