ECUMENISMO E DIALOGO Profili Tratti da: N°1 Gennaio 2000 di "La Vita in Cristo e nella Chiesa" (Mensile per l'animazione liturgica). Uomini e donne profeti e
testimoni Due amici, che ci hanno lasciato nel corso di questanno (1999), sono fra coloro che, in modo diverso ma forse ugualmente intenso, hanno lavorato e sofferto per iniziare e far progredire il cammino del dialogo con gli amati fratelli maggiori. Un uomo, sacerdote e vescovo, una donna, giornalista: mons. Clemente Riva e la dottoressa Annie Cagiati hanno molto da dirci ancora, dopo averci lasciato uneredità difficile e meravigliosa. Due rapidi profili: lo spazio che dedichiamo loro su queste pagine è inversamente proporzionale a quanto meriterebbe la loro storia e a quanto ne vorremmo dedicare loro. Parliamo di profili perché essi hanno svolto una quantità di servizi a favore della Chiesa ma noi ci limitiamo a focalizzare solo la loro attività per il dialogo ebraico-cristiano.
In occasione della sua morte il rabbino capo ELIO TOAFF ha scritto: Con mons. Clemente
Riva cera unamicizia che durava da molti anni. Lo ricordo sempre la sera di Kippur: veniva ogni anno, puntualmente, al tempio e si
metteva in prima fila per essere il primo a darci laugurio. E un ricordo che
non si cancellerà mai. Un mese fa eravamo insieme alla presentazione del mio ultimo libro Il Messia e gli ebrei. Mons. Riva in quelloccasione improvvisò, e nelle sue parole affiorava nitidamente quello che è stato lo scopo della sua vita: liberare i rapporti fra ebraismo e cristianesimo da tutti gli ostacoli che si sono accumulati e sedimentati lungo i secoli. Non posso dimenticare,
inoltre, la storica visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma. Mons. Riva era
stato in prima linea con me nellorganizzarla in tutti i particolari, dagli inviti
allassegnazione dei posti. E un uomo eccezionale
quello che oggi ricordiamo. Un uomo che alla straordinaria intelligenza e al grande cuore
univa unattività che non conosceva soste. Abbiamo perso un grande amico che difficilmente potrà essere sostituito. E tuttavia la sua opera lascerà una traccia profonda: altri ne sono certo continueranno il suo lavoro e si dedicheranno a far sì che ebraismo e cristianesimo possano convivere senza lotte, senza i pregiudizi che si sono formati nel corso dei secoli. Questo è il testamento che ci lascia mons. Riva. Non cè nulla da aggiungere a parole tanto eloquenti. Ma desideriamo far conoscere tre fioretti della sua vita di dialogo che lui stesso amava raccontare ogni qualvolta si presentasse loccasione. Narrava che, dopo aver vissuto lindimenticabile giornata in sinagoga, mentre si recava nel suo ufficio, un confratello zelante della sua salvezza gli andava dietro nei corridoi dicendogli: Sta attento! Pensa a quello che fai mettendoti con quegli ebrei. E poiché lui continuava a camminare senza replicare laltro non trovò di meglio che dirgli: Ebreo!. E Monsignore commentava con un sorriso: gli ho risposto allora Guarda che ciò che tu dici è la verità e un onore per me!. Unaltra volta ebbe a tranquillizzare persone importanti che si dicevano preoccupate per il fatto che lui, con lintera Commissione CEI, caldeggiasse liniziativa di una Giornata per lebraismo. Si chiedevano: Come potremo chiedere soldi per gli ebrei?. Con la sua pazienza e il suo inimitabile sorriso egli spiegava che francamente si trattava di ben altro. Infine, il fioretto più bello che anche il rabbino Toaff racconta volentieri. I due partecipavano ad un importante Convegno e nellintervallo passeggiavano insieme sottobraccio. Ad un certo punto il rabbino dice a Riva: Monsignore, chi ci avesse detto, anche solo pochi anni fa, che noi avremmo potuto andare così insieme davanti a tutti! Questi sono i piccoli grandi prodigi di un dialogo difficile ed
ancora incerto, ma che ha un grande futuro davanti, perché fecondato dallamore e
