Rappresentanti delle comunità cristiano-protestanti ed ebraiche USA si
sono confrontate, ascoltandosi reciprocamente ed esaminando le ragioni
l'uno dell'altro. Ne è scaturita la relazione che pubblichiamo,
constatando con soddisfazione come ci si possa incontrare e
cercar di conoscersi meglio e di camminare insieme, anche di
fronte a questioni spinose come la situazione
israelo-palestinese. Anche se c'è ancora molto da costruire
insieme. L'importante, tuttavia, è che si sia cominciato e
che si vada avanti...
I. Prefazione.
Per poter decifrare la
complessità della situazione mediorientale bisogna necessariamente
confrontarsi. Più di quattro anni di violenze nel Medio Oriente sono
stati accompagnati da un'eruzione di retorica e comportamenti antisemiti,
che hanno creato nel popolo ebraico un vero e proprio senso d'assedio.
Negli Stati Uniti ci sono state svariate risposte governative, religiose e
politiche al conflitto in Medio Oriente. Tra di esse, una che riguarda in
modo particolare la comunità ebraica è venuta da parte di alcune delle
chiese protestanti ufficiali. A partire dal loro profondo impegno nel
contesto della giustizia sociale, queste ultime hanno espresso la loro
solidarietà con il popolo palestinese. Osservando il modo in cui tale
solidarietà è stata dichiarata nei programmi televisivi, in molte chiese
protestanti e in alcune dichiarazioni emesse da gruppi di varia
denominazione, molti membri della comunità ebraica americana hanno
cominciato a pensare che alcune chiese, predicatori e pubblicazioni
protestanti fossero ispirate da pregiudizi contro Israele. In effetti, le
relazioni tra le due comunità sono tese, e questo è un problema. In
passato, la comunità ebraica americana e le principali chiese protestanti
hanno nutrito comuni propositi e collaborato in molte questioni di
giustizia sociale all'interno della società americana, e pertanto il
fatto che le relazioni siano tese è a maggior ragione preoccupante.
Un piccolo gruppo di
ebrei e di protestanti si sono riuniti circa tre anni fa sotto gli auspici
del decano della "Divinity School" all'Università di Chicago
per cercare di raddrizzare questa situazione. A partire da allora il
gruppo si è incontrato diverse volte, parlando di quest'argomento così
come di alcuni temi teorici e filosofici, come ad esempio le origini del
pensiero sionista, i differenti modi in cui ogni comunità religiosa legge
e usa i testi biblici e il ruolo rivestito dalla Terra Promessa nella
Bibbia ebraica e nel Nuovo Testamento.
Nel corso di queste
conversazioni si è sempre rispettata la distinzione fondamentale tra la
critica delle azioni politiche del governo d'Israele e il rifiuto del
diritto d'Israele a esistere. I partecipanti ebrei che hanno a cuore
questo diritto temono tuttora che in pratica tali critiche - specialmente
quelle relative alla questione palestinese - possano compromettere
rapidamente tale distinzione; sembra loro che in qualche critica riecheggi
la negazione al diritto all'esistenza d'Israele. Da parte loro, i
partecipanti protestanti temono che ogni critica alla politica israeliana
venga immediatamente interpretata come una revisione dell'appoggio della
critica a tale diritto.
Questo gruppo, mosso
dalla sensazione di aver raggiunto una migliore comprensione, ha
cominciato a stendere una dichiarazione di principi condivisi, riguardo
non al conflitto israelo-palestinese, ma a come gli ebrei americani e i
protestanti dovrebbero parlare di esso tra di loro e con gli altri. Da
quando abbiamo intrapreso questo dialogo, le tensioni tra le chiese
protestanti ufficiali e la comunità ebraica sono aumentate
significativamente. Allo stesso tempo, le speranze di pace tra gli ebrei e
i palestinesi si sono risvegliate. Entrambe queste circostanze rendono
quest'opera di confronto assolutamente imperativa.
Noi speriamo che questi
principi contribuiscano al dialogo importante e necessario tra ebrei e
protestanti negli Stati Uniti, e che questa dichiarazione ispiri ulteriori
conversazioni animate dallo stesso spirito.
II. Principi condivisi.
1. Entrambe le parti in
dialogo riconoscono le sofferenze di tutti i popoli del Medio Oriente.
Dichiarandoci ebrei e cristiani, dobbiamo dare espressione a tutti coloro
che soffrono.
Il legame inestricabile
tra l'amore di Dio e l'amore di tutti i membri del genere umano, che sono
stati creati tutti a immagine di Dio, è un concetto comune alle nostre
tradizioni.
2. Dare voce a tutti
coloro che soffrono è un valore sostenuto tanto dalla Torah quanto dal
Nuovo Testamento che risiede nelle migliori tradizioni dell'ebraismo e
della cristianità. I partecipanti ebrei a questo dialogo rispettano
l'impegno religioso delle chiese protestanti ufficiali nel dar voce alla
sofferenza del popolo palestinese.
