Eppure
la storia è lì a dimostrare che Gerusalemme non ha mai chiuso le porte
ai greci: da una parte il giudaismo può essere detto in linguaggio greco
(l'impresa riuscì bene soprattutto nel medioevo), e dall'altra gli ebrei
hanno saputo sviluppare e articolare proprio ciò che la filosofia greca
non sa o si vieta di indagare.
In questo secondo caso, i "filosofi ebrei" si fanno carico
appunto di ciò che la razionalità classica esclude, o sottovaluta, o
rimuove. Il caso di André Neher è emblematico di tale sforzo
intellettuale: tutta la sua opera è un tentativo di correggere il logos
greco attraverso l'indagine del grande codice della fede occidentale: la
Bibbia. In due parole, direi che il contributo di Neher è consistito
essenzialmente nel "pensare la Bibbia" e di "pensare nella
Bibbia", cioè nel far emergere dai testi della tradizione giudaica
(profezia, talmud, midrashim, qabbalà) parole e concetti che
costituiscono il rimosso e l'indigesto del pensiero greco: il valore della
contraddizione, la positività del pathos, l'ambiguità del silenzio, la
necessità del "forse", le potenzialità del vuoto e del nulla.
Merito del volume di Maria Roberta Cappellini su André Neher è quello di
indagare in modo sistematico l'originale contributo dello studioso ebreo
francese. Si tratta della prima monografia che appare in lingua italiana
su Neher, del quale il lettore ha a disposizione la maggior parte delle
opere tradotte. Nato in Alsazia nel 1914, Neher immigrò in Israele nel
1967 dopo la guerra dei 6 giorni. Fu uno degli intellettuali ebrei di
spicco del secondo dopoguerra, e insieme a Levinas, Jankélévitch, Leon
Askénazi, Eliane Levy Valensi e molti altri è stato autorevole
rappresentante del "terzo polo" del mondo ebraico
internazionale, dopo Israele e Stati Uniti. La comunità ebraica francese
(circa 700 mila persone) è infatti la terza per grandezza nel mondo. E
Neher ben incarna la figura dell'intellettuale ebreo europeo-occidentale,
erede della tradizione illuministica francese, ma al contempo consapevole
della sfida posta a quella tradizione dalla storia peculiare del
giudaismo.
Nella sua monografia, la Cappellini esplora il pensiero di Neher in
quattro momenti: la concezione storica e quella filosofica, l'esperienza
fenomenologica e quella estetica. Tutte ancorate nella sua straordinaria
abilità di ascoltare i testi biblici e farli parlare alla luce delle
vicende storiche. Soprattutto alla luce di quegli eventi unici che furono
nel XX secolo, per il popolo ebraico, la tragedia della Shoà e la
rifondazione dello Stato d'Israele. Tra esegesi ed interpretazione Neher
ha elaborato una categoria nuova, quella del "forse", una
correzione all'ontologia occidentale (in un'impresa analoga a quella
tentata dall'amico Levinas). Il "forse" costringe il pensiero ad
esporsi, è vero, verso un rischio nichilistico, ma al contempo lo spinge
anche verso una più radicale possibilità di riscatto. Questo stare in
bilico tra rischio e pienezza di significato è appunto il senso della
redenzione, almeno nel giudaismo. |