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Il Nuovo Testamento non è la distruzione ma il compimento dell'Antico. Le feste liturgiche sono l'esempio più notevole di questo principio. Le grandi solennità del giudaismo, la Pasqua e la Pentecoste, sono rimaste quelle del cristianesimo, caricandosi solamente di un senso nuovo. Vi è tuttavia un'eccezione a questa legge, almeno apparentemente, che è quella della Festa dei Tabernacoli, la Scenopegia dei Settanta, che si svolgeva in settembre. Non ne sussiste che un vestigio, la lettura del testo del Levitico che la riguarda, il sabato delle Quattro Tempora di settembre.

La festa ha certamente lasciato delle tracce nella liturgia e nell'esegesi cristiana 1. Ci chiediamo quindi il significato che essa rivestiva al tempo di Cristo.

La prima origine della festa dei Tabernacoli è da ricercarsi nel ciclo delle feste stagionali. È la festa della vendemmia, come la Pentecoste era la festa della mietitura 2. Lo indica lo stesso testo del Levitico che ne prescrive la celebrazione (XXIII, 39). Anche Filone sottolinea questo aspetto (Spec. leg., II, 204). È a questa festa stagionale che si ricollegano i riti caratteristici della festa: l'abitazione per sette giorni nelle capanne costruite di ramaglie (skenai), le libagioni di acqua destinate ad ottenere la pioggia, la processione intorno all'altare l'ottavo giorno, tenendo in una mano il mazzo (lulab) fatto con tre specie di ramoscelli (salice, mirto e palma) e nell'altra un frutto di limone (etrog) 3.

Ma, come per le altre feste che hanno la stessa origine, il pensiero ebreo ha iscritto il ricordo di un avvenimento della sua storia nel quadro ciclico della festa stagionale. Così la Pasqua, festa delle prime spighe e dei pani azzimi, è divenuta la festa dei primogeniti risparmiati (pessah) dall'Angelo sterminatore. La Pentecoste è stata associata alla comunicazione della Legge sul Sinai.

Così è per la festa dei Tabernacoli. Già il Levitico spiega che essa è destinata a rammentare agli ebrei il ricordo del loro soggiorno nelle tende (skenai) del deserto al tempo dell'Esodo (XXIII, 43). Questa interpretazione si ricollega alla tradizione sacerdotale e si ritroverà in Filone (Spec. leg., II, 207), nella tradizione rabbinica 4, presso i Padri della Chiesa 5.

Ma a partire dai Profeti, e sopratutto nel periodo dopo l'esilio, gli avvenimenti passati della storia d'Israele, e in particolare l'Esodo, non sono ricordati che per nutrire la speranza del popolo negli avvenimenti futuri, in cui la potenza di Tetrag_little2.gif (1018 byte) si manifesterà in modo ancora clamoroso in favore dei suoi. Gli avvenimenti dell'Esodo diventano la figura delle realtà escatologiche. È il fondamento della tipologia. Questo è vero per la Pasqua e l'uscita dall'Egitto, che appaiono come la figura della liberazione escatologica del popolo di Dio, ed è ancor più vero per la festa dei Tabernacoli, che assume più di qualsiasi altra festa un significato escatologico. Forse si può trovarne una ragione in un tratto che ci indica Filone, cioè che essa chiude (teleiosis) il ciclo agrario dell'anno (Spec. leg., II, 204) 6.

Vi è però una ragione più antica e più profonda. La festa pare avere difatti un legame molto speciale con le speranze messianiche. Le origini di questo legame sono oscure, ma sembra che la festa dei Tabernacoli sarebbe in relazione sia con la festa annuale dell'instaurazione reale, sia, come pensa Kraus, con il rinnovamento dell'alleanza da parte del re davidico. È questa festa, con i suoi resti disintegrati, che sussisterebbe nelle tre grandi feste ebraiche di Tischri, Rosh-ha-shana, Kippur e Sukkoth (skenaí) 7. Questa festa avrebbe preso nel giudaismo un carattere messianico, cioè sarebbe stata messa in rapporto con l'attesa di un re futuro. Non si tratta qui della prima origine della festa, che sembra collegarsi ai riti stagionali, ma di una trasformazione che avrebbe subito all'epoca regale e che vi avrebbe introdotto elementi nuovi.