3. Il governo dello Stato
d'Israele, come ogni altro, è una creazione di esseri umani i quali, pur
praticando la democrazia, commettono degli errori. È quindi legittimo
esercitare delle critiche: criticare alcune politiche o azioni del governo
d'Israele non è necessariamente un atto antisemita.
4. Anche se non ogni
critica ad Israele è antisemita, molte espressioni dell'opinione pubblica
anti-israeliana nel mondo di oggi contengono realmente elementi
antisemiti. È pertanto opportuno conoscere qual è la frontiera cui
possano spingersi le critiche equilibrate, visto il particolare clima
politico mondiale contemporaneo, che ha presentato testimonianze di un
aumento significativo di retoriche e comportamenti antisemiti.
Coloro che criticano le
politiche israeliane dovrebbero prestare attenzione a che tali critiche
non prendano di mira l'ebraismo, il popolo ebraico o la legittimità dello
Stato d'Israele.
5. Per poter distinguere
tra pregiudizi e critiche legittime, dovrebbero prendersi in
considerazione le seguenti tendenze che sono esistite storicamente quando
si è parlato del popolo ebraico e dell'ebraismo, e che devono essere
evitate quando si parla di Israele:
i. Le critiche che
riprendono i motivi e gli stereotipi anti-ebraici classici cristiani
medievali;
ii. Le critiche a Israele
che riprendono le secolari nozioni antisemite del XIX e XX secolo
riguardanti il popolo ebraico, per esempio quelle che fantasticano su una
cospirazione internazionale ebraica effettuata tramite il controllo del
sistema bancario e/o dell'informazione (come emerge in alcune
pubblicazioni come "I Protocolli dei Savi di Sion");
6. Vi sono casi in cui si
critica Israele per alcune azioni ignorando le stesse azioni commesse da
altri. Secondo i partecipanti ebraici alle conversazioni, ciò crea lo
spettro di un doppio standard. Analogamente, anche l'atteggiamento di
ignorare le occasioni in cui lo Stato d'Israele si impegna a favore della
pace rischiando la stessa vita dei propri cittadini e facendo concessioni
per amore della pace stessa, è visto da parte degli ebrei come un
pregiudizio e un fare due pesi e due misure.
7. I partecipanti
protestanti riconoscono che Israele mantiene un alto standard politico,
uno standard che ritengono che gli stessi americani dovrebbero avere; essi
si rallegrano dello stabilimento in Israele di un sistema democratico a
suffragio universale, con una stampa e un sistema giudiziario
indipendenti, e si preoccupano del fatto che il loro apprezzamento per
Israele spesso non è avvertito dalla comunità ebraica americana e che a
volte essi sono accusati di usare due pesi e due misure criticando Israele
per cose per le quali non criticano i popoli confinanti con Israele.
Considerando Israele uno Stato con uno standard politico più elevato
rispetto a quelli degli stati-nazione che non danno alcun valore alla
democrazia e ai diritti umani, i partecipanti protestanti dimostrano il
loro rispetto e la loro gratitudine per il fatto che Israele sia uno Stato
alleato democratico e impegnato nella difesa dei diritti umani, per il
quale essi esprimono le loro più alte speranze.
8. I partecipanti
cristiani rispettano la visione che gli ebrei hanno di sé stessi, una
visione secondo la quale l'essere ebrei consiste in un'amalgama
inestricabile di fede, Torah, storia, terra e popolo. Per questo essi
festeggiano il ritorno del popolo ebraico nella Terra d'Israele e
considerano un atto di giustizia lo stabilimento di uno Stato ebraico dopo
duemila anni di esilio, erranza e mancanza di un luogo in cui risiedere.
9. È importante che i
protestanti comprendano che la maggioranza del popolo ebraico non ha mai
attribuito un significato teologico o religioso al Sionismo o al suo
successivo risultato pratico, la creazione dello Stato d'Israele. Ciò è
vero non solo per quegli ebrei che nutrono un punto di vista secolare nei
confronti della vita e delle realtà umane, ma anche per molti di quelli
che sono credenti. Il credo religioso classico ed ufficiale ebraico
afferma che solo un profeta biblico può conoscere la volontà di Dio
riguardo a un determinato evento storico e che la profezia è terminata
nel VI secolo prima dell'Era Cristiana. Pertanto, nessuno può conoscere
con biblica certezza la volontà di Dio riguardo a un evento
contemporaneo. Molti cristiani potrebbero non riconoscere questo fatto
perché una piccola minoranza in Israele che inquadra davvero lo
stabilimento dello Stato all'interno di categorie teologiche gode di una
grande attenzione da parte dei mezzi di comunicazione.
10. Negli Stati Uniti
sono emerse differenze importanti tra le chiese protestanti ufficiali e
alcuni gruppi di evangelici nell'interpretazione della cristianità
protestante.
Questi due gruppi
protestanti si sono trovati a volte in disaccordo riguardo al significato
teologico della creazione dello Stato d'Israele. Coloro che partecipano al
nostro dialogo, ritenendo molto importante che le conversazioni vadano
avanti, sono arrivati alla conclusione che esse dovrebbero svolgersi in
maniera tale da assicurare che lo Stato d'Israele e il popolo ebraico non
paghino le conseguenze del conflitto interno al mondo protestante, dovuto
alle succitate differenze.
