1. Complessità della problematica
Il tema tocca il periodo affascinante degli inizi della Chiesa. È noto al vasto pubblico, anche non familiare con la
conoscenza del cristianesimo primitivo, che le origini della Chiesa si radicano in Palestina, a Gerusalemme, in Giudea e
Samaria. Fu questo il primo campo
dell'attività missionaria degli apostoli e dei discèpoli del Signore. Ma con Barnaba e Paolo, per citare i nomi più noti dei missionari delle genti, il movimento cristiano oltrepassa i confini di quella piccola provincia
romana, che era la Palestina, raggiungendo altre comunità giudaiche prima e poi le popolazioni pagane dell' Asia Minore e
dell'Europa. L'incontro tra il messaggio cristiano e le varie culture tribali, provinciali ed imperiali, coinvolge
necessariamente anche il ricco bagaglio religioso e culturale proprio di questi primi missionari, tutti provenienti dal ceppo giudaico. La buona novella di Cristo viene comunicata tramite
l'involucro delle convinzioni religiose, rituali e giuridiche originate nell' AT e sviluppate nella tradizione giudaica. In tale senso consideriamo per scontato il rivestimento e il colore giudaico del primo movimento missionario cristiano.
Come risulta dagli Atti degli Apostoli e dalle
Lettere di S. Paolo, ben presto alcuni di questi fattori, specie se rituali,
vengono abbandonati o modificati; ciò però non impedisce che il rivestimento
fondamentale giudaico continui a costituire la nota esteriore caratteristica
dell'annuncio cristiano nei primi decenni dopo la Risurrezione. Un esempio
evidente ci viene offerto negli Atti da Paolo. Decisamente opposto alla Legge
alla quale non attribuisce più il ruolo di sacramento della salvezza, si
comporta come un Giudeo praticante il culto e i costumi della religione mosaica.
Continua a frequentare il tempio e la sinagoga, scioglie un voto nel tempio di
Gerusalemme, fa circoncidere il suo collaboratore Timoteo,1 e raccomanda ai
cristiani l'osservanza delle norme dei cibi puri e impuri per non scandalizzare
i fratelli.2 Senza rischio di errare, si può affermare che questo
atteggiamento di Paolo fu normale e caratteristico dei cristiani di ceppo
giudaico almeno fino all'anno 70, cioè fino alla distruzione del tempio. Datazione questa che resta come punto di riferimento valido,
anche se in grado
diverso, per la vicenda storica sia dei Giudei rimasti fedeli alla tradizione
mosaica, sia di quelli che hanno creduto in Gesù come Messia. È noto che il
primo capo della comunità di Gerusalemme, Giacomo il Minore, era da tutti
considerato un saddiq, un fedele osservante della Legge.3
1.1. Chi sono i «giudeocristiani»
Per questo primo periodo, cioè fino all'anno 70, la
maggior parte degli studiosi è d'accordo circa la coloritura giudaica del
cristianesimo sia di Palestina che di fuori della Palestina. È il periodo successivo, cioè gli anni tra il 70 e il
350 circa, che divide gli studiosi, dai biblisti ai patrologi, dagli archeologi agli storici, circa il persistere del
giudeo-cristianesimo. Le
domande che si pongono sono di vario tipo. Ha la Chiesa di Palestina conservato
in detti quattro secoli la sua fisionomia specifica, segnata dalla
"cultura" giudaica? Ci sono degli elementi, che autorizzano a
qualificare il cristianesimo di Palestina come "giudaico"? Nel caso
affermativo, come si distinguono le comunità cristiane "giudaiche" di
Palestina da quelle della Grande Chiesa presenti sia in Palestina che nel resto
dell'impero romano? È doveroso rispondere, sia pur brevemente, a queste domande
per delimitare con più chiarezza il campo della nostra indagine.
