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Fratelli maggiori, la porta è aperta
«Una battuta d'arresto ma il confronto continua»
ROMA
Il presidente del Consiglio per l'unità dei cristiani: capire
destinatari e ragioni della «Dominus Jesus», pena «grossi
fraintendimenti»
Fratelli maggiori, la porta è aperta
Dopo il «no» alla Giornata del 3 ottobre, appello
di Cassidy e Antonelli
Mimmo Muolo
Roma. Mani tese
verso gli ebrei sia da parte del segretario generale della Cei
che dal presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei
cristiani. Pur parlando, infatti, in contesti diversi e a
distanza di migliaia di chilometri, monsignor Ennio Antonelli
e il cardinale Edward Idris Cassidy hanno lanciato ieri
messaggi distensivi verso i "fratelli maggiori",
invitandoli, tra l'altro, a rivedere la decisione di non
prendere parte alla Giornata dell'amicizia ebraico-cristiana»
(inizialmente programmata per il 3 ottobre) in seguito alla
pubblicazione del documento Dominus Jesus.
Dice il vescovo, da Roma, nel corso della conferenza stampa
sui lavori del Consiglio permanente, riunitosi la settimana
scorsa a Torino: «Avremmo molto piacere se venissero alla
Giornata». Aggiunge il porporato, da Lisbona, dove è in
corso il meeting "Uomini e Religioni" organizzato
dalla Comunità di Sant'Egidio: «Sono dispiaciuto di questa
mancata partecipazione, ma penso che non sia un problema
internazionale e che si possa risolvere lavorando con gli
esponenti romani» (il "no" infatti era stato reso
noto dal rabbino capo di Roma Elio Toaff).
Ma anche su altri punti le dichiarazioni di Cassidy e
Antonelli sono in piena sintonia. Ad esempio sul fatto che,
come ha detto il segretario generale della Cei, del documento Dominus
Jesus si è fatta «una presentazione unilaterale e un po'
distorta (in parte dovuta ad alcuni media), mentre al
contrario una lettura diretta dovrebbe rassicurare i nostri
amici ebrei che in quel testo non c'è assolutamente nulla di
nuovo». A tal proposito, infatti, anche il porporato
australiano ha tenuto a precisare: «Mi auguro che si possa
spiegare bene il significato di questo documento, a chi era
indirizzato e quale scopo si voleva ottenere. E così potremo
superare tutte le difficoltà».
In effetti la questione dei destinatari e delle ragioni che
hanno reso necessario il pronunciamento della Congregazione
per la dottrina della fede è fondamentale per evitare «grossi
fraintendimenti». Il cardinale Cassidy, sul punto, ha
ricordato: «Quel testo non è indirizzato al mondo ecumenico
e interreligioso, ma al mondo accademico». E da questo
dipende il suo «modo un po' scolastico di dire "questo
è vero e questo non lo è"». Secondo il responsabile
del dicastero vaticano che si occupa di ecumenismo e dialogo,
infatti, «i contenuti sono quelli del Concilio Vaticano II,
ma c'è un problema di linguaggio: era indirizzato soprattutto
agli insegnanti di teologia dell'India, perché in Asia c'è
un problema teologico sull'unicità della salvezza».
A sua volta monsignor Antonelli ha ribadito: «La
dichiarazione firmata dal cardinale Ratzinger da un lato
fronteggia il fenomeno del relativismo e dall'altro la
tendenza all'eclettismo religioso». Il primo, ha spiegato il
vescovo, si manifesta sia a livello popolare («una religione,
in fondo, vale l'altra»), sia a livello teologico quando, «pur
non verificandosi un simile appiattimento, non viene dato
l'adeguato rilievo alla specificità e all'unicità
dell'evento salvifico dell'incarnazione, morte e risurrezione
di Cristo». L'eclettismo, invece, ha aggiunto monsignor
Antonelli, «tende a mescolare elementi cristiani e di altre
religioni senza preoccuparsi troppo della coerenza con il
Vangelo».
Ecco perché è sbagliato leggere il testo come se dicesse che
«solo i cattolici si salvano o che tutte le altre religioni
non servano a niente». Il documento ricorda, invece, che «la
Chiesa è sacramento universale della salvezza» e che «Gesù
Cristo è la rivelazione personale di Dio in questo mondo» e
perciò che «questa rivelazione non può essere che piena e
definitiva».
Tutto ciò, comunque, non deve essere motivo di orgoglio o di
superiorità per i cristiani, ha detto monsignor Antonelli, ma
anzi di «responsabilità, perché questo dono
incommensurabile va condiviso con gli altri il più possibile».