11. In generale, i
dibattiti all'interno della cristianità a proposito di Israele,
dell'Alleanza e delle relazioni tra ebrei e cristiani sono complessi.
Quando lo Stato d'Israele diventa lo spunto a partire dal quale i
cristiani si incontrano per dibattere sulle loro differenze teologiche,
gli ebrei sperimentano conseguenze negative per Israele. Dai dibattiti
interni alla cristianità escono fuori visioni riduttive - dell'uno o
dell'altro gruppo cristiano - di Israele, dell'ebraismo e del popolo
ebraico. Gli ebrei e gli israeliani non possono essere compresi in termini
esclusivamente cristiani, e gli ebrei stessi non hanno intenzione di
trovarsi in cattivi rapporti con l'uno o l'altro gruppo cristiano solo
perché non si riconoscono nelle affermazioni della loro fede.
12. Le tradizioni ebraica
e cristiana sono profondamente imparentate. In molti casi condividiamo e
abbiamo a cuore gli stessi testi. Tuttavia, le dispute basate sulle
citazioni della Bibbia fanno nascere spesso una raffica di testi
argomentativi che non incoraggiano il dialogo.
Non incoraggiano il
dialogo nemmeno le discussioni basate su quel tipo di letteratura - al
servizio del trionfalismo cristiano o della rigidità ebraica -
consistente in dichiarazioni nazionali, comunali o personali, che funge
come strumento di autocomprensione e talvolta comprende delle
caratterizzazioni degli altri che non sono per loro accettabili.
III. Cosa abbiamo
imparato.
I protestanti e gli ebrei
partecipanti a questo dialogo hanno acquisito una maggiore comprensione e
un maggior rispetto di alcune idee dell'altra parte. Nel corso delle
conversazioni, i membri ebrei del gruppo hanno appreso che i membri
protestanti sono buoni amici del popolo ebraico, amano Israele e lo
vogliono sicuro. I partecipanti ebrei hanno preso coscienza dell'integrità
dell'impegno dei loro amici cristiani per la giustizia e contro la
sofferenza del popolo palestinese e del loro rispetto per gli ideali
democratici israeliani, anche se possono a volte riservare delle critiche
ad alcune azioni e politiche del governo d'Israele. Essi riconoscono che
questi amici del popolo ebraico e di Israele, quando esprimono tali
critiche, vedono a volte messa in dubbio la loro amicizia, la loro lealtà
e il loro impegno a favore del popolo ebraico e per un Israele sicuro.
I protestanti
partecipanti a questo dialogo rispettano la fragilità dell'esistenza
ebraica, soprattutto alla luce degli eventi occorsi nel XX secolo. Essi
sanno che le critiche a Israele sono a volte di natura e motivazione
antisemite ed hanno pertanto preso coscienza della necessità cruciale di
vigilare attentamente sulle modalità in cui un'esigenza di giustizia
politica viene espressa pubblicamente, affinché si eviti che essa possa
implicare - anche se spesso ciò succede senza che ve ne sia l'intenzione
- una posizione avversa ad Israele.
Noi che abbiamo
partecipato a questo dialogo ebraico-protestante abbiamo preso coscienza
di quanto vitale è per noi parlarci, dato che, come americani, ci moviamo
nello stesso contesto pubblico e condividiamo la responsabilità per la
qualità della dignità e della giustizia che esistono in tale contesto
pubblico e nella società americana in generale. Il dialogo e delle buone
relazioni possono inoltre avere conseguenze benefiche per gli ebrei e i
cristiani in Israele e nei territori palestinesi.
Noi tutti, ebrei e
protestanti, crediamo nell'Unico Dio. Entrambi crediamo che la storia
sacra e la Rivelazione dell'Unico Dio comincino con l'elezione dei
Patriarchi e delle Matriarche sul suolo dell'antica patria del popolo
d'Israele, con l'Esodo dall'Egitto e la Rivelazione sul Monte Sinai.
Ci siamo incontrati, e
continueremo a farlo. Abbiamo parlato e abbiamo affrontato un dialogo e
delle conversazioni a volte difficili, e continueremo a farlo. Esortiamo
quanti si trovano a capo di chiese e sinagoghe a fare altrettanto, a
stendersi la mano l'un l'altro e a intraprendere importanti conversazioni
come questa.
Firmatari: (I
riferimenti istituzionali vengono riportati al solo scopo di
identificazione)
• Reverendo John
Buchanan – Fourth Presbyterian Church
• John Colman
– Jewish Federation di Chicago
• Michael Kotzin
– Jewish Federation di Chicago
• Dr. Cynthia Linder
– Divinity School all'Università di Chicago
• Professor Martin
Marty – Divinity School all'Università di Chicago
• Rabbi Yehiel
Poupko – Jewish Federation di Chicago
• Professor Benjamin
Sommer – Northwestern University
_________________________
[Fonte: Boston College U.S.A., giugno
2005]
(Traduzione dall'inglese
per "Le nostre Radici" di Antonio Marcantonio)