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Spirale di violenza minacciosamente aggravatasi in Medio Oriente

Peggiora, se possibile, il quadro del nuovo conflitto in Medio Oriente, prolungandosi minacciosamente fino a Teheran. Sembra proprio infatti il regime della repubblica islamica uno degli interlocutori – chiave del nuovo corso aperto con gli attacchi prima di Hamas e poi di Hezbollah contro Israele. In gioco l’intero assetto dell’area che arriva fino all’Afghanistan e poi si prolunga verso l’India, oggetto ancora una volta, nei giorni scorsi di un attacco terroristico. Avvicinandosi l’ora delle scelte sul programma nucleare Teheran sembra giocare d’anticipo, spingendo l’attacco delle frange islamiste militarizzate del Movimento di Resistenza Islamico, ormai al governo in Palestina, e del “partito di Dio”, che si è ritagliato un vero e proprio “stato nello stato” in Libano. Obiettivo è l’identità e l’esistenza di Israele, nei confronti del quale il fronte non è mai chiuso. E che ovviamente replica con fredda determinazione. L’intreccio dunque richiama Siria e Iran, unite non solo nell’opposizione ad Israele, ma anche nel contrasto alla presenza americana in Iraq. 

Come sempre tutto si tiene e tutto confligge in una delle regioni-chiave della geopolitica mondiale. Ecco quindi l’appello rinnovato ed appassionato del papa Benedetto XVI ricorda innanzi tutto che “all’origine di tali spietate contrapposizioni vi sono purtroppo oggettive situazioni di violazione del diritto e della giustizia”. Ribadisce nello stesso tempo che “né gli atti terroristici né le rappresaglie, soprattutto quando vi sono tragiche conseguenze per la popolazione civile, possono giustificarsi”. Certamente “su simili strade - come l’amara esperienza dimostra – non si arriva a risultati positivi”. Che fare dunque? Ritorna la strada della preghiera. 

Il Papa invita solennemente tutte le chiese locali alla preghiera per la pace in Terrasanta e nel Medio Oriente: una preghiera corale, per “il fondamentale dono della concordia”, che possa riportare “i responsabili politici sulla via della ragione”, aprendo così “nuove possibilità di dialogo e di intesa”. La chiave è sempre il riconoscimento del diritto all’esistenza dello Stato di Israele. 

La retorica islamista anti-israeliana, tragicamente divampata in queste settimane con azioni belliche e reazioni assai cruente, se colpisce direttamente Israele, indirettamente colpisce anche i palestinesi, ancora una volta ostaggio, come il Libano e tutto il Medio Oriente, degli interessi delle piccole e medie potenze regionali. Il riconoscimento dei diritti dello stato di Israele significa nello stesso tempo il riconoscimento dei diritti dei palestinesi ad uno Stato e il riconoscimento dell’indipendenza e della sovranità del Libano.



Les Combes 23 luglio 2006

Ha parlato a braccio Benedetto XVI, al culmine della giornata universale di preghiera per la pace in Terra Santa e nel Medio Oriente, celebrando nella chiesa di Rhemes Saint-Georges: “Libera da tutti i mali e donaci la pace, Signore, non domani o dopodomani, donaci la pace oggi”.

Perché sa bene, il Papa, che senza questo supporto fondamentale, il supporto della preghiera e della mobilitazione spirituale, non se ne esce, dall’intrico politico, militare, culturale, religioso e ideologico. Certo l’obiettivo geo-politico è chiaro e lo ha ribadito all’Angelus: “Riaffermare il diritto dei Libanesi all'integrità e sovranità del loro Paese, il diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana”. Il Papa non entra nelle dinamiche geo-politiche, rilancia l’appello al cessate-il-fuoco, alla creazione di un corridoio umanitario, all’avvio di negoziati. Ma dice qualcosa in più.
Insiste sul registro religioso, come un antico Padre della Chiesa, pur consapevole di andare incontro a prevedibili censure e incomprensioni.

Qualche giorno fa sul “Corriere della Sera” un opinionista opinava sulla solitudine e il distacco del Papa. Curiosi questi esperti che recitano a soggetto: una volta criticano il Papa per le sue “ingerenze” politiche, un’altra per i suoi “silenzi” e le ingerenze mancate. In realtà, impancandosi a critico, non si era accorto che Benedetto XVI seguiva una linea che lo stesso, a buon diritto, potrebbe definire “profetica”, la linea dell’efficacia della preghiera, cui il Papa già aveva fatto cenno al primo Angelus.

Non è un caso che il problema politico-militare nella Regione del Monte Carmelo è posto proprio da una forza politico-militare che si proclama “partito di Dio”: “C’è ancora guerra tra cristiani, musulmani ed ebrei” – ha constatato il Papa, che così rilancia la specificità cristiana e cattolica proprio nel dinamismo per la pace: “Oggi nel mondo multiculturale e multireligioso c’è la tentazione di non parlare della specificità del cristianesimo, ma questo è sbagliato. Proprio in questo momento in cui c’è un grande abuso del nome di Dio, c’è la tentazione di non parlare della specificità del cristianesimo. Ma questo è sbagliato”. 

Proprio di fronte all’abuso del nome di Dio “occorre affermare che la croce vince con l’amore, affermare il volto di Dio che vince e porta luce e riconciliazione nel mondo”. Un atteggiamento profetico, quello del Papa, mite nel tratto, ma che va dritto alla sostanza delle cose e della dinamica della storia: “Alla violenza bisogna rispondere con l’amore che arriva fino alla morte, come quello di Cristo. Questo è il modo umile di vincere di Dio, non con un impero più forte, ma con l’amore che giunge fino alla fine. Questo è il vero modo di mettere fine alla violenza e di vincere il male”.
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[Fonte: SIR 17-23 luglio 2006]


   
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