dal sacrificio di persone come mons. Clemente Riva. Riva, un amico sincero Ho conosciuto mons. Clemente Riva tramite il mio grande maestro Augusto Segre Z.L. Era lanno 1978. Il professor Segre fece lAliyà (= salita a Gerusalemme) in Israele nel 1979, ed i rapporti con mons. Riva sinterruppero per un certo periodo. Li ripresi in occasione di una trasmissione televisiva nella quale eravamo entrambi invitati, e si rafforzarono sempre più di una reciproca stima. In ogni manifestazione che la Comunità ebraica di Roma organizzava, grande era il piacere di potersi incontrare con lui ed aggiornare le nostre ultime notizie. Alle cerimonie più solenni al Tempio Maggiore di Roma, mons. Riva era sempre presente. Tutto questo fu opera di Augusto Segre, che iniziò ad aprire il dialogo attraverso lAmicizia ebraico cristiana; un messaggio che è stato perfettamente recepito dalle Suore di Nostra Signora di Sion, meglio conosciute come SIDIC. A dirigerne lorganizzazione fu mons. Rijk; nel corso del tempo questo terzetto portò a piccoli passi il progetto di comune avvicinamento fino al rabbino capo di Roma professor Elio Toaff e, alla morte di mons. Rijk e del professor Segre, i rapporti con la Comunità ebraica romana rimasero affidati nelle mani di mons. Riva. Fu lui a preparare pazientemente con Rav Toaff la visita del Papa alla sinagoga: era il 13 aprile 1986; nelle foto, mons. Riva è seduto in prima fila a sinistra sulla Tevà (= luogo della Parola). Proprio con lui dopo la cerimonia salimmo nellufficio rabbinico per un saluto diretto con il Pontefice. E un altro ricordo torna alla mente. Non molti anni fa, per un errore del Ministero degli Interni, era stata fissata la data per le elezioni nellultimo giorno di Pesach, quindi moed, festa solenne per noi ebrei. Monsignor Riva, anche attraverso la stampa, propose di posticipare di una settimana le votazioni, nonostante cadessero durante la Pasqua cattolica: Per noi cattolici non è peccato scrivere, disse ai giornalisti. Ogni prima mattina di Rosh Ha Shannà o la sera della vigilia di Kippur, Clemente Riva si affacciava timidamente al Tempio Maggiore e rimaneva lì fermo, nellultima fila. Spesso gli andavo incontro e lo invitavo a sedersi vicino a me. Anche il Presidente della Comunità lo invitava in prima fila, ma il suo desiderio era porgere gli auguri personalmente a Rav Toaff. Quando il momento lo permetteva, il rabbino capo scendeva, ed il desiderio di mons. Riva era appagato. Una volta parlò anche dalla Tevà porgendo a tutti i suoi auguri. Sempre grazie al suo costante interessamento, e con laiuto di Nathan Ben Chorin che per tanti anni è stato il funzionario dellAmbasciata dIsraele con lincarico di avere relazioni ufficiose con la Santa Sede si riuscì ad ottenere lattuale riconoscimento ufficiale dIsraele da parte del Vaticano, con regolari relazioni diplomatiche e scambio di ambasciatori. Il 20 dicembre 1998 il Comune di Sanremo organizzò con Rav Toaff una magnifica serata in suo onore, e in tale occasione venne presentato il suo ultimo libro Il Messia e gli Ebrei; presentatore del libro ed abile commentatore era ancora mons. Riva. Il 27 gennaio 1999, a Palazzo Giustiniani si svolse una serata patrocinata dal Senato della Repubblica per ricordare la Shoà. Erano presenti, fra laltro, le massime autorità dello Stato, il Presidente dellUCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) Amos Luzzatto, il Presidente della CER (Comunità Ebraica di Roma) Sandro Di Castro, il rabbino capo Elio Toaff; vicino a lui, in prima fila, non poteva mancare la gradita presenza di Sua Eccellenza mons. Clemente Riva. E stata la sua ultima apparizione nelle cerimonie della nostra Comunità. Era malato da molto tempo, ma non lo dava a vedere a nessuno; in silenzio ha passato un breve periodo di agonia nellospedale Pio XI fino al 30 marzo, giorno in cui ha lasciato questo mondo. E in agonia, così è stata riportato, ha faticosamente sussurrato Pesach. Qualcuno ha immaginato desiderasse che sinviassero gli auguri a Rav Toaff per limminente festività, e così è stato fatto. Noi ebrei italiani, e in particolare romani, perdiamo un grande e sincero amico del popolo dIsraele. Sia ricordato il nome di Clemente Riva in benedizione.
