Quelle strade diverse dalla Sinagoga alla Chiesa 

Ci sono coloro che sono arrivati alla Chiesa partendo dalla Sinagoga. È la presenza più significativa, anche se più piccola della comunità cattolica di espressione ebraica in Israele. Non voglio che si parli troppo di loro (c'è ancora chi li considera meshummab, rinnegati). Poi ci sono i cristiani delle famiglie miste e quelli che sono arrivati in Israele con le ultime ondate di immigrazione in particolare dall'ex Unione Sovietica. Per tutte queste ragioni è difficile avere una cifra esatta dei cattolici di lingua ebraica dentro la popolazione israeliana. Certamente parecchie migliaia, di cui almeno 500 sono fedeli praticanti e hanno il loro punto di ritrovo in quattro grossi centri urbani: Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa e Beer-sheva.

Per rispondere ai loro bisogni pastorali già nel 1955 venne fondata l'Opera di S. Giacomo. Con un duplice scopo: far sì che cattolici di espressione ebraica diventino una cellula viva della Chiesa e siano operatori di riconciliazione tra il popolo ebreo e il mondo cristiano. In quanto membri della società israeliana chiedono pace e sicurezza ma, al tempo stesso, condividono le richieste di libertà, di giustizia e di indipendenza del popolo palestinese. Malgrado la distanza sociale e culturale che li separa dalla maggioranza araba della chiesa locale vogliono essere riconosciuti nella loro specificità. Intendono avere un ruolo profetico di pace, convinti che le legittime aspirazioni nazionali non sono il valore ultimo per chi si definisce cristiano.

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Luigi Geninazzi su "Avvenire" del 31 dicembre 2003

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