Una Giornata
della memoria, una Giornata per ricordare la Shoah, una
Giornata per non dimenticare una storia di orrore e di
infamia per l'umanità. Questo dovere della conservazione
della memoria, cioè del ricordo di quanto accaduto
sessant'anni fa - con il suo bagaglio di sofferenza e di
morte - viene quest'anno per la seconda volta per così dire
prescritto e additato da una legge dello Stato alla
coscienza civile della nazione. È sicuramente questo un
fatto notevole, portatore di un significato simbolico di
grande rilievo morale e didascalico.
Vorremmo che ciò che accadde e si consumò sessant'anni fa
sotto gli occhi indifferenti od assenti di una buona parte
della società venisse portato a conoscenza soprattutto dei
giovani perché apprendessero, si emozionassero, si
indignassero, si ribellassero e rifiutassero oggi quei
presupposti ideologici su cui fu possibile ieri edificare da
parte del nazi-fascismo quella tremenda macchina di morte
che sfociò poi nella «soluzione finale».
I presupposti
erano una pretesa superiorità di alcuni e una pretesa
inferiorità di altri: ai primi spettava di dominare e di
vivere, ai secondi di sottostare e di morire. La persona
umana, in quanto semplice persona umana, perdeva così tutti
i suoi diritti innati e consacrati da secoli di riflessione
etico-religiosa, riducendosi a indifeso bersaglio del più
forte e del più violento.
Vorremmo che, attraverso i giovani, tali osceni presupposti
non si ripresentassero mai più, che il volto dell'umanità
non risultasse mai più sfigurato dal ghigno feroce dei
persecutori, che si affermasse invece un ripudio forte e
netto di tutte quelle forme di emarginazione, di
risentimento, di ostilità verso chi è diverso, chi è
debole, chi è indifeso, chi si è già abituato a
considerare un «capro espiatorio».
Questa Giornata della memoria provoca in chi ha vissuto
quegli eventi (e quindi anche in chi scrive) un senso di
acuta nostalgia per le persone care rubate alla vita i cui
volti permangono inalterati nelle loro fisionomie a dispetto
del passare del tempo, e anche un senso di preoccupazione
per il domani. Ecco, credo che tutti dobbiamo soprattutto
preoccuparci del domani, nel senso di contribuire a
preparare fin da oggi un domani in cui non possa più
accadere quanto accadde sessant'anni fa.
Perché ciò possa avvenire si deve seminare e testimoniare
in termini di rispetto e di accettazione dell'altro e in
termini di verità, di giustizia, di pace e di libertà.
Solo una società giusta e libera, quindi veramente
democratica, può permettere agli individui di realizzarsi
in una dimensione umana pacifica e di eliminare così l'odio
e la violenza dalla faccia della terra.
[*]
Rabbino capo della Comunità ebraica di Milano