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Discorso di insediamento
Rav Alfonso Arbib
Il Talmud, nel trattato di Kiddushìn
(40b) afferma che il mondo viene giudicato per la maggior parte delle
sue azioni.
Se la maggior parte di queste è positiva, viene giudicato
positivamente; se è negativa, negativamente.
Le azioni di cui parla il Talmùd sono quelle di ogni singolo uomo che
sommandosi decidono del destino del mondo.
Credo che questo passo talmudico ci dica qualcosa di importante su cosa
sia una comunità.
Una comunità è formata da singoli individui e ogni singolo individuo
è importante, una sola azione di ognuno di noi può decidere del
destino dell’umanità. Nello stesso tempo però, l’individuo non è
un’entità a se stante e vive assieme agli altri e anche le azioni
degli altri possono decidere sia il destino dell’umanità sia il
nostro destino individuale.
C’è un altro elemento però che credo sia fondamentale in ciò che
dicono i Maestri del Talmud.
Noi costruiamo la nostra vita e il nostro futuro; non c’è niente di
prestabilito, di predestinato, di già scritto.
La Torà, nella parashà di Shofetìm, vieta di rivolgersi ai
maghi e agli indovini e considera questo divieto fondamentale in quanto
la magia è indice di una mentalità deterministica, che considera il
futuro già scritto e l’uomo una semplice pedina in un gioco più
grande di lui.
Secondo la tradizione ebraica, invece, il futuro è nelle nostre mani,
dipende dal nostro rapporto con noi stessi, con gli altri e con D.o.
Dicono i nostri maestri: “Le tue azioni ti avvicineranno, le tue
azioni ti allontaneranno”.
L’insediamento di un nuovo Rabbino capo, è tradizionalmente il
momento in cui si fanno programmi per il futuro.
Per fare questi programmi dobbiamo però credere in noi stessi, nella
possibilità, con l’aiuto di D.o, di cambiare e migliorare.
La Comunità di Milano è cresciuta moltissimo negli ultimi anni: è
aumentato il numero dei Batè Keneset (sinagoghe), l’offerta
dei prodotti kasher, il numero di persone che studia Torà. Nonostante
ciò il cammino da compiere è ancora lungo, e i problemi da affrontare
sono ancora molti.
Vorrei ricordarne alcuni.
Mentre una parte della Comunità si avvicina in modo evidente alla
tradizione ebraica, una parte se ne sta allontanando in modo
preoccupante.
Non possiamo e non dobbiamo rassegnarci a questa situazione.
La Torà dice che, dopo il peccato del primo uomo, questi si nasconde
davanti a D.o e D.o lo cerca. Se D.o può andare alla ricerca dell’uomo,
a maggior ragione lo possiamo e lo dobbiamo fare noi.
Dobbiamo andare alla ricerca degli Ebrei lontani, degli “invisibili”
secondo un’efficace espressione di Rav Laras.
Per farlo è però necessario capire i motivi dell’allontanamento ed
essere capaci di trasmettere la bellezza e la rilevanza della tradizione
ebraica, non solo del pensiero ma anche dell’osservanza delle norme
pratiche.
L’ebraismo non è un’ideologia o una filosofia ma un modo di vivere,
che riguarda l’uomo nella sua interezza, cervello, anima e corpo.
Bisogna anche ricordare un’idea fondamentale del pensiero ebraico.
Per poter aiutare il prossimo, è necessario innanzitutto aiutare se
stessi,
mettersi in discussione e tentare di migliorare.
Dice Hillel: “Se io non sono per me, chi è per me; ma se io sono
solo per me, chi sono io”?
C’è in particolare un gruppo di persone che sembra essersi
progressivamente allontanato dalla vita comunitaria: sono i giovani in
età postscolare.
Credo sia superfluo sottolineare l’importanza di questo problema.
I giovani sono il presente e il futuro di questa Comunità, sono o
dovrebbero esserne l’elemento più vitale. Dobbiamo affrontare la
questione giovanile con intelligenza, fantasia e senza paternalismi.
Dobbiamo soprattutto tentare di capire le loro esigenze e i loro
interessi senza però inseguire le mode del momento e rimanendo all’interno
della tradizione ebraica, nella convinzione che questa tradizione sia
rilevante in ogni epoca e per ogni generazione.
