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Intervista a Suor Lucy Thorson, responsabile del SIDIC [1], Centro internazionale per i rapporti ebraico-cristiani Incontriamo Suor Lucy Thorson nei locali del SIDIC, in stanze piene di libri e pubblicazioni di un vecchio palazzo nel cuore di Roma. Suor Lucy è canadese e da molti anni è responsabile di questo Centro nato dallo spirito del Concilio, come spiega le stessa:«Il nostro impegno è quello di aiutare i cristiani nella Chiesa a capire i rapporti con l'ebraismo e a conoscere le radici della nostra fede nella confessione ebraica. Per questo abbiamo fondato questo Centro, in Via del Plebiscito 112, dove siamo dagli anni '70. Da qualche mese abbiamo trasferito la documentazione presso l'Università Gregoriana per mettere le fonti a disposizione degli studenti. Gli incontri e le conferenze già organizzate in quella sede hanno avuto un buon interesse con l'intervento di esperti e rabbini per conoscere meglio le scritture sacre. Il 17 Gennaio è stata celebrata la giornata sull'ebraismo con una speciale visita alla Sinagoga di Roma e vivere così un'esperienza diretta di dialogo. Perché il dialogo significa conoscere ed imparare ad apprezzare l'altro». Perché gli ebrei sono così vicini e così lontani? «Siamo vicini per tante ragioni. Le nostre radici sono nel Vecchio Testamento. Nello stesso tempo la Persona di Gesù è l'anello di congiunzione e di separazione dal popolo ebraico: questo è un mistero di Dio. Bisogna anche dire che per tanti anni l'insegnamento della Chiesa ha dimenticato le radici della nostra fede e non ha aiutato il dialogo. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto questi sbagli e abbiamo ancora tanto da fare per il dialogo, perché sono convinta che il dialogo deve ricominciare con ogni generazione». Suor Lucy, prima di venire a Roma ha trascorso 18 anni a Gerusalemme. Come ha vissuto questa particolare vocazione al dialogo tra ebrei e cristiani? «Il dialogo è lo scopo primario di questa Congregazione e io ho sentito dentro di me la chiamata di essere aperta agli altri, diversi da me. Con le Suore di Nostra Signora di Sion ho conosciuto persone con esperienze di vita col popolo ebraico. Ho vissuto i miei primi anni da religiosa a Gerusalemme e lì ho studiato la fonti ebraiche e ho fatto esperienza profonda di convivenza col mondo ebraico, anzi con le tre culture, cristiana, ebraica e musulmana. Penso che nella città di Dio, bisogna dare testimonianza costante della fiducia nella pace perché nel cuore della maggioranza della gente, indipendentemente dalla religione e dalla razza, c'è il desiderio di vivere insieme in pace. Credo che dobbiamo lavorare con la logica dei piccoli passi a partire dall'educazione dei giovani, con i più piccoli, aiutandoli a conoscere l'altro a rispettare il diverso. Conoscere per rispettare è importante. L'impegno della mia Congregazione è al servizio dell'educazione: a Gerusalemme, come in Egitto, in Turchia, in Tunisia e in altri Paesi siamo presenti in 23 nazioni), abbiamo avuto scuole dove i bambini musulmani, cristiani ed ebrei studiavano, facevano gite e giocavano insieme. Crescendo in molti di loro è rimasta una sensibilità più forte nei rapporti con gli altri, non solo a livello quotidiano, ma anche politico ed economico. L'educazione può veramente aiutare a cambiare mentalità, a non avere pregiudizi e chiusure verso esseri umani di confessioni religiose differenti. Ora abbiamo 4 comunità con circa 20 suore a Gerusalemme: una in contesto musulmano, le altre nella zone dei cristiani palestinesi e in quella ebrea. È per noi una importante esperienza di riconciliazione, cosa che comporta delle sfide e dei frutti. Ora non abbiamo più le scuole per mancanza di personale ma un centro di studi biblici e comunità di accoglienza per i pellegrini. Una nostra suora è insegnante all'Università di Betlemme dove tiene dei corsi per i seminaristi sulle feste ebraiche. Il suo è un impegno molto rischioso dati i posti di blocco e i rischi delle strade, ma veramente straordinario». Questa attitudine di molti cattolici, come lei, al dialogo come viene vista da parte ebraica? «Secondo la mia esperienza questa esigenza è comune. Anche se è chiaro che non tutti i cristiani sono interessati al dialogo e altrettanto gli ebrei. È importante anche ricordare che la storia di ciascun popolo è differente, molto differente. Noi cristiani abbiamo avuto degli insegnamenti negativi circa le persecuzioni, la shoàh, l'olocausto e quest'atteggiamento ha avuto un radicale cambiamento solo dopo l'ultima guerra mondiale e in particolare con il Vaticano II. Anche per il popolo ebraico accettare questo cambiamento non è stato facile, accettare questo nuovo atteggiamento. Per noi cristiani conoscere l'ebraismo non è un lusso ma una necessità. E anche da parte degli ebrei c'è questo interesse a confrontarsi e a collaborare con i cristiani su grandi progetti di pace e su tante iniziative anche locali. Un esempio di dialogo è la comunità di Nevè Shalom (Oasi di Pace) a Gerusalemme, dove vivono oggi più di 40 famiglie ebree, cristiane e musulmane. Fin dal 1975, l'esperienza della convivenza è stata un segno di pace e speranza sia durante i conflitti passati, sia nelle tensioni attuali. Oggi il villaggio ospita la seconda generazione di una grande utopia che ha dimostrato il suo valore profondo in mezzo a tanti eventi drammatici. I giovani hanno la loro "scuola di pace" che non ha mai smesso di funzionare, né durante la prima e la seconda intifada, né durante la guerra del Golfo. Così si sono seduti accanto adolescenti con esperienze molto diverse, con tante sofferenze e lutti, ma hanno cercato di conoscere l'altro, a volte anche solo per un'esperienza di pochi giorni. E non è stato sempre facile: a volte sono stati presenti anche esperti e psicologi per aiutare i giovani ad esprimersi».
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