Ebraismo e
Cristianesimo |
L'attesa della venuta o del ritorno
del Messia |
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Se io oggi credo e vivo nel Signore è perché egli si è rivelato in molti modi: nei tempi antichi per mezzo dei profeti e, in quella che per i cristiani è la pienezza dei tempi, per mezzo del Figlio, il Signore Gesù: «Dio, nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» [1] La mia fede e quindi la mia vita hanno la loro Sorgente ed il loro perenne nutrimento in Cristo, nel quale trovano compimento sia la Legge che i Profeti [2] La mia storia di salvezza, che è personale, ma non separata da quella dell'intera Umanità, ha le sue tappe i suoi momenti fondanti ed il suo dispiegarsi nel tempo - che è contemporaneamente un rivelarsi ed un costruirsi - nella Storia della Salvezza che io conosco e sperimento in quanto vissuta e narrata da Israele, il Popolo dell'Alleanza, che non potrà mai essere revocata perché il Signore è fedele e quindi la sua Alleanza è eterna come la sua misericordia. Oggi, come in ogni epoca, sono presenti nella percezione delle tappe del cammino spirituale tutte le fasi della scansione dell'Esodo: l'uscita dall'Egitto, la traversata del deserto, la tensione verso... e il raggiungimento della Terra Promessa - che tuttavia non è l'unico orizzonte, perché si intreccia e si confonde con l'era messianica - sulla cui attesa o compimento-attesa ulteriore si situa il discrimine tra ebraismo e cristianesimo. |
«Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la Verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» [3] Colui che ha richiamato alla vita il suo amico Lazzaro, figura della Risurrezione definitiva, chiama anche noi a Vita nuova ogni giorno, nella nuova ed eterna Alleanza perché, dopo essere nato e morto per noi e per la nostra salvezza, è Risorto ed è il Vivente e ci ha promesso: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi» [4] «...Né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre...Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità» [5] |
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È per questo che possiamo dire ogni momento al Padre: «Eccomi,
io vengo, per fare la tua volontà» In principio era il Tempo Ebraismo:
«religione del tempo, che mira alla santificazione del tempo» [6] Una radice ed un'ispirazione bibliche che anche il cristianesimo riconosce e valorizza, con la differenza che l'Ebraismo vede la Redenzione fuori della storia con l'irruzione dell'Eterno, nell'avvenire promesso, mentre il Cristianesimo si fonda sulla continuità di una Presenza durante tutto il corso del divenire storico: il Cristo presente nella Sua Chiesa, che trasforma la quotidianità in tempo sacro, nel quale l'incontro tra Dio e l'uomo già avviene. È il "primo giorno dopo il sabato", come dice l'Apostolo Giovanni: ci rinvia al primo giorno della Creazione, è il primo giorno della Creazione nuova. Non ci sarebbe
il Tempo senza la Parola di Dio. Parola, che nella sua
connotazione ebraica acquista anche il senso, denso di concretezza, di "cosa,
fatto". Essa comunque non ha esaurito la sua funzione una volta per tutte, "in
principio" - anche se si tratta di un principio fondante - perché è una Parola che
continua ad essere pronunciata e quindi continua a dispiegare i suoi effetti nella
creazione attraverso il concreto "fare" la volontà del Padre, mediante
l'osservanza della Sua Legge scritta nel cuore dei suoi figli nel Figlio, Verbo fatto
carne. «Tutta la creazione, che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio,
geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» [7] In principio era il Verbo Il Verbo dà origine e senso al Tempo e alla Storia. È una Storia che non ha ancora raggiunto il suo compimento: «...Ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano di Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno: perché quelli che da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché Egli sia il primogenito tra molti fratelli" [8] «In Dio la Parola è il senso, la chiarezza, la struttura, la forma, l'espressione dell'essere divino. Mediante la Parola Dio esprime se stesso, in essa diventa afferrabile. Nella Parola avviene quindi anche la rivelazione divina... Il rapporto tra Dio e la creatura è dato con l'essenza del discorso: esso è domanda riflessione e risposta.» [9] È nella Parola
che Dio si dona ed è in essa che noi esprimiamo il nostro sì a Lui. Il presente è così
decifrato a partire dalla Parola e dal passato; esso nella tradizione ebraica è garantito
dal passato e dalla promessa del futuro; per i cristiani diventa già oggi, in ogni
"oggi" della storia - nella decisione dell'uomo che si apre all'azione della
Parola - riscatto e ricapitolazione del passato, tappa di costruzione del Regno,
determinante per il futuro. In entrambe le fedi coincidono le originarie modalità di rapporto tra Dio - mondo - uomo: Creazione, Rivelazione e Redenzione; in esse è presente la stessa tensione tra tempo ed eternità, nell'ascolto e nell'apertura alla Verità eterna. Il Cristianesimo ne testimonia la presenza, l'ebraismo l'avvento futuro. Nell'attingere alle nostre Radici ebraiche, mi colpisce e mi sembra molto rivelatrice e quindi determinante per la nostra 'conoscenza', in tutta la pregnanza del senso biblico del termine, una semplice riflessione sul diverso modo di intendere l'insegnamento. Nella lingua ebraica per "insegnare" viene usato anche il verbo = shanà (che ha anche il significato di ripetere, "ripetizione", che diventa "moltiplicazione" della realtà trasmessa (senso pieno della tradizione) col ripetersi del racconto biblico ad ogni generazione. Il nostro insegnare invece veicola il concetto di lasciare-il-segno-in, cioè quello di incidere la realtà trasmessa nella interiorità del soggetto. Sostanzialmente si produce lo stesso effetto, ma è importante notare come la 'visione del mondo' ebraica rivelata dal linguaggio centra l'attenzione sul "contenuto" trasmesso, mentre quella occidentale sul "soggetto" che lo riceve. Essere più "centrati" sul contenuto secondo me non è irrilevante, perché non può esservi disgiunto quel senso di "timore", che è rispetto, cura, considerazione, attenzione amorosa, non a caso indicato come il primo dei sette "Doni dello Spirito Santo" che vivificano la vita del credente. Penso che per noi sia molto importante recuperare questo 'sentire', laddove non sia già presente per dono di Dio. [1] (Gv 1,18) |