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È
l’esperienza positiva di un gruppo di fedeli della parrocchia romana
di Santa Maria Maggiore in San Vito. Il parroco, don Magagnini: nei
luoghi santi per uno stimolo al rinnovamento interiore.
Appena sedici
pellegrini. Potrebbero essere pochi. Ma non è così. Sono loro, guidati
dall'assistente spirituale Pasquale Magagnini, parroco di Santa Maria
Maggiore in San Vito a Roma, ad aver avuto il coraggio di recarsi in Terra
Santa e aver risposto nei fatti all'appello lanciato dal vescovo Giuseppe
Betori, segretario generale della Cei.
«Durante questo anno pastorale - racconta don Pasquale - in parrocchia ho
tenuto una serie di incontri sul mondo della Bibbia. A mano a mano che si
procedeva emergeva in me sempre più forte il desiderio di tornare in
Terra Santa. La stesura del programma, il calcolo della spesa in
collaborazione con Fabio Antimiani e l'Opera romana pellegrinaggi non
hanno richiesto più di tanto».
Il difficile, però, è venuto al momento di presentare l'iniziativa e
soprattutto di raccogliere le adesioni. Tutta colpa dei timori legati agli
attentati dei mesi scorsi. Con le immagini televisive che hanno spinto
molti a rinunciare al viaggio in Terra Santa. I sedici pellegrini
coraggiosi sono partiti comunque e sono tornati da un pellegrinaggio che
ha lasciato il segno ed è stato vissuto intensamente: «Nella grotta
dell'Annunciazione di Nazareth - continua il sacerdote - abbiamo ascoltato
le parole dell'Annunciazione, nella chiesa della Nutrizione abbiamo
seguito gli anni della vita nascosta e operaia di Gesù. Abbiamo
attraversato il lago come tante volte Gesù aveva fatto; le promesse del
nostro battesimo rinnovate ancora una volta ci hanno stimolato a rinnovare
la nostra fede».
A Gerusalemme
il piccolo gruppo di pellegrini romani ha vissuto con particolare intensità
la Via Crucis. «Abbiamo trovato tutti i luoghi santi vuoti, quasi solo
per noi, senza file, senza ressa, con pochi gruppi di pellegrini -
sottolinea don Pasquale - ma anche una grande tristezza per questo fatto.
Betlemme, soprattutto, ci è parsa una città spettrale, senza una
macchina o una persona in giro, con tutti i negozi chiusi. Solo alcuni
venditori ambulanti che, appena ci hanno scorso, si sono precipitati su di
noi, con molta irruenza: vendere qualche corona o un piccolo presepio sono
questioni di sopravvivenza». Basti pensare che l'autista dei pellegrini
ha confidato che per lui erano il primo gruppo in tre anni.
C'è stata anche una sosta verso un luogo che ricorda una tragedia: la
visita, triste e dolorosa, a Yad Washem. E la paura di attentati? Don
Magagnini è chiaro: «Non abbiamo mai avuto il minimo problema o
difficoltà né timore: non abbiamo visto nessuna di quelle immagini che i
mezzi di comunicazione ci propinano ogni giorno. A parte qualche posto di
controllo. Abbiamo usato anche le nostre precauzioni, evitando di recarci
nella Gerusalemme Ovest». I sedici pellegrini a passeggio per la Città
Santa possono sembrare pochi: sono serviti a rompere l'isolamento delle
comunità cristiane di quei luoghi e a dare coraggio a tanti altri.
«La nostra testimonianza - conclude don Pasquale - vuole essere un invito
a prendere in seria considerazione di tornare in Terra Santa. Ce lo
chiedono i responsabili di quei luoghi santi: non possiamo lasciare soli i
nostri fratelli cristiani. La nostra presenza, ma anche i nostri acquisti,
permettono loro di vivere».
Il segnale di questo piccolo gruppo di pellegrini romani può veramente
spingere alla ripresa dei viaggi dall'Italia.
Maurizio
Carucci
[Fonte:
Avvenire Catholica del 31 luglio 2003]
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