Cominciamo dalla seconda domanda. La definizione
genetica, che qualifica come "giudeocristiani" i cristiani nati Ebrei,
costituisce un primo punto fermo valido. All'identità etnica sono
necessariamente legate le peculiarità della lingua, della mentalità e della
cultura, tutti tratti distintivi anche nel giudaismo. In questo senso abbiamo
inteso come "giudaiche" le comunità cristiane di Gerusalemme della
prima generazione post-apostolica sopra menzionate. Ma il passaggio da tale
definizione genetica a quella proposta da J. Danielou,4 che indica come
"giudeo-cristianesimo" ogni espressione ed ogni contenuto del pensiero
dei cristiani di origine giudaica, appare forzato e rischia di etichettare
come "giudeocristiana" tutta la teologia cristiana.5
Nell'ulteriore
ricerca dell'identità del movimento si sono espressi: B.J. Malina con la
distinzione tra il giudaismo, il giudaismo cristiano e il cristianesimo
giudaico;6 S.K. Riegel con la distinzione tra il
"giudeo-cristianesimo", il "cristianesimo ebraico" e il
"cristianesimo giudaico";7 G. Strecker con una definizione basata su
un' autotestimonianza del giudeocristianesimo presente in una fonte delle Pseudoclementine.8
Recentemente
S. Mimouni ha proposto una sua definizione, precisando che
"giudeo-cristianesimo antico" è denominazione recente. Essa
designerebbe l'insieme degli Ebrei che hanno accolto Gesù come Messia,
accettandone o non accettandone la divinità, e osservando, nella pratica
religiosa, la Legge. Le caratteristiche specifiche dovrebbero risiedere nel
fatto di aver accolto Gesù come Messia, e di aver conservato l'osservanza della
Legge. Siccome poi non tutti coloro che avevano riconosciuto Gesù come Messia
hanno accettato la sua figliolanza divina, si deve distinguere tra i
giudeocristiani "ortodossi", cioè quelli che riconoscono in Gesù il
Figlio di Dio, e quelli "eterodossi" che invece non lo riconoscono.9
Accettiamo
questa definizione, intendendo però il concetto di "osservanza della
Legge" come la conservazione delle categorie giudaiche nella teologia e
del comportamento religioso e sociale giudaico, il quale comportamento non è
però da identificare con la stretta osservanza legale e cultuale giudaica.10 Secondo questa accezione i "giudeocristiani"
sarebbero quei
cristiani di origine giudaica che hanno riconosciuto Gesù di Nazaret come
Messia, accettando o no la sua figliolanza divina, e che hanno conservato la
struttura giudaica nella teologia e il comportamento religioso e sociale
giudaico.
1.2. "Giudeocristiani" presenti in Palestina dopo l'anno 70?
Affrontiamo ora la prima domanda, e cioè: si può affermare
che la Chiesa di Palestina abbia conservato fino al IV secolo, almeno in una
parte, la sua fisionomia specifica, fortemente contrassegnata da elementi
distintivi "giudaici"? Una risposta parziale ci viene data dalle
testimonianze dei Padri. Essi conoscono, ancora nel tempo di Epifanio e di
Girolamo, varie sette "giudaiche" in seno al cristianesimo
palestinese;11 inoltre fanno riferimento ad alcune (a dir vero poche!) località
in cui vivevano ancora all'inizio del V sec. dei giudeocristiani eretici. Va da
sé, però, che questi ultimi non rappresentavano il cristianesimo palestinese di
carattere giudaico e pertanto che le sette come tali non possono costituire una
testimonianza esauriente circa I' eventuale presenza di giudeocristiani in
Palestina, intesi nel senso precisato sopra. Dobbiamo ulteriormente chiederci
se i cristiani "ortodossi" di questa provincia romana, in stragrande
maggioranza di origine ebraica, pur credendo in Cristo come Figlio di Dio,
abbiano effettivamente conservato le tradizioni e la cultura
"giudaica" anche dopo il 70, almeno fino all'avvento dell'impero romano
d'oriente. Raggiungiamo così l'ultima domanda che riguarda la possibilità di
costatare e precisare le differenze distintive dei cristiani "giudei"
rispetto agli altri cristiani di origine e cultura greco-romana. Ambedue
queste domande vanno intese come complementari tra loro. In altre parole: è
possibile ricavare dalla letteratura cristiana del tempo e dalle ricerche in
campo archeologico dati di carattere storico relativi alle domande formulate
sopra?
