Testimonianza da Gerusalemme: «Ha fatto
incontrare la tradizione con l'apertura alla modernità»
Per quelli di
Comunione e Liberazione è l'amico a Gerusalemme. Ed è dalla Città Santa che il rabbino
David Rosen, responsabile per i rapporti interreligiosi dell'American Jewish Committee, ci affida il suo
ricordo del fondatore di Comunione e Liberazione. Un'amicizia nata durante un'edizione del Meeting di Rimini. Dopo che il Gius,
con una delle sue frasi trancianti, aveva descritto in un'intervista lo speciale rapporto tra la Chiesa e il popolo
ebraico dicendo che in un certo senso «per essere cristiani bisogna essere ebrei».
Rabbino Rosen, come avvenne quell'incontro?
«Potrà sembrare strano, ma in realtà io don Giussani di persona non l'ho mai incontrato. Ho invece ricevuto
da lui un messaggio la prima volta che ho parlato al Meeting di Rimini, nel 1996. Fui molto sorpreso da quel suo
gesto: avevo sentito parlare di don Giussani e ovviamente il Meeting mi aveva dato l'opportunità di incontrarne il
carisma attraverso il suo movimento. Ma in quella lettera lui mi colpì sottolineando il legame che intercorre tra
il cristianesimo e le sue radici ebraiche. Lo ricordo ancora oggi come un messaggio molto caldo di fratellanza».
Dopo di che ha cominciato a leggere i suoi scritti.
«Grazie agli amici di Cl ricevo l'edizione inglese di Tracce. Su quelle pagine, dunque, ho potuto
leggere parecchi suoi scritti. Mi sono piaciuti molto. Per un cristiano ovviamente hanno un significato più
profondo. Eppure anch'io vi ho scorto un uomo di grande statura spirituale».
Cosa ricorda del Meeting?
«Ciò che mi colpì di più fu vedere riuniti migliaia di giovani che considerano la fede importante e cercano
di viverla stando dentro il mondo di oggi. È la sfida più grande per qualsiasi religione: mantenersi radicata
nella propria tradizione e nello stesso tempo affrontare la modernità. Aver suggerito questo atteggiamento penso
sia uno dei principali doni che don Giussani ha lasciato a tutti coloro che lo hanno incontrato».
Citava prima le parole del fondatore di Cl sul legame tra cristiani ed ebrei. Come tenerle vive?
«Per i cristiani credo dicano l'importanza decisiva di capire il mondo in cui viveva Gesù: essere pienamente
cristiani chiede l'incontro concreto con il popolo ebraico. Ma credo che in quelle parole di don Giussani ci sia una
sfida per tutti i figli di Abramo: riscoprire insieme l'atteggiamento dell'ospitalità. È l'essenza del monoteismo
in cui ebrei, cristiani e musulmani ci riconosciamo. Accettare l'altro senza pregiudizi perché vediamo in lui
qualcuno creato a immagine di Dio».
Che cosa dice un'esperienza come Cl al dialogo interreligioso?
«Spesso chi si impegna nel dialogo lo fa in modo superficiale, cercando solo un minimo comune denominatore. A
volte anche questo ha un valore, ma non credo sia ciò che Dio vuole. Il dialogo più vero viene dal profondo. È
ben radicato nella tradizione di ciascuno e allo stesso tempo è aperto nei confronti dell'altro, riconoscendo che
nessuno può mai presumere di rinchiudere in uno schema la totalità di Dio. Penso che sia questo il messaggio che
don Giussani ha testimoniato. E a Comunione e liberazione lascia in eredità l'idea di questa doppia fedeltà:
leali rispetto a ciò che si è e insieme genuinamente aperti a ogni incontro».
Lei segue con grande amicizia le vicende della Chiesa cattolica. Da osservatore esterno come giudica il
contributo dei movimenti?
«Sarebbe presuntuoso per me dare giudizi. A tanta gente che nel mondo pensa ancora a una Chiesa cattolica
incamminata verso la crisi, posso però dire: se incontraste qualcuno come quelli di Cl, capireste che la
Chiesa di oggi ormai è già oltre la crisi. Perché le difficoltà che ha vissuto e ancora vive sono quelle che
tutti sperimentiamo nell'incontro con il mondo moderno. La religione non può semplicemente basarsi sull'autorità
della tradizione. Dev'essere qualcosa di significativo per la vita concreta dell'uomo di oggi. Ebbene, i movimenti
hanno dato una risposta. Ovviamente non definitiva: a ciascuno il compito di verificarla quotidianamente».
_________________
[Fonte: Avvenire del 24 febbraio 2005]