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Annie Cagiati "Per amore di Sion non tacerò
Ripeto, io di religione ebraica non so nulla. Perciò ho dovuto cercare in varie direzioni le risposte agli interrogativi che ponevo prima di tutto a me stessa. E man mano che procedevo di scoperta in scoperta si sgretolava dentro di me, dolorosamente, quel trionfalismo così poco evangelico che mi ero costruita dentro in cinquantanni di vita cristiana. Mi sono chiesta perché mai mi abbarbicavo con tanta disperata tenacia a certe convinzioni che i fatti dimostravano chiaramente errate, e ho dovuto riconoscere ma non è stato facile! che il mio amore per la Chiesa è pavido, fragile, anemico e traballante. Perché un amore forte e sicuro non ha paura della verità e non ha bisogno di nascondersi dietro al paravento rassicurante del trionfalismo. Un amore maturo ama senza idealizzare, senza trasformare gli uomini in dei, e sa riconoscere errori e debolezze senza turbarsi o entrare in crisi. Auguro ai miei fratelli in Cristo di lasciarsi coinvolgere fino al midollo della loro fede in questo crollo che ci scaraventa in una nuova realtà e scopre sulle nostre teste un insospettato pezzo di cielo limpido e trasparente. Quel cielo verso il quale dobbiamo tendere insieme, ebrei e cristiani, con la rinnovata vitalità di un albero che ha riscoperto, finalmente, tutta la profondità e la forza delle proprie radici. Prendiamo queste frasi dalla prefazione di un libro che Annie pubblicò nel 1982 presso le Ed. Marietti, Che cosa sappiamo della religione ebraica?, e che fu tra i primi di una lunga serie di lavori, tutti dichiaratamente del suo stile. Cioè con limpegno di dare spazio ai documenti del Magistero, alle parole dei vescovi di tutto il mondo; con lo zelo di prevenire e correggere ogni volta che trovasse allinterno della sua Chiesa segni di antisemitismo, o parole e gesti offensivi in quello che viene detto mondo laico. E certo le occasioni non erano poche, nelluno e nellaltro ambito. Né Annie si arrese mai. Sfidando la sua precarissima salute, lavorava indefessamente e non dava tregua agli amici che accettassero di lavorare con lei. Preziosissimo collaboratore nella sua opera di scrittrice, leditore Carucci, per molti anni, fino allestinzione di quella piccola, apprezzata casa editrice, benemerita per il dialogo con gli ebrei. Molto si deve allopera lucida ed energica di Annie per quanto riguarda liniziativa della Giornata del 17 gennaio. Come accadde per mons. Riva, con il quale ha molto condiviso nella notevole diversità di stile, anche per lei dobbiamo dire che la riservatezza esigente cimpedisce di dire ma pure di sapere molte cose che sarebbe bello poter testimoniare. Nel 1981 Annie fonda, con alcuni amici cristiani ed ebrei, lAmicizia ebraico cristiana di Roma. E parte un lavoro intensissimo di conferenze, corsi, contatti. Nel 1989 fonda il gruppo Cristiani contro lantisemitismo. La sua sensibilità le dice che questo terribile peccato non è ancora sentito abbastanza come tale nella comunità cristiana, e lei tenta con tutti i mezzi a sua disposizione dindicare il pericolo ovunque si trovi. Non sempre il suo amore per Sion e per la sua Chiesa è compreso. Molti si sentiranno aggrediti dalla sua veemenza. Le toccheranno molta solitudine e incomprensione. Ma anche molte splendide amicizie. In occasione della sua morte scrive di lei lavvocato FRANCESCO LUCREZI, presidente dellAssociazione Italia-Israele di Napoli e consigliere della Federazione: Per apprezzare pienamente il valore del contributo dato da Annie Cagiati alla causa del dialogo ebraico cristiano, della lotta contro lintolleranza e lantisemitismo e della difesa delle legittime ragioni della nazione israeliana, occorre storicizzare e contestualizzare il suo operato, non dimenticare il clima in cui per lunghi anni esso si è svolto Non era facile in particolare conciliare una propria identità cattolica ed una propria convinta appartenenza alla comunità ecclesiale con un atteggiamento di solidarietà attiva con il popolo e lo stato dIsraele, paese con cui, comè noto, fino ad epoca recente la Santa Sede non intratteneva relazioni diplomatiche e nei cui confronti manteneva un atteggiamento di aperta diffidenza e freddezza. Annie Cagiati è riuscita,