Va detto subito che a tutt'oggi manca tra gli studiosi
l'accordo circa la presenza, intesa nel senso specificato sopra, di "giudeocristiani"
in Palestina dopo la dispersione degli Ebrei avvenuta nel 135 d.C. La scuola
francese dei PP. Domenicani di Gerusalemme, p.es., rifiuta tale ipotesi,
ritenendola non suffragata da alcuna testimonianza archeologica o epigrafica. Al
contrario, la scuola biblica dei PP. Francescani della Flagellazione
(Gerusalemme) dà per scontata la presenza di giudeocristiani in Palestina,
adducendone numerosissime prove sia in campo archeologico, che in quello
letterario.12
Si può affermare che l'ipotesi a favore si fa sempre più
strada tra i biblisti e gli archeologi, anche se non mancano strenui oppositori,
come per esempio J.E. Taylor con il suo recente libro del titolo significativo: Cristiani
e i luoghi santi. Il mito delle origini giudeo-cristiane.13 Ma anche per chi
accetta la presenza di giudeocristiani in Palestina durante tutti i primi
quattro secoli rimane il problema della loro "identificazione". Si può
infatti solo supporre che la maggior parte di essi fossero ortodossi quanto alla dottrina cristiana, ma, conservando
le categorie teologiche proprie del giudaismo intertestamentario, siano rimasti
per lungo tempo fedeli anche alle tradizioni religiose giudaiche. Non si può
specificare di più. Non è possibile cioè precisare se essi furono dei
cristiani giudaizzanti, dei giudei cristianizzati, o dei cristiani sintonizzati
con la dottrina della grande Chiesa, ma intaccata da elementi giudaici. Su
questi punti possiamo costatare solamente la complessità della problematica
che è lungi dall'essere risolta. Non è nostro compito qui proporre delle
soluzioni. Vorremmo solo soffermarci su alcuni dati di tipo archeologico e
letterario apocrifo, che potrebbero forse meglio illuminare l'ipotesi della
presenza, nella Palestina romana, di cristiani "giudei", in qualche
modo differenziati dal cristianesimo della Grande Chiesa.
2. Letteratura apocrifa di coloritura "giudeocristiana"
I testi apocrifi del NT, cioè gli scritti non accettati nel
canone della Chiesa, alcuni noti da tempo, altri scoperti recentemente, ed
altri ancora da scoprire, sono numerosissimi e spesso sfuggono ad ogni tentativo
di sistematizzazione. Non è possibile passarli qui in rassegna uno ad uno, ma
di quasi tutti si può dire che hanno in comune la tendenza a raccontare episodi della vita di Gesù e delle persone a Lui vicine,
integrando così i dati
degli scritti canonici. Per uno sguardo d'insieme possiamo raggrupparli in 4
categorie: a) racconti riguardanti l'infanzia di Gesù e la sua famiglia, b)
episodi della vita di Gesù, della sua passione e risurrezione, riuniti sotto il
titolo di "vangeli" o di "atti", c) racconti della
dormizione della Madonna, chiamati Transitus Mariae, d) scritti
apocrifi di maestri della Legge diventati cristiani, come Stefano, Gamaliele,
Nicodemo, Giuseppe di Arimatea.
2.1. Tratti" giudeocristiani " della
letteratura apocrifa del NT
Le affinità con l'ambiente giudeocristiano possono
essere stabilite dall' esame del linguaggio e dei temi caratteristici del
giudaismo intratestamentario. L' appartenenza a questo ambiente può essere
pure confermata per quegli scritti che esaltano personaggi del Giudaismo o
riportano usanze conformi alla Legge mosaica.
I racconti relativi alla nascita e all'infanzia di Gesù
e a quella di Maria, alla vita e alla morte di Giuseppe evidenziano
caratteristiche giudaiche. Perciò è lecito affermare che alcuni di questi
racconti riflettono la tradizione conservatasi nell'ambiente della famiglia di
Gesù. È vero che la mescolanza con materiale leggendario e fiabesco, oltre che con materiale di carattere gnostico, rende difficile la verifica del
loro sfondo storico. Il fatto però che la Grande Chiesa, pur rigettandoli, ne
abbia conservato vari elementi nella liturgia e nella pietà (per esempio le antiche
feste mariane a Gerusalemme ispirate al Protovangelo di Giacomo) indica
senza ombra di dubbio un dato importante per la nostra questione, cioè che essi
avevano in se la garanzia di autenticità tramandata da coloro che li avevano
ereditati sin dall'inizio, cioè dai cristiani di ceppo giudaico.