«Cristo non è morto e risorto solo per i cristiani», ha
concluso il vescovo.
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Riccardi:
la comunità romana ha meriti storici. Toaff? Una garanzia
«Una battuta d'arresto ma il confronto continua»
Il cardinale australiano: quel testo è diretto
al mondo accademico, l'auspicio è che venga colto nelle sue
vere intenzioni
Il vescovo italiano: no al relativismo
strisciante
LISBONA. (U. Fo.) Il
barometro del dialogo fa il pazzerellone. Pressione bassa a Roma e
dintorni, discretamente alta a Lisbona. Tutto male sul Tevere,
tutto bene sul Tago? Non esageriamo. Ma non c'è dubbio che le
notizie provenienti dall'Italia, con il niet di Toaff,
stonino qui a Belèm, dove i rabbini (tra cui il romano Riccardo
Di Segni) parlano ai panel accanto a vescovi cattolici e
anglicani, pastori protestanti, metropoliti ortodossi, buddisti e
shintoisti. Come se la brezza che soffia lieve dall'Atlantico
spazzasse via tutto, problemi e preoccupazioni... Naturalmente non
è così, come ricorda Andrea Riccardi.
Professor Riccardi, ha sentito che cosa sta accadendo a Roma?
Quella romana e italiana è la comunità ebraica
geograficamente più vicina al centro del cristianesimo. È fatale
che abbia una storia tutta sua. La vicinanza comporta che sia la
comunità-ponte tra i due mondi, ebraico e cristiano. Ma anche
registri per prima, con particolare intensità, perfino con ansietà,
quelli che a lei appiono come segnali preoccupanti.
Appunto, i segnali. Che cosa, per lei, ha destato maggiore
preoccupazione nella comunità ebraica? C'è chi ha parlato di una
sorta di «nuovo trionfalismo» della Chiesa cattolica...
Trionfalismo? No, direi di no. Piuttosto, il rapporto tra
cristianesimo ed ebraismo è ormai così forte che gli ebrei, e
credo a ragione, temono che possa riemergere e riaffermarsi una «cultura
del disprezzo» dalle radici antiche. In questo si dimostrano
estremamente sensibili. Ma tornando alla comunità romana, non
dobbiamo dimenticarci di un fatto decisivo. Storico.
Quale?
È stata la prima comunità ad accogliere il Papa in sinagoga.
Quell'evento ha posto le premesse per altri due fatti storici. Il
primo è il riconoscimento dello Stato di Israele da parte della
Santa Sede, che Toaff sollecitò in modo esplicito. Il secondo, e
più recente, è la visita del Papa in Israele. Con queste grandi
premesse, in fondo non mi meraviglia che gli ebrei romani e
italiani oggi si mostrino più attenti, sensibili e perfino
preoccupati degli altri.
Appunto, gli altri. Come hanno reagito gli ebrei non italiani
al documento pontificio?
Non saprei dirlo con esattezza. In Francia sono abbastanza
preoccupati, in Israele forse meno. Ma, appunto, occorre partire
dalla particolare sensibilità degli ebrei italiani. Quanto alle
preoccupazioni, ce ne sono sì, ma di ben maggiori, e riguardanti
sia gli ebrei sia i cristiani. Entrambi infatti dovremmo fare i
conti con il mondo globalizzato, rifugio di tanti e diversi
fondamentalismi, e non solo islamici. Ce ne sono anche di
razzisti, europei, di estrema pericolosità, che nella loro
ignoranza puntano ancora il dito contro l'ebraismo.
Secondo lei, con il suo rifiuto quale genere di messaggio ha
voluto lanciare Toaff?
Conosco il rabbino, di cui sono amico. È un uomo di
esperienza e responsabilità, e i suoi gesti vanno considerati
attentamente. Interruzione del dialogo? No. Più che una battuta
d'arresto, si tratta di una battuta di... preoccupazione.
Da quindici anni ogni 16 ottobre voi ricordate con una
processione da Trastevere al Ghetto la razzia compiuta dai
nazisti.
Per noi è un appuntamento tradizionale che ricorda una grave
ferita inferta alla città di Roma e alla comunità ebraica. Il
rischio è di dimenticare. No, quella ferita è una ferita di
tutti, per questo spero che la nostra iniziativa coinvolga sempre
più le giovani generazioni. Assicura i nostri amici ebrei che non
resteranno mai più soli. Perché la storia insegna che si
comincia da loro e poi, uno dopo l'altro, a cadere sono tutti i
beni più preziosi della convivenza civile.
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