Sarà tanto più rilevante quanto più riusciremo ad aumentare le
occasioni e la possibilità di studiare e di riflettere sul grandissimo
patrimonio della Torà.
L’ultima profezia riportata nel Tanàch (Bibbia) si conclude
con questo verso:
“Ecco Io vi mando il profeta Elia … e ricondurrò il cuore dei
padri verso i figli e il cuore dei figli verso i loro padri”.
Rashì, commentando questo verso, dice che questa riconciliazione fra
figli, padri e D.o avverrà attraverso i figli.
La mia generazione ha assistito, dopo un periodo di forte distacco dalla
tradizione ebraica, a un fenomeno di ritorno all’ebraismo per merito e
iniziativa dei più giovani. Credo che questo fenomeno possa e debba
ripetersi anche in questa generazione.
Qualunque programma comunitario ha un presupposto fondamentale, l’unità
della comunità.
Il Midràsh dice che il popolo ebraico ricevette la Torà solo
quando si “accampò” sotto il Monte Sinai come un solo uomo con un
solo cuore.
Senza unità non esiste comunità e non esiste popolo ma solo una serie
di individui isolati e solitari.
L’unità però non è e non deve essere omologazione.
Il Talmud dice: “ come i volti delle persone sono diversi le loro idee
sono diverse”.
La Comunità di Milano è una Comunità complessa e variegata.
Sono presenti idee e culture diverse, gruppi di diversa provenienza,
sefarditi, ashkenaziti, italiani.
Tutto ciò rappresenta una grande ricchezza per la nostra Comunità.
Allo stesso tempo però è necessario lavorare assieme su obiettivi
comuni.
La parola Comunità (edà in ebraico) secondo alcuni deriva dalla
radice iaàd che vuol dire obiettivo, missione. Le diversità all’interno
della Comunità sono una ricchezza, a patto di avere un obiettivo e una
missione comuni.
Dobbiamo fare lo sforzo di lavorare insieme, affrontare insieme i
problemi della nostra Comunità e aumentare le occasioni di incontro fra
le varie componenti di essa.
Ma una comunità ebraica non è un’isola.
Viviamo dentro il mondo ebraico e dentro la società civile.
Il rapporto con il mondo ebraico ed in particolare con la Terra d’Israele
è fondamentale, sia da un punto di vista emotivo e sentimentale, sia da
un punto di vista culturale.
La presenza qui oggi del Rabbino Capo d’Israele, credo sia
particolarmente significativa, e colgo l’occasione per ringraziarlo di
averci dato questo grande onore.
L’ebraismo italiano ha una gloriosa tradizione; alcuni dei più grandi
Maestri dell’ebraismo sono nati o vissuti in Italia. Essi erano
strettamente legati con il resto del mondo ebraico, e credo che a tutt’oggi
tale legame debba essere sempre più stretto.
Ugualmente importante è il rapporto con la società in cui viviamo e di
cui siamo parte integrante.
Sono convinto che la società civile stessa possa trarre solo benefici
da una comunità ebraica forte e portatrice di valori propri, che
possano poi essere confrontati costruttivamente con altri valori.
Dobbiamo inoltre continuare a sviluppare il dialogo interreligioso
proseguendo il cammino intrapreso da Rav Laras che sono certo
continuerà a dare il suo fondamentale contributo.
Questo dialogo sarà tanto più proficuo quanto più si porrà l’obiettivo
di rispettare le diverse identità.
Sono anni questi, in cui assistiamo al risorgere dell’antisemitismo,
che speravamo sepolto sotto le macerie e i lutti della Seconda Guerra
Mondiale. E’ un fenomeno che, solo in apparenza, tocca una piccola
minoranza, ossia noi, mentre in effetti ha avuto e ha impatti devastanti
sulla maggioranza della società. Assume ormai diverse forme, alcune
evidenti, altre meno, ma tutte da condannare e alle quali non dobbiamo
assuefarci, come se si trattasse di una fatalità.
A conclusione di queste note, vorrei ringraziare il Consiglio della
Comunità di Milano che ha voluto conferirmi questo prestigioso
incarico, le autorità civili e religiose, tutti i rabbanim presenti e i
miei maestri.
Yehì ratzòn shetishrè shekhinà
bema’asè yadènu.
Rav Alfonso Arbib
Milano 18.9.2005
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