La democrazia ha bisogno del giorno della Memoria
     Paolo Bagnoli [*]

 



La Shoah: evento unico, centro del Novecento
Senza  Memoria non c'è civiltà della democrazia
La storia ha bisogno della memoria, anche in Italia
Non si dimentichi: il fascismo fu pure odio razziale

Torna la Giornata della Memoria. Sappiamo  benissimo a cosa ci riferiamo: alla memoria dell' Olocausto; alla memoria di un  evento che ha investito il destino di un popolo, ma che riguarda anche chi non  appartiene al popolo ebraico perché esso occupa una posizione centrale nella  vicenda storica dell'umanità. Giornata della Memoria per comprendere il senso di  eventi che hanno segnato il secolo scorso; per comprenderli fino in fondo in uno  sforzo continuo della Ragione di penetrare il perché ciò che è accaduto sia  potuto accadere. La memoria, infatti, implica una sfida della Ragione per  renderci conto di ciò che la capacità di raziocinio dell'uomo fatica a  comprendere. La Shoah è il fatto centrale del Novecento ed essa non è  riconducibile ad un semplice  sterminio; ad uno dei tanti drammatici stermini che la Storia ha registrato. È  un evento senza paragoni. Ecco l'obbligo della memoria.

Quella della Shoah non va, infatti, affidata alla categoria  del ricordo, raccolta nei confini di sviluppo che la riguardano, ma essa va  collocata all' interno di un più ampio discorso, di riflessione e di  approfondimento, della nostra civiltà contemporanea; di una civiltà che, pur con  tutte le sue conquiste, non ha cancellato il concetto di alterità, ossia della  diversità intesa sotto vari aspetti: religioso, etnico, sociale, sessuale per  cui i diversi sono, sempre e comunque, gli altri.

La crisi del liberalismo europeo, la nascita e l'  affermazione dei nazionalismi, hanno prodotto una concezione aberrante dell'idea  e della pratica della sovranità nel senso di interpretarla come un dato che si  realizza solo nel momento in cui qualcuno annienta l'altro. Così, la distruzione  totale di un qualcuno non è solo un fatto teorico: il diritto alla vita, la  libertà politica, quella di essere se stessi possono concretamente, in un certo  momento  - o forse, per meglio dire,  in un qualsiasi momento - essere sottratte all' uomo da parte di un altro uomo.  Credo che Auschwitz, tra le tante cose che insegna, insegni soprattutto questa.  Ecco un'altra conferma del valore della sua unicità e centralità: il ricordo di  Auschwitz, la memoria cioè, costituisce il momento di legame con il dovere di  testimoniare la civiltà della democrazia e della pace. La memoria, quindi,  diviene fattore operante che riguarda tutti: rispetto ad essa chi fa pratica di  libertà e di democrazia ha sempre un dovere: quello di oggi diviene  testimonianza per il dovere di domani. Da questo dovere, dalla sua esplicazione,  nasce il modo di essere del mondo perché la libertà non è un dato astratto, ma  vive solo se si realizza concretamente; da questo dovere nasce il mondo, quello  di oggi e quello di  domani.

La storia ha, quindi, bisogno della memoria. Elie  Wiesel ha detto che l'oblio è il contrario della storia. Aggiungiamo noi che lo è  pure la  sua falsificazione; parlando  delle ragioni della memoria abbiamo il dovere di ricordarlo. Oggi, infatti, nel nome di una non meglio  precisata pacificazione e di una ridefinizione del concetto di patria, si  assiste all'evolversi di un progetto che, forzando proprio la storia, tende a  mettere in equilibrio di valore l'Italia fascista con quella che non lo era e  che, anzi, la combatteva;  l'Italia della dittatura e delle discriminazioni razziali con quella della  libertà; la parità sostanziale dei valori patriottici rappresentati da  schieramenti contrapposti. Si tratta di un'operazione che mira a delegittimare  la Repubblica e ciò che essa significa per la nostra democrazia le cui radici  hanno precisi luoghi storici di riferimento.

Ma sul punto va detto di più. Infatti, se nel  dopoguerra, la coscienza collettiva degli italiani non si sentì implicata  in una questione quale quella che si verificò  in Germania - il famoso dibattito sul  cosiddetto passato che non passa - lo si è dovuto proprio all' antifascismo,  alla Resistenza, alla Guerra di Liberazione. Se in Italia il passato è passato è  perché la coscienza collettiva del Paese è stata riscattata; perché l' antifascismo aveva già fatto i  conti con un periodo storico le cui conseguenze vedevano già assegnati i ruoli e  ciò non può essere oggetto di revisione.

Circolano false letture del nostro passato. Una di  queste è che in Italia, sostanzialmente, la questione razziale fu blanda. Quasi  tutti i memorialisti della scelta di Salò hanno tenuto a precisare che hanno  saputo delle camere a gas dopo la fine del conflitto e ciò è sicuramente vero;  ma sia quelli che hanno abiurato alle ragioni della loro scelta giovanile, sia  coloro che invece ancora le difendono, non potevano non sapere come, con le leggi razziali del 1938, il  fascismo avesse imboccato ufficialmente la ripugnante via della discriminazione  antisemita. E fu grazie a quelle leggi  che in Italia, a differenza per esempio  di quanto avvenne in Francia, i tedeschi non ebbero bisogno di alcuna fase  preparatoria per attuare le deportazione del 1943 e 1944.

Giornata della Memoria, perciò, anche come  giornata della conoscenza: di ciò che ha prodotto l' odio razziale, del significato della lotta  antifascista, della natura dell' occupazione tedesca e di come i fascisti vi  collaborarono. Fare memoria vuol dire, infine, schierarsi con decisione contro  ogni razzismo. Il premio Nobel polacco Isaac Bashevis Singer, forse il più  grande scrittore yiddish del Novecento, ha scritto: "Quando tutte le nazioni si  renderanno conto che sono in esilio, l'esilio cesserà di essere; quando le  maggioranze scopriranno che anch' esse sono minoranze, la minoranza sarà la  regola e non l'eccezione". Sembra quasi una profezia sulla nostra difficile  attualità.

[*] Professore Ordinario di Storia delle dottrine politiche a  Siena, già direttore del Gabinetto Vieusseux di  Firenze

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