Ciò che è sicuro, ad ogni modo, è che molti testi ci documentano l'importanza assunta dalla festa nel giudaismo post-esilico in rapporto con l'attesa messianica. Il primo è il capitolo finale di Zaccaria. Si vede prima Tetrag_little2.gif (1018 byte) "posare i suoi piedi sul Monte degli Ulivi, che sta di fronte a Gerusalemme sul lato dell'Oriente" (XIV, 5). Poi si dice che "delle acque vive usciranno da Gerusalemme" (XIV, 8). Ma soprattutto noi vediamo "tutte le nazioni salire a Gerusalemme per celebrare la festa dei Tabernacoli" (XIV, 16).

Così la festa dei Tabernacoli appare come una figura del regno messianico. Gli altri due tratti sembrano farvi riferimento: il dilagare delle acque vive è in rapporto con i riti della festa e il Monte degli Ulivi è il luogo ove si raccoglievano i rami per le capanne 8. Quest'ultimo punto sarà interessante quando dovremo accostare l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, proveniente dal Monte degli Ulivi, e la festa dei Tabernacoli.

D'altra parte possediamo un salmo che appartiene alla liturgia post-esilica della festa, il cui carattere messianico è evidente: è il Salmo 117. Era cantato durante la processione solenne in cui, l'ottavo giorno, gli Ebrei si muovevano attorno all'altare portando il lulab. È a questa processione che allude il versetto: Constituite diem solemnem in condensis usque ad cornu altaris. Ora questo salmo indica il Messia come colui che deve venire: Benedietus qui venit in nomine Domini. E invoca la sua venuta con il grido dell'Osanna : 0 Domine salvum me fac. Il salmo contiene anche un altro testo messianico, che il Nuovo Testamento applicherà al Cristo. È il versetto: "La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo" (CXVII, 22). Tutti questi passi ci mostrano che la liturgia dei Tabernacoli era un luogo privilegiato dell'attesa messianica.

Questa interpretazione messianica della festa è proseguita nel giudaismo fino ai primi secoli cristiani. San Girolamo, commentando Zaccaria, XIV, 6, espone che gli Ebrei vedono nella festa dei Tabernacoli "attraverso una fallace esperienza, l'immagine delle cose che accadranno nel regno millenario" (III, 14; P. L., XXV, 1536 A). Essi interpretano nello stesso modo il dilagarsi delle acque vive e la ricostruzione di Gerusalemme (1529 A-C). Così per gli Ebrei la festività dei Tabernacoli, in cui ognuno mangiava e beveva con la sua famiglia nella propria capanna adornata di rami vari, appariva come una prefigurazione delle gioie materiali nel regno messianico. Le speranze messianiche che la festa alimentava possono spiegarci perché questa sia stata l'occasione di una certa agitazione politica e perché i Padri della Chiesa pongono particolarmente in guardia i cristiani contro di essa 9.

Ma il testo di Girolamo riveste un altro interesse, ossia quello di mettere la festa in rapporto con i Mille anni. Sappiamo infatti che l'espressione ha un significato paradisiaco. Mille anni è l'età che avrebbe vissuto Adamo se fosse rimasto fedele, e che i suoi discendenti non hanno mai più raggiunto a causa del peccato originale 10.

Così la festa dei Tabernacoli si carica di un nuovo simbolismo, che ritroveremo più in là nei Padri e che d'altronde ci è attestato nel giudaismo. Il suo quadro arborescente evoca il giardino originale. Le sue festività annunciano l'abbondanza materiale del regno messianico. Gerusalemme restaurata è il Paradiso ritrovato. L'acqua viva è quella della sorgente paradisiaca, che si espande nelle quattro direzioni. L'etrog portato in mano alla fine della festa è il simbolo dell'Albero della Vita (Girolamo, loc. cit., 1357 A). Del resto si sa quanto i temi messianici ed i temi paradisiaci siano uniti nel giudaismo.

Che Girolamo testimoni di una tradizione antica, ne abbiamo la prova nel fatto che questa interpretazione millenarista della festa dei Tabernacoli si trova già in Metodio. Questi, interpretando in un senso escatologico la fuga dall'Egitto, scrive: "Essendomi messo in cammino anch'io ed essendo uscito dall'Egitto di questa vita, giungo dapprima alla risurrezione, alla vera festa dei Tabernacoli. Là, avendo costruito il mio tabernacolo il primo giorno della festa, quello del giudizio, io celebro la festa con il Cristo durante il millenario del riposo, chiamato i sette giorni, il vero sabbat. Poi, mi metto in cammino verso la terra promessa, i cieli" (Conv., IX, 5; G. C. S., 120).

La festa dei Tabernacoli significa dunque il regno terrestre del Messia, prima della vita eterna. L'interesse di questo testo sta nel fatto che ci mostra che questa concezione millenarista della festa esisteva anche presso alcuni cristiani, come d'altronde Girolamo dichiara (1529 A). Sappiamo del resto che Metodio si ricollega alla teologia asiatica, ed è in questa, nell'Apocalisse di Giovanni e in Papia che appare il millenario contemporaneamente alla prima simbolica escatologica cristiana dei Tabernacoli. I cristiani la prendevano dagli Ebrei e questo ci permette dunque di risalire, attraverso questi, ai tempi apostolici.

D'altra parte i dati archeologici ebraici ci portano una conferma decisiva di questo. Basta leggere l'opera di Erwin Goodenough 11 sul simbolismo giudaico all'epoca greco-romana, per constatare che i terni più frequentemente rappresentati sono in relazione con la festa dei Tabernacoli. Questo è evidente per il lulab e l'etrog. Ma la questione si può porre anche per la menorah. Si sa che la festa dei Tabernacoli era una festa delle luci. Il sophar si ricollega alla festa di Rosh-ha-shana, che fa parte dello stesso simbolismo; ugualmente il sacrificio di Isacco. Almeno per una parte, questi simboli sono in rapporto con la speranza escatologica. Se questa speranza sia messianica o riferita all'aldilà, è un quesito che affronteremo trattando del senso di questi differenti simboli.

Un caso particolarmente interessante è quello della sinagoga di Dúra-Europos. Molti affreschi che essa contiene sono messi in rapporto con la festa dei Tabernacoli, come per l'affresco W. B. I, secondo il parere di Mesnil du Buisson. Ma questa opinione non sembra poter essere condivisa 12. Per contro Kraeling ritiene che alcuni dei tratti dell'affresco S. B. I, che rappresenta la dedica del Tempio, sono improntati alla festa dei Tabernacoli. Infatti la dedica del Tempio sotto Salomone ebbe effettivamente luogo durante la festa. Un aspetto interessante è la presenza di fanciulli, che noi ritroviamo all'ingresso di Cristo in Gerusalemme. Se questo affresco ha un significato messianico, così come lo pensa Kraeling 13, la festa dei Tabernacoli, legata all'edificazione del Tempio, vi assumerebbe un'interpretazione di questo tipo.

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Ma l'affresco senza dubbio più interessante per il nostro argomento, è l'insieme che attornia la nicchia della Torah e che ha dunque un'importanza capitale. Nella parte inferiore, noi abbiamo al centro una rappresentazione schematizzata del Tempio, contornata a sinistra dal candelabro a sette braccia (menorah), con il lulab e l'etrog, e a destra dal sacrificio di Isacco. Tutto ciò si riferisce alle feste di Tischri. La parte superiore, nella sua forma più antica, presenta, secondo Kraeling, l'Albero della Vita contornato da un tavolo e da un trono, avendo tutti questi simboli un senso messianico.

Ci possiamo quindi giustamente chiedere se non sia lo stesso per il Tempio, per il lulab e l'etrog, per la menorah. Per l'appunto Rachel Wischnitzer non esita ad accostare questa rappresentazione a Zaccaria, XIV, 16, ed a vedere, nel tempio, il Tempio escatologico 14. E conclude l'insieme del suo studio: "La sola festa indiscutibilmente designata con i simboli del culto, il lulab e l'etrog, è la festa dei Tabernacoli. Ma è concepita simbolicamente come una festa messianica e associata con la pittura centrale del Tempio messianico e l'idea di salvezza" 15.

Da questa prima indagine risulta che la tradizione ebraica, dal tempo dei Profeti fino al IV secolo dopo Cristo, ha dato alla festa dei Tabernacoli un'interpretazione messianica. Quanto abbiamo mostrato per la festa nel suo insieme, dobbiamo riprenderlo adesso per i diversi elementi che la compongono. Da un lato vi troveremo una conferma di ciò che abbiamo anticipato, e d'altra parte saremo condotti a chiarire i diversi simbolismi escatologici che questi elementi hanno ricoperto nel giudeo-cristianesimo durante il periodo che ci interessa. Ci riferiremo, alla fine, ai dati letterari ed archeologia ebraici, ma anche ai dati giudeo-cristiani, che appaiono semplicemente l'eco di un simbolismo anteriore.

Un primo elemento è quello delle capanne di fogliame, le skenai, i tabernacoli. È senza dubbio uno degli elementi il cui significato messianico risale a più lontano. È forse a essi che Isaia (XXXII, 18) allude, rappresentandoci la vita dei giusti nel regno messianico come un'abitazione nei tabernacoli, raffigurati dalle tende del soggiorno nel deserto: "Il popolo sarà assiso nel riposo (anapausis) e nella pace e dimorerà con fiducia nei tabernacoli (skenai)"

È a partire da questo tema che, come lo ha visto Harald Riesenfeld, un significato messianico sarà dato alla festa dei Tabernacoli: "Le capanne furono concepite non soltanto come reminiscenza della protezione divina nel deserto, ma anche come prefigurazione dei sukkoth, nei quali i giusti abiteranno nei secoli a venire. Così appare che un significato escatologico molto preciso era collegato al rito più caratteristico della festa dei Tabernacoli, così come era celebrata ai tempi del giudaismo" 16.

È in questa stessa prospettiva che si deve senza dubbio spiegare, nel Nuovo Testamento, "i Tabernacoli eterni" (aionioi skenai) di cui si parla in Luca, XVI, 9. Ugualmente l'espressione skenai è frequente nell'Apocalisse per designare l'abitazione dei giusti nel cielo (VII, 1 5; XII, 12; XIII, 6; XXI, 3). Ora noi vedremo che l'Apocalisse è piena di allusioni alla festa dei Tabernacoli. Ma sopratutto sembra proprio che possiamo, con Riesenfeld, vedere nella simbolica escatologica delle capanne, la chiave di un episodio capitale del Nuovo Testamento, quello della Trasfigurazione. Un certo numero di elementi orientano infatti verso un rapporto fra l'episodio e la festa dei Tabernacoli.

Il primo è cronologico: Marco e Matteo dicono che la Trasfigurazione ebbe luogo "sei giorni più tardi" (Matteo, XVII, 1; Marco, IX, 2), mentre Luca la fissa "pressappoco otto giorni più tardi" (IX, 28). La fluttuazione stessa indica che si tratta di una circostanza dell'anno in cui l'intervallo da sei a otto ha una portata speciale. Ora questo va bene particolarmente per la festa dei Tabernacoli, che durava otto giorni, e in cui l'ottavo giorno aveva una speciale importanza.

Un secondo elemento, geografico, è quello della Montagna. Orbene, noi abbiamo rilevato il legame particolare fra la festa e il Monte degli Ulivi. In Zaccaria, la gloria di Tetrag_little2.gif (1018 byte) appare sul Monte degli Ulivi: così il Cristo si manifesta nella sua gloria sulla Montagna non identificata della scena. La nube è in rapporto con il culto del Tempio. Essa è qui l'espressione dell'abitazione di Tetrag_little2.gif (1018 byte) tra i giusti nel mondo a venire. Riesenfeld indica ugualmente che l'espressione: "È bello per noi stare qui" (Luca, IX, 37) potrebbe essere l'espressione del riposo dell'anapausis escatologica, di cui abbiamo visto prima in Isaia il collegamento con l'abitazione nei Tabernacoli 17.

Adesso un ultimo elemento, il più misterioso, si chiarisce: quello delle capanne (skenai) che Pietro propone di costruire per il Messia, Mosè ed Elia. Sembra proprio, infatti, che si debba vedere in queste capanna un'allusione alla festa dei Tabernacoli. La manifestazione della gloria di Gesù appare a Pietro come il segno che i tempi messianici sono giunti. Ora uno dei caratteri dei tempi messianici era l'abitazione dei giusti nelle capanne, che prefiguravano le capanne della festa dei Tabernacoli. Il gesto di Pietro si spiega dunque molto chiaramente: esprime la sua fede nel compimento attuale dei tempi messianici sotto la forma dei riti della festa dei Tabernacoli 18. Il passo si comprende ancora meglio se la scena ha avuto effettivamente luogo all'epoca della festa dei Tabernacoli. È comunque un punto sul quale torneremo più in là.

Rimane un'ultima osservazione da fare sul significato escatologico delle capanne: quella del loro simbolismo. Metodio vi vede il simbolo dei corpi risuscitati durante il millenario (Conv., IX, 9; G. C. S., 120). Il confronto del corpo con un tabernacolo si trova in Sapienza (IV, 1 5), in II Corinzi (IV, 2-8), in Il Pietro (1, 13). Ma il problema del suo rapporto in questi testi con la festa dei Tabernacoli, è discusso; anche qui, vi ritorneremo.

Uno dei testi biblici più antichi, ove i cristiani avevano associato l'idea della risurrezione a quella di un tabernacolo innalzato, è Amos, IX, Il: "Rialzerò (anastesomai) la tenda di Davide". Il testo si trova nelle Testimonia utilizzate da Ireneo (Dem., 38 e 62) come profezia della risurrezione di Cristo. E si trovava già nelle Testimonia di Qumrán, ma senza riferimento alla risurrezione (C. D. C., VII, 14-19). Non appare dunque che il rapporto delle capanne della festa con i corpi risuscitati sia anteriore al cristianesimo.

Di contro noi incontriamo nel giudaismo un altro simbolismo che concerne non le capanne stesse, ma gli ornamenti che le ricoprono. Riesenfeld nota, infatti, che l'idea che l'addobbo dei padiglioni futuri sia in rapporto con le azioni dell'uomo durante la sua vita terrena, è familiare ai Midrashim 19. Questo orienta verso un simbolismo che ritroveremo per il lulab e l'etrog.

È per noi interessante notare che questo simbolismo dei padiglioni si ritrova nella tradizione cristiana, che qui dipende certamente da un simbolismo rabbinico. Metodio dice: "lo festeggerò Dio solennemente [durante il millenario] avendo ornato il tabernacolo del mio corpo [= il corpo risuscitato] di belle azioni. Esaminato il primo giorno della risurrezione, io porto ciò che è prescritto per me se sono ornato dei frutti della virtù. Se la Scenopegia è la risurrezione, ciò che è prescritto per l'ornamento delle capanne sono le opere della giustizia" (Conv., IX, 17; G. C. S., 116, 23-27). Dal canto suo Ephrem scrive: "Ho visto (in Paradiso) le tende (o"vaí) dei giusti irrorate di profumi, coronate di frutti, inghirlandate di fiori. Quale è stato lo sforzo dell'uomo, tale sarà il suo tabernacolo" (Hymn. Parad., V, 6; Beck, Studia anselmiana, 26, pag. 41). Beck nota espressamente che i tabernacoli sono in rapporto con l'omonima festa (ibid., pag. 3).

Questo ci conduce a una seconda serie di simboli, il cui significato messianico ed escatologico nel giudaismo contemporaneo del Cristo è certo, il lulab e l'etrog. Qui ci troviamo in presenza dei soggetti più frequentemente rappresentati sui monumenti ebrei. Goodenough ha consacrato loro un lungo studio (IV, pp. 145-166). Si rileverà innanzitutto il loro rapporto con la speranza messianica. Riesenfeld ha attirato l'attenzione su un passaggio del Testamento di Nephtali (V, 4). Si tratta di una visione di Nephtali, che ha per luogo il Monte degli Ulivi e dove Levi, avendo trionfato sul sole, diviene egli stesso brillante come il sole. Gli vengono allora consegnate dodici palme. Se ci ricordiamo dei collegamenti della festa dei Tabernacoli e del Monte degli Ulivi con l'attesa messianica, l'apparizione del Messia alla festa dei Tabernacoli sul Monte degli Ulivi non può vedersi qui che come un sole levante, e le palme sono allora il segno della sua vittoria20. Come non accostare l'episodio della Trasfìgurazione del Cristo sul Monte degli Ulivi con il suo ingresso trionfante? È sempre in tal senso che si deve interpretare il lulab e l'etrog nel pannello centrale di Dúra.

Ma accanto a questo senso messianico ve ne è uno molto più importante, che concerne la speranza escatologica nell'aldilà, e in effetti è questo che spiega la frequente presenza del lulab e dell'etrog nei monumenti funerari. Goodenough ne cita innumerevoli esempi. Qui il simbolismo non è quello della vittoria, ma della risurrezione 21, ed è rimarchevole che la palma si trovi su una stele giudeo-cristiana, di cui il P. Testa mi ha inviato una riproduzione. È in questa prospettiva che assume un suo senso la presenza delle palme nelle mani dei martiri, vincitori della morte, tale quale la troviamo già nell'Apocalisse (VII, 9).

Si potrebbe obiettare che, sia in questo passo che sui monumenti, si tratta di palme e non del lulab propriamente detto. Ma Goodenough osserva che la palma era l'elemento più caratteristico e rappresentativo del lulab, e simbolizza qui la speranza dell'immortalità 22.

Si deve anche osservare un altro simbolismo del lulab, che si aggiunge a quanto dicevamo a proposito dei rami che ornavano le capanne: è quello che indica le buone opere che saranno ricompensate all'ultimo giorno. Durante un rito della festa, il primo giorno gli Ebrei dovevano presentare il loro lulab affinché si potesse controllare se i rami che lo componevano erano in buono stato 23. Sembra che un passo del Pastore di Erma, il cui carattere giudeo-cristiano è noto e nel quale il rapporto con la festa dei Tabernacoli mi appare evidente, ci fornisca il simbolismo di questo rito. Vi si vede l'Angelo glorioso distribuire dei rami di salice alla folla, e poi richiederli a ognuno; egli consegna delle corone a coloro i cui rami sono coperti di germogli e rimanda indietro quelli i cui rami sono secchi. L'Angelo ci spiega quindi che i rami sono la Legge, e coloro i cui rami sono secchi sono quelli che l'hanno trascurata (Sim., VIII, 2, 1-4). Abbiamo modo di vedere il persistere di questo simbolismo presso i cristiani.

Fin'ora abbiamo parlato solo del lulab, ma l'etrog condivide la stessa simbolica escatologica, accompagnando frequentemente il lulab sui monumenti funerari con l'identico significato di immortalità. I Padri della Chiesa ravviseranno nell'etrog il simbolo del frutto dell'Albero della Vita paradisiaca ed a loro volta molti testi ebraici o giudaico-cristiani vedono nel frutto dell'Albero della Vita l'espressione della vita eterna 24

Ma vi è già nel giudaismo una relazione fra questo simbolismo e quello dell'etrog 25? A questo proposito, è interessante confrontare Ezechiele, XLVII, 12, e Zaccaria, XIV, 16, in quanto i due capitoli sono evidentemente dipendenti l'un dall'altro. Si parla dell'acqua viva che scenderà dalla nuova Gerusalemme attraverso il Monte degli Ulivi (Ezechiele, XVII, 8 e Zaccaria, XIV, 4 e 8): sulla sponda di questo torrente Ezechiele ci mostra degli alberi della vita.

Lo stesso tema sarà ripreso nell’Apocalisse, XXII, 2, ed a ciò corrisponde in Zaccaria la festa dei Tabernacoli. In entrambi i casi si tratta del Monte degli Ulivi, la cui relazione con la festa dei Tabernacoli ci appare ora chiara ed evidente.

Possiamo quindi concludere che la festa dei Tabernacoli, si rivela come una immagine del Paradiso in cui l’etrog simbolizza il frutto dell’albero della vita.


1. "Les Quatre-Temps de semptembre et la fête des Tabernacles", La Maison Dieu, 46 (1956), pp. 114-136; "La fête des Tabernacles dans l'exégèse patristique", Stud. Patrist., I, Berlino 1957, pp. 262-279

2. J. Pedersen, Israël, II, Londra 1940, pp. 418-425; H. J. Kraus, Gottesdienst in Israël, Studien zur Geschichte des Laubhüttenfestes, Monaco 1954, J. Van Goudoever, Biblical Calendars, Leyde 1959, pp.30-36

3. Cfr. Strack-Billerbeck, Kommentar zum N.T., II, pp 774-812

4. Ibid., II, 778

5. Teodoreto, Quaest. Ex. 54; P.G., LXXX, 276 B-C; Gerolamo, In Zach, 3, 14; P.L. XXV, 1536

6. Teodoreto la chiama festa della consumazione (sunteleias) alla fine dell'anno (Quaest. Ex. 34; P.G. LXXX, 276 B)

7. N. H. Straith, The Jewish New Year Festival, Londra 1947, pp. 75-80

8. Cfr. Neemia, VIII, 15: "Andate sulla montagna e riportate dei rami per fare i tabernacoli"

9. Cfr. M. Simon, Verus Israël, Parigi 1948, p. 338

10. Cfr. Jean Daniélou, Theologie du Judéo-christianisme, Parigi 1959, pp. 353-358

11. Jewish simbols in Greco-Roman Period, 8 vol., New York 1953-1959

12. C. H. Kraekling, The Excavations of Dura Europos, Final Report, VIII, I, New Haven 1956, pp. 118 e seguenti

13. Op. Cit., p. 117

14. The Messianic Theme in the Painting of the Dura Sinagogue, Chicago 1948, p.89

15. Rachel Wischnitzer, op. cit., p. 101

16. Jésus transfiguré, Coopenhagen 1947, p.189. Cfr. J. Bonsirven, Le Judaisme palestinien au temps de Jésus-Christ, 11, Parigi 1945, p. 522; R. Sahlin, Zur Typologie des Johannesvangeliums, Upsala 1959, p. 54

17. Op. Cit., p. 258

18. B. Zielenski, "De sensu Transfigurationis", Verb. Dom., 26 (1948), pag. 342

19. Op. Cit., pag. 197

20. Cfr. Strack-Billerbeck, 11, pp. 789-790

21. Riesenfeld, op. cit., pag. 24

22. Cfr. Goodenough, op. cit., pag. 165

23. Cfr. Starck-Billerbeck, 11, pp. 792-793

24. I Hén., XXV, 4-5; Test. Lev., XVIII, 11; Apoc., II, 7; XXII, 2

25. Cfr. Riesenfeld, op. cit., pp. 24-25


[*] Tratto da J. Daniélou, I simboli cristiani primitivi, Edizioni Arkeios


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