Una traccia nel cammino
da un
articolo di Henry Siegman, vice presidente dell'American Jewish Congress,
("Christian — Jewish Relations; Still a Way to Go"), in
Judaism, n. 137, 1986, pp. 25-28.
La verità
"finale" che determina l'identità specifica della nostra fede come
Cristiani e come Ebrei, la verità del Calvario e del Sinai, non ci unisce. Ci
divide. È piuttosto, l'imbarazzo e la vergogna per le conseguenze della nostra
comprensione umana di queste verità, il nostro riconoscimento della
sofferenza e della crudeltà commesse in loro nome, che ci ha costretto a
rivedere e ridefinire le nostre teologie, a civilizzare e umanizzare i nostri
dogmi, a liberarci delle demonologie che abbiamo creato sull'altro.
Il fatto è che le norme
dell'umanesimo laico hanno avuto sul nuovo ecumenismo un impatto più profondo
di quanto lo abbiano avuto le nostre norme religiose. Lasciate ai loro
meccanismi interni, le nostre norme religiose producono lo scandalo di un'anima
religiosa così nobile come Bonhoeffer, che trovava una giustificazione
cristiana, nel senso di una punizione, al brutale trattamento che i nazisti
riservavano agli ebrei. Lasciate ai loro meccanismi interni, non avrebbero
potuto produrre un documento del Vaticano II che celebrava la sacralità e
inviolabilità della coscienza individuale.
La questione suprema è
se noi siamo vivi o morti alla sfida e all'attesa del Dio vivente
Non è per le nostre
verità "finali" che abbiamo necessità di dialogare. A parte la loro
incommensurabilità, non sono ciò che ci porta insieme, ciò che ci apre
all'autenticità religiosa dell'altro. Piuttosto come Abraham Joshua Heschel
sottolineava, sono i termini sottostanti queste verità finali che ci uniscono,
cioè se c'è un pathos, una realtà divina preoccupata del destino dell'uomo
che misteriosamente spinge sulla storia. La questione suprema, scrisse Geschel,
è se noi, Cristiani ed Ebrei, siamo vivi o morti alla sfida e all'attesa del
Dio vivente. È la nostra coscienza del fatto che, malgrado il ‘no’ che ci
scambiamo sulla questione della verità finale, ciò che rende possibile il
nostro dialogo è che entrambi rimaniamo responsabili rispetto a Dio e oggetti
della Sua preoccupazione. Se noi siamo tutti preziosi agli occhi di Dio, allora
dobbiamo trovare il coraggio di discutere quegli aspetti della nostra
comprensione umana delle nostre verità finali che diminuiscono questa preziosità.
È un compito ancora disatteso sia dalla cristianità che dall'ebraismo.
Dopo aver citato le
classiche opinioni sul Cristianesimo di Maimonide, Jehuda HaLevì, Jacob Emden,
Siegman scrive:
"Bisogna riconoscere
che queste autorità classiche [*] non riconoscono al Cristianesimo la dignità
religiosa che richiede, o che la stessa fede ebraica richiede. La domanda alla
quale la teologia ebraica ha mancato di rispondere è: data l'interpretazione
ebraica del ruolo di Dio nella storia, può un fenomeno così vasto e universale
come la nascita e la diffusione del cristianesimo — per due millenni e sulla
gran parte del globo — esistere al di fuori della salvezza e provvidenza
divina? È concepibile che le credenze, la fede, la pietà di generazioni che
Gli prestano culto come Cristiani siano una conseguenza del Signore della Storia
solo nella misura in cui non siano incompatibili con la fede di Israele? Pensare
il Cristianesimo come un accidente della storia — per quanto ispirato dal
monoteismo ebraico — è banalizzare il Dio di Israele. Ciò che io suggerisco
è che l'Ebraismo ha mancato di trattare il Cristianesimo con la serietà che la
sua stessa teologia richiede. Quella serietà, quella comprensione del
Cristianesimo come agente di Dio nella storia non compromette il mistero
dell'elezione di Israele: la concezione ebraica dell'infinito amore di Dio è
compatibile con molte scelte, vale per molti obiettivi. Né comporta un giudizio
negativo per il rifiuto ebraico della divinità del messia cristiano.
Per quanto importante sia
il progresso che abbiamo fatto, il dialogo ebraico-cristiano è ancora in età
infantile. Ma la sua direzione storica e la sua inesorabilità non sono più in
alcun modo in dubbio".
[*]
Analoghi fraintendimenti o giudizi sommari, in campo cristiano, possono
riconoscersi nelle opinioni di Origene ed altri... (n.d.r.)
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