Il terrorismo palestinese
che immola i suoi kamikaze tra la folla inerme d'Israele? Non l'extrema
ratio imposta dalla disperazione di un popolo, ma la prova
della «perenne incapacità» del mondo palestinese «di essere
all'altezza della sfida storica che quella presenza gli pone»,
la presenza israeliana. Con questo «j'accuse» Ernesto Galli
della Loggia ha chiuso l'editoriale pubblicato ieri dal «Corriere
della Sera». Un editoriale scritto per dimostrare che poteva (e
forse può) esserci un'alternativa al terrorismo, cioè diverse
forme di protesta che vanno dallo sciopero alla disobbedienza
civile, fino al martirio, quello, per esempio, di Jan Palach che
si diede fuoco a Praga contro l'occupazione sovietica (e uccise
solo se stesso). Ma tutto questo, conclude Galli della Loggia,
in quell'area del Medio Oriente non è possibile, perché «la
coscienza nazionale palestinese, nei limiti in cui esiste, è
stata tutta costruita su un inestinguibile odio antiebraico che
mira allo sradicamento del nemico sionista anziché alla ricerca
di una pacifica convivenza con esso».
È chiaro il punto di vista dell'editorialista del «Corriere»:
il terrorismo dei kamikaze è un'arma impropria che i
palestinesi usano su civili innocenti. Soprattutto: i kamikaze
sono l'iceberg terribile della mentalità antidemocratica del
mondo islamico di oggi.
«In realtà - spiega il sociologo Khaled Fouad Allam,
del quale sta per uscire da Rizzoli il saggio L'islam globale
- chi studia l'islam politico e in particolare l'evoluzione
dell'islam contemporaneo può affermare che sin dagli anni
Trenta nel mondo islamico si è sviluppata una cultura della
violenza come reazione all'Occidente. Il motivo principale è
dettato dal sentimento della progressiva espulsione dai processi
storici mondiali, che ha suscitato una violenza mimetica in
certi settori dell'islam: essi avrebbero voluto essere ciò che
è l'altro, senza esserlo in realtà. I kamikaze sono gli eredi
di questa trasformazione. Ma non si dimentichi che in passato ci
sono stati tentativi da parte dei palestinesi di creare
movimenti per la pace, di cui fu protagonista la figura di un
Gandhi palestinese, quasi sconosciuto in Occidente, Mubarak Awad,
che fondò il "Palestinian Centre for the Studies of
Non-violence"».
Anche lo storico Fabrizio Fabbrini è cauto: «Non posso
- dice - dare giudizi morali su situazioni ove l'umanità è
allo stremo, dove alla persona non è riconosciuto alcun valore.
Nei kamikaze vedo soltanto disperata ribellione, un deserto da
cui si alza un urlo senza voce. Da Occidente si levano lezioni
di nonviolenza, magari dopo aver approvato i bombardamenti
aerei... Ma la nonviolenza non è un passepartout per tutti gli
usi, ha delle regole precise: è amore per la vita, rispetto
della persona e delle istituzioni, affermazione del diritto
sopra le leggi scritte. Non posso fare azioni di pace se odio
l'avversario, se non lo considero mio fratello e mio Dio. I loro
capi, da una parte e dall'altra, hanno insegnato terrorismo e
odio a generazioni, e noi li abbiamo anche coccolati perfino con
premio Nobel».
Su un punto Galli della Loggia a ragione, commenta il
giornalista Igor Man: «Purtroppo l'Autorità palestinese
non ha mai avuto una vera direzione politica, essendo un gruppo
di fazioni finanziate e armate dai Paesi arabi. Ma è anche vero
che Arafat ha lottato tutta la vita per cercare di mantenere un
minimo di legittimità alla sua Autorità palestinese. Trovo
difficile pensare che i palestinesi oggi possano lottare facendo
sit-in e attuando forme di disobbedienza civile. Forse, questo,
poteva anche darsi prima dell'assassinio di Rabin, oggi invece
dobbiamo fare i conti con un fenomeno nuovo, il caso aberrante
dei suicidi. Il salto di qualità si è verificato con l'avvento
al potere di Khomeini, l'espressione di un islam di protesta.
Khomeini sostenne che uccidersi per uccidere l'infedele non era
peccato, era un martirio e come tale apriva la porta al
paradiso. Ne era così convinto che spediva i bambini iraniani a
piedi nudi a sminare i campi minati»
Galli della Loggia contrappone, implicitamente, islam e
cristianesimo notando che la resistenza inerme dei martiri è un
portato della civiltà cristiana e occidentale. «Su questo ho
dei dubbi - replica Fabbrini - perché mi pare evidente dal
punto di vista storico che le civiltà cristiane occidentali non
sono state capaci di azioni nonviolente, se si eccettuano rari
casi, come la resistenza danese al nazismo. Mentre si possono
documentare azioni nonviolente sia nel mondo ebraico sia in
quello islamico, e Gandhi costruì la sua lotta proprio sulla
base della massa islamica cui egli seppe dare voce (contro il
"tradimento del Califfato" perpetrato dagli inglesi).
Perciò l'islam ha gli stessi diritti dell'Occidente per
rivendicare una prassi non violenta. Forse si può aggiungere
che coi leader di oggi è improbabile che si verifichi qualsiasi
politica nonviolenta. Ma guardiamo anche a una tragedia che dura
da mezzo secolo riconoscendo le nostre vergognose menzogne, che
hanno fomentato l'odio da entrambe le parti».
Contrapporre islam e civiltà cristiana dà immediatamente alla
questione terroristica uno sfondo religioso. «A me pare che sia
improprio parlare di kamikaze per i palestinesi che si suicidano
compiendo attentati - dice Igor Man -. I kamikaze erano, per
come li abbiamo conosciuti nell'esercito giapponese, soldati che
s'immolavano per uccidere altri soldati. Mentre in Palestina c'è
qualcosa che sfugge al nostro metro, sia esso cartesiano o
evangelico, perché sembra affermare una sorta di "teologia
del massacro". Ricordo di aver visto in Vietnam, sulla
piazza di Saigon, tre terroristi che aspettavano di essere
premiati per l'azione compiuta. Ma il generale Giap li guardò e
negò loro ogni riconoscimento affermando che il terrorismo era
un'arma stupida.
Se pensiamo alla
questione religiosa, dobbiamo anche dire che in nessun testo sacro
coranico vi è una legittimazione del kamikaze. Per il Corano il
suicidio è peccato, e noi percepiamo questo nuovo fenomeno come
una mostruosità: quelli che s'immolano per uccidere molti altri
in genere sono giovani di buona famiglia, con buoni studi alle
spalle, che si sentono toccati dalla grazia e vanno alla morte
sorridendo. È questo che rende ancor più aberrante la loro
prassi».
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