per lunghi, difficili anni, a perseguire questo difficile obiettivo: lottare con pazienza,
tenacia e passione per il riconoscimento dei diritti della patria degli ebrei e ciò non
già nonostante la propria fede cristiana, ma proprio in ragione di essa. Eliminare dalla
catechesi cattolica anche le più piccole tracce di antisemitismo, sollecitare la
comunità dei credenti a considerare le antiche radici della propria fede, evidenziare,
con rispetto ma con sincerità, gli errori e le disinformazioni delle stesse autorità
ecclesiastiche, significava, per Annie, non certo tradire la propria fede o allontanarsi
da essa, ma impegnarsi a renderla più pura e limpida, liberandola da ogni scoria
dintolleranza. Si potrebbe pensare, forse, che il suo impegno sia stato non
pienamente valorizzato, che non abbia ottenuto tutto il riconoscimento che avrebbe
meritato. Ma se oggi la posizione della Chiesa cattolica nei riguardi dellebraismo e
del Medio Oriente è così significativamente mutata, se latteggiamento generale
degli organi dinformazione sulla situazione medio-orientale è sensibilmente migliorato, ciò si deve a tutti
quegli spiriti coraggiosi come Annie che, per anni, hanno tenacemente lavorato per
rimuovere pesanti ostacoli, permettendo che un domani
altri raccogliessero il frutto di tale impegno. A chi ha conosciuto Annie
Cagiati, di persona o attraverso i suoi scritti, resta il compito di custodire la memoria
della sua tenacia, della sua forza di volontà, della sua fede negli uomini, della sua
chiarezza di principi morali, ricordandone la figura come quella di unanima nobile e
sincera, di una coscienza aperta ma rigorosa, di una cittadina solidale, partecipe e
generosa. Persona di cultura e di forti principi scrive di lei alla notizia della sua morte lambasciatore dIsraele presso la Santa Sede dottor LOPEZ. Annie Cagiati ha saputo levare la voce con forza contro lingiustizia e la menzogna. Personalità dal coraggio singolare e dai più alti valori spirituali. Che la sua memoria sia in benedizione come dicono i nostri fratelli ebrei.
Gli amici ricordano... Ricordo di Annie di Chicca Falcone
È stata per me unamica a volte
scomoda perché mi pungolava continuamente perché migliorassi me stessa; è stata una
maestra perché mi ha insegnato a studiare, a fare ricerche, a riassumere testi; è stata
un esempio da imitare nella sua volontà di andare avanti a tutti i costi se ne valeva la
pena. Era unidealista, lottava contro tutti e contro tutto pur di far trionfare la verità e il diritto dei calpestati. Era una timida che si chiudeva nella sua casa per non dover affrontare le persone con cui non riusciva a stabilire un contatto positivo. Era una generosa che aveva attrezzato la sua casa
principalmente per gli ospiti. Quanti di noi amici hanno goduto della sua generosa
ospitalità a Tuoro? Sapevamo rispettare i tempi e i silenzi
dellaltra. Rivivendo questi ricordi, queste immagini, mi
sembra impossibile che lei non ci sia più! Lei da sempre malata che dava tanta forza e
coraggio a chiunque la avvicinava e che sapeva ridere con lo stesso gusto, lo stesso
entusiasmo con cui lavorava. Sicuramente una donna non facile, ma bastava
trovare la chiave del suo carattere per apprezzarne la lealtà, la sincerità,
lentusiasmo, la capacità nella lotta e la generosità. Sapevo che lei era lì pronta a sostenermi, come
una roccia di un mare in tempesta che comunque rimane al suo posto. Lei donna dalla salute
tanto precaria mi dava questa impressione: di stabilità e coraggio, ma sapevo anche che
era fatta di grande fragilità e paure che però erano sue e che non riusciva a portare in
superficie. Grazie Annie, grazie per quello che hai dato con
tanta generosità ad Israele, alla gente che hai avvicinato e di cui ti occupavi, a noi
che abbiamo lavorato per lunghi anni al tuo fianco, alle persone che comunque cercavi di
aiutare e so che sono tante. Grazie di avermi fatto sentire tante volte amata da te, di avermi sempre sostenuto soprattutto nel lavoro e di avermi guidato su questa strada che mi ha portato ad amare Israele! |