Lo stesso vale per il gruppo dei Vangeli e degli Atti
apocrifi, tra cui alcuni sono certamente di origine giudaica, come per esempio il Vangelo
degli Ebrei, scritto in aramaico, o il Vangelo chiamato degli Ebioniti, cioè
di cristiani ebrei eterodossi, o ancora il Vangelo dei Nazareni o Nazorei,
usato dalle comunità più ortodosse. Altri Vangeli, e particolarmente gli
Atti di vari Apostoli, sono di chiaro stampo eretico, come gli Atti di Andrea,
Giovanni e Paolo che circolavano tra i manichei, o il Vangelo di Tommaso, testo
gnostico ritrovato tra gli scritti copti, così che non possono dar prova se sono
stati scritti nell'ambiente delle tradizioni giudeo-cristiane, oppure se fatti
a posta per legittimare le eresie.
2.2. La tradizione giudeocristiana nel Vangelo apocrifo di
Giovanni
Studi recenti permettono di affermare con più
certezza che alcuni di questi apocrifi, come per esempio il Vangelo di Pietro, le
Ricognizioni Clementine, l'apocrifo detto Vangelo di Giovanni, risalgono
al II sec.,14 e costituiscono una preziosa eredità mistico-religiosa della
Chiesa di Siria, in questo periodo compOSta in buona parte da cristiani di
estrazione ebraica, prevalentemente mesopotamica. In particolare il vangelo
apocrifo di Giovanni, l'unico tra i vangeli apocrifi o meno che traccia la
missione di Gesù dalla nascita alla predicazione degli apoStoli, oggi
conosciuto nella versione etiopica ed araba, a giudizio di L. Moraldi,
dimostra «una nuova conoscenza dell' Antico Testamento, lo sente in modo
sottile e profondo e ne addita in Gesù non solo la chiave, ma l'avvio al
compimento delle sue linee portanti».15 Esso inizia con la creazione del mondo,
il primo peccato e l' espulsione dal paradiso, per poi passare quasi subito
all'elezione di Maria, «santa e doppiamente vergine ». Con Maria Dio fa il
SUo ingresso nel mondo; sulla via della Passione-Morte-Risurrezione di Gesù va
segnato in maniera definitiva il trapasso dall'Antico al NUoVo Testamento. «La
linea seguita in questo vangelo: per quanto riguarda l' AT», afferma ancora
Moraldi, «è vicina al vangelo di Matteo, ma più estesa, approfondita e
sottile ».16 In questo vangelo Gesù è stretto, anche sulla croce, dai resti
simbolici dell' Antico Testamento: il legno dell'arca e la tunica di Aronne.
Il vangelo apocrifo di Giovanni è una preziosa testimonianza del
giudeo-Cristianesimo che tramanda uno schema assolutamente nuovo di
predicazione evangelica, cioè lo schema che va dalla creazione dell'universo fino ai primi protagonisti dell'evangelizzazione cristiana. Il quadro del vangelo coglie alcuni
eventi dell' AT e dà l'avvio all'ingresso di Maria nella storia della salvezza.
2.3. L 'ambiente giudeocristiano dell'apocrifo «Transitus Mariae»
L'accenno a Maria nell'apocrifo di Giovanni apre una nuova
problematica particolarmente interessante, quella del ruolo della Madre di
Cristo nella letteratura attribuibile all'ambiente giudeocristiano. Il
racconto degli ultimi giorni della vita di Maria, della sua dormizione morte e
dell'assunzione al cielo, ha trovato un'accoglienza tutta particolare nella
letteratura cristiana di edificazione. Oggi conosciamo ben 67 apocrifi che
hanno a tema il racconto, chiamato Transitus Mariae. Essi hanno avuto uno
straordinario successo di diffusione in varie recensioni nelle chiese di Oriente
e di Occidente. Gli studi sull'apocrifo della Dormizione hanno raggiunto una
nuova svolta con la monografia di F. Manns dedicata allo studio
storico-letterario del manoscritto greco della Biblioteca Vaticana.17 L