FILOSOFIA 

Da "Avvenire del 2 settembre 2000

Neher: un «forse» tra il Talmud e Socrate

Massimo Giuliani

Primo libro in 
italiano sull'
intellettuale ebreo che tentò 
di conciliare i Greci e la Bibbia

L'esistenza di una "filosofia ebraica" non è un dato scontato. Il rapporto tra Atene e Gerusalemme è infatti stato travagliato e conflittuale fin dalle origini, e l'equilibrio tra i due linguaggi culturali (quello greco e quello ebraico) è sempre stato precario. Non solo perché politeismo e monoteismo sono due "universi valoriali" irriducibili, ma perché essi si pensano con categorie opposte e confliggenti.

Eppure la storia è lì a dimostrare che Gerusalemme non ha mai chiuso le porte ai greci: da una parte il giudaismo può essere detto in linguaggio greco (l'impresa riuscì bene soprattutto nel medioevo), e dall'altra gli ebrei hanno saputo sviluppare e articolare proprio ciò che la filosofia greca non sa o si vieta di indagare. 

In questo secondo caso, i "filosofi ebrei" si fanno carico appunto di ciò che la razionalità classica esclude, o sottovaluta, o rimuove. Il caso di André Neher è emblematico di tale sforzo intellettuale: tutta la sua opera è un tentativo di correggere il logos greco attraverso l'indagine del grande codice della fede occidentale: la Bibbia. In due parole, direi che il contributo di Neher è consistito essenzialmente nel "pensare la Bibbia" e di "pensare nella Bibbia", cioè nel far emergere dai testi della tradizione giudaica (profezia, talmud, midrashim, qabbalà) parole e concetti che costituiscono il rimosso e l'indigesto del pensiero greco: il valore della contraddizione, la positività del pathos, l'ambiguità del silenzio, la necessità del "forse", le potenzialità del vuoto e del nulla.

Merito del volume di Maria Roberta Cappellini su André Neher è quello di indagare in modo sistematico l'originale contributo dello studioso ebreo francese. Si tratta della prima monografia che appare in lingua italiana su Neher, del quale il lettore ha a disposizione la maggior parte delle opere tradotte. Nato in Alsazia nel 1914, Neher immigrò in Israele nel 1967 dopo la guerra dei 6 giorni. Fu uno degli intellettuali ebrei di spicco del secondo dopoguerra, e insieme a Levinas, Jankélévitch, Leon Askénazi, Eliane Levy Valensi e molti altri è stato autorevole rappresentante del "terzo polo" del mondo ebraico internazionale, dopo Israele e Stati Uniti. La comunità ebraica francese (circa 700 mila persone) è infatti la terza per grandezza nel mondo. E Neher ben incarna la figura dell'intellettuale ebreo europeo-occidentale, erede della tradizione illuministica francese, ma al contempo consapevole della sfida posta a quella tradizione dalla storia peculiare del giudaismo.

Nella sua monografia, la Cappellini esplora il pensiero di Neher in quattro momenti: la concezione storica e quella filosofica, l'esperienza fenomenologica e quella estetica. Tutte ancorate nella sua straordinaria abilità di ascoltare i testi biblici e farli parlare alla luce delle vicende storiche. Soprattutto alla luce di quegli eventi unici che furono nel XX secolo, per il popolo ebraico, la tragedia della Shoà e la rifondazione dello Stato d'Israele. Tra esegesi ed interpretazione Neher ha elaborato una categoria nuova, quella del "forse", una correzione all'ontologia occidentale (in un'impresa analoga a quella tentata dall'amico Levinas). Il "forse" costringe il pensiero ad esporsi, è vero, verso un rischio nichilistico, ma al contempo lo spinge anche verso una più radicale possibilità di riscatto. Questo stare in bilico tra rischio e pienezza di significato è appunto il senso della redenzione, almeno nel giudaismo.

La Cappellini ricostruisce il pensiero di Neher senza tradire il contenuto complesso della sua opera e lasciando intravedere l'irriproducibile accento, la musicalità e il ritmo della prosa e della poesia bibliche.
Maria Roberta Cappellini
André Neher. Tra esegesi ed ermeneutica
Morcelliana
Pagine 122. Lire 16.000

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