L'invettiva iraniana
e l'attacco dei kamikaze. Un nesso tra le
atrocità del terrorismo di matrice islamica in Iraq e la condanna a
morte annunciata dalla teocrazia islamica iraniana nei confronti di
Israele.
C'è
un nesso tra le atrocità del terrorismo di matrice
islamica in Iraq e la condanna a morte annunciata dalla teocrazia
islamica iraniana nei confronti di Israele.
Ma c'è anche un nesso con le minacce a «tutti i sionisti
italiani» che domani manifesteranno a Roma contro il presidente
Ahmadinejad. È l'ideologia dello scontro, della violenza, della
morte. Ieri a Kirkuk, secondo le testimonianze, avrebbe fatto il
suo esordio il baby-kamikaze, l'incarnazione del livello più
infimo e abietto di una mostruosa strategia terroristica che non
ha avuto remore nel plagiare l'innocenza di un bambino per
trasformarlo in robot della morte.
Qualcuno avrà la scelleratezza di esaltarlo come «il più
giovane martire dell'islam», di celebrare l'ascesa dei brandelli
di corpo deflagrato nel Paradiso di Allah. Ma per gli iracheni
vittime di una spietata carneficina, per tutti coloro che hanno a
cuore il valore della sacralità della vita, suona come il monito
più severo per riscattarsi dall'oscurantismo nichilista che
disconosce il valore della vita propria e altrui.
«L'attacco
terroristico che usa i bambini per sterminare la civiltà
irachena viaggia sulla stessa linea di chi vuole distruggere
Israele. Si tratta di un'ideologia nazista che tenta di soffocare
il diritto alla vita di tutti», afferma lo scrittore
italo-iracheno Younis Tawfik, autore di L'Iraq di Saddam e che sta
per pubblicare il romanzo Il profugo. Anche Wadih Said, presidente
dell'Associazione iracheni in Italia, è convinto del diritto di
Israele all'esistenza «e sono certo che la maggioranza degli
iracheni in Italia è d'accordo».
Il paragone con il nazismo riaffiora nella condanna di un gruppo
di italo-iraniani che considera l'invettiva di Ahmadinejad contro
Israele «del tutto estranea alla storia e alle tradizioni di un
Paese che vanta secoli di convivenza con la sua popolazione di
fede ebraica». «Sostenere il diritto dei palestinesi a un loro
Stato indipendente», si sottolinea, «non può e non deve mettere
in discussione il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele. La
strada del dialogo e della pace non passa per Auschwitz». Tra i
firmatari della condanna, Ahmad Rafat (giornalista), Babak Payami
(regista), Ghahreman Divanbeighi (presidente Centro culturale
Iran-Italia), Farian Sabahi (giornalista). Un altro gruppo, il «Fronte
degli studenti e dei laureati democratici iraniani d'Italia»,
annuncia che domani parteciperà alla manifestazione a Roma: «L'Iran
non è quello di Ahmadinejad», sostiene il responsabile Ali
Karbalai (agronomo), «Noi siamo pacifici, Israele ha il diritto
di esistere, i problemi vanno risolti al tavolo delle trattative
con i palestinesi, diciamo no al nuovo Hitler».
Denuncia
netta anche da parte di Afifi Dessouki, italo-egiziano,
consigliere comunale a San Mauro Torinese: «Questi leader
iraniani sono degli esagitati, dei pazzi che nuocciono all'
interesse dei palestinesi e dei musulmani. Aderisco alla
manifestazione per il diritto all'esistenza di Israele ispirato
dal buon senso e dal pragmatismo».
Un altro italo-egiziano, Abdel Aziz Tork, titolare di un
ristorante a Milano, la pensa allo stesso modo: «Tra i miei
clienti ci sono tanti ebrei e per me sono persone come le altre.
Sono contrario al fanatismo. Come arabi e musulmani dobbiamo
mostrare un volto civile e rispettare il diritto alla vita di
tutti».
Bene. Nuove voci si elevano in seno alla maggioranza silenziosa
dei musulmani d'Italia. Non solo per dire no al terrorismo e al
fanatismo. Ma per sostanziare la condanna con la prova più
veritiera che, oggi più che mai, è la denuncia di quanti
disconoscono il diritto di Israele all'esistenza. Finalmente si
comprende che la difesa del diritto alla vita di tutti è la sola
garanzia affinché venga rispettata anche la propria vita. Per
questo i musulmani che domani manifesteranno a Roma lo faranno per
Israele, per se stessi, per tutti.
Nelle condanne riaffiora il paragone con il nazismo