«Messianismo non vano»
Il testo
sul popolo d'Israele rivela le nuove frontiere aperte dal futuro Papa già nel
2001: «Senza l'Antico
Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta
privata delle sue radici e destinata a seccarsi»
«L'attesa
messianica ebraica non è vana». È uno dei passi più forti e innovativi del
documento Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia
cristiana,
redatto dalla Pontificia Commissione Biblica e pubblicato nel 2001 con la
prefazione di Joseph Ratzinger, che di quella commissione era presidente dal
1981. Rileggiamolo per esteso: «Ciò che è già compiuto in Cristo deve
ancora compiersi in noi e nel mondo. Il compimento definitivo sarà quello
della fine, con la risurrezione dei morti, i cieli nuovi e la terra nuova.
L'attesa messianica ebraica non è vana. Essa può diventare per noi cristiani
un forte stimolo a mantenere viva la dimensione escatologica della nostra
fede. Anche noi, come loro, viviamo nell'attesa. La differenza sta nel fatto
che per noi Colui che verrà avrà i tratti di quel Gesù che è già venuto
ed è già presente e attivo tra noi».
Il documento del 2001 affronta il rapporto fra Antico e Nuovo Testamento e,
nel contempo, la relazione tra cristiani ed ebrei. «Senza l'Antico
Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta
privata delle sue radici e destinata a seccarsi», vi si legge. Il «presupposto
teologico di base» secondo cui «il disegno salvifico di Dio, che culmina in
Cristo, è unitario, ma si è realizzato progressivamente attraverso il tempo»,
alimenta - tra l'altro - la convinzione che ebrei e cristiani possano
arricchirsi dalle reciproche ricerche esegetiche, come già è accaduto in
duemila anni di storia.
Inoltre il documento ribadisce in maniera argomentata l'impossibilità di
"usare il Vangelo" quale fondamento dell'antigiudaismo. Una
questione tutt'altro che accademica: lo stesso Ratzinger, nella sua
prefazione, faceva riferimento al «dramma della Shoah» quale contesto nuovo
e ineludibile della ricomprensione e del rilancio del rapporto
ebrei-cristiani. Un dialogo, sottolineava Ratzinger, che aiuterà i cristiani
anche rispetto ai «fondamenti» della loro fede, se è vero - come disse
Giovanni Paolo II nella sua storica visita alla Sinagoga di Roma nel 1986 -
che gli ebrei sono i nostri «fratelli maggiori» e «prediletti».
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[Fonte: Avvenire del 23 aprile 2005]