Dagli USA all'Europa riaffiora l'incubo
dell'antisemitismo, specialmente nelle università. «Ma l'ostilità verso
gli ebrei viene soprattutto dai Paesi arabi: basti pensare ai libri di
testo delle scuole islamiche». Parla lo studioso Gabriel Schoenfeld.
La redazione
di Commentary - il mensile dell'American Jewish Committee, la principale
organizzazione ebraica statunitense - si trova in un edificio di New York
custodito da guardie armate, massicce porte antibomba e un metal detector.
Misure di sicurezza che non erano così visibili dieci anni fa, quando
Gabriel Schoenfeld, opinionista di diversi quotidiano americani e
caporedattore di Commentary, cominciò a lavorare alla rivista. Il bisogno
crescente di proteggere gli ebrei non solo in Israele ma anche a New York,
Londra o Parigi è uno dei segni che Schoenfeld descrive della risorgenza
di sentimenti antisemiti in Occidente. Le cause identificate nel suo libro
Il ritorno dell'antisemitismo, in uscita in Italia per le edizioni Lindau
(pagine 212, euro 19,50) sono principalmente due: una massiccia
immigrazione dai Paesi musulmani e uno strisciante antisemitismo di
sinistra che si va diffondendo nelle università.
Schoenfeld,
non è rischioso stabilire un'equazione fra l'aumento di immigrati
musulmani in Europa e negli Stati Uniti e l'aumento dell'ostilità nei
confronti degli ebrei?
«Il dato di
fatto da cui parto nel libro è l'onnipresenza della propaganda antisemita
in molti Paesi arabi. I regimi teocratici dell'Iran e dell'Arabia Saudita
riempiono la stampa e i libri di testo nazionali di materiale che fomenta
l'odio per gli ebrei. Ma anche in società più secolarizzate, come
l'Egitto, la Siria e il Marocco, l'ostilità antiebraica viene professata
come dottrina di Stato. È inevitabile allora che i nuovi immigrati, prima
di integrarsi nei Paesi d'adozione, mantengano vivi pregiudizi che hanno
appreso dall'infanzia. Non posso dire che ogni singolo musulmano sia
antisemita, ma qui negli Usa ho notato un aumento di testi inaccettabili
nelle scuole private islamiche e nelle moschee».
Può fare
qualche esempio?
«Ci sono i
piccoli quotidiani locali come l'Arab Voice di Paterson, in New Jersey,
che hanno pubblicato come veritieri estratti dal famigerato trattato
antisemita I protocolli degli anziani di Sion, ci sono scuole e centri per
l'infanzia che distribuiscono libri importati direttamente dall'Arabia
saudita dove gli ebrei vengono descritti come il popolo che "ha
ucciso i propri profeti e disobbedito ad Allah". E poi nelle librerie
di quartieri densamente popolati da arabi, come quello di Brooklyn in cui
vivo, il materiale dal contenuto antisemitico abbonda. Posso citare anche
alcuni casi eclatanti di violenza contro gli ebrei, come i colpi sparati
contro un autobus di ebrei ortodossi sul ponte di Brooklyn nel 1994, la
sparatoria contro un gruppo di "sionisti" in cima all'Empire
State Building nel 1997 e quella all'aeroporto di Los Angeles del 2002.
Anche il primo attentato al World Trade Center del 1993 venne motivato dai
terroristi dalla logica che la maggior parte delle persone che lavorava
alle Torri gemelle era ebrea».
Cosa
imputa invece alle sinistre americana ed europea?
«Una
crescente ostilità nei confronti dello Stato d'Israele. Negli Usa è
palpabile in molti campus universitari. Basti pensare alla petizione
lanciata di recente da un gruppo di docenti universitari americani che
invitano a boicottare i prodotti israeliani in protesta alle violazioni
dei diritti umani nei territori occupati. Ci si scaglia contro lo Stato
ebraico, ma si ignora la Cina, la Siria o l'Arabia Saudita. Quei
professori naturalmente sostengono di non essere antisemiti ma solo
antisionisti. Ma l'antisionismo è diventato equivalente all'antisemitismo».
Non
potrebbe essere letto come critica di Israele, nel contesto del conflitto
israelo-palestinese?
«Contestare
l'esistenza di Israele è come invocare il genocidio. Dove andrebbero
tutti gli ebrei d'Israele? Criticare le scelte politiche di Israele invece
è un atto legittimo e perfettamente accettabile, ma solo quando la
critica è basata sui fatti e non sui pregiudizi. Un esempio lampante lo
si è avuto nel 2002 quando le truppe israeliane lanciarono un raid nel
campo profughi di Jenin in risposta all'attentato di Passover che aveva
ucciso più di due dozzine di ebrei. I giornali europei si affrettarono a
definirlo un genocidio. Alla fine si seppe che non più di 50 persone
erano morte nel raid».
Ma il
conflitto arabo-israeliano ha sempre suscitato reazioni estreme in Europa,
dove lo si vede consumarsi letteralmente alle porte di casa. O quello che
vede è qualcosa di diverso?
«Vedo il
poeta inglese Tom Paulin paragonare i coloni ebrei alle Ss naziste e
augurarsi che vengano uccisi. Vedo il romanziere portoghese Josè Saramago
descrivere le attività ebraiche nei territori occupati come una
riedizione di Auschwitz. Questo mi dice quanto diffuso un certo
atteggiamento antisemita sia diventato in Europa».
In cosa
errano invece, a suo parere, gli intellettuali europei?
«Nel
tollerare come "elementi culturali" i sentimenti antisemiti
importati dagli immigrati arabi. Ma sono fiducioso che saranno gli stessi
musulmani a liberarsene, quando finalmente si libereranno dalla morsa dei
regimi totalitari che propagano l'antisemitismo per distrarre l'opinione
pubblica dai loro problemi interni. Saranno l'esercizio del dissenso e il
desiderio di democrazia a mettere in discussione le dottrine di Stato che
insegnano l'odio per gli ebrei. Spero solo che nel frattempo queste
dottrine non ricompaiano da questa parte dell'Atlantico, magari
legittimate da qualche professore universitario americano».
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[Fonte:Avvenire 24 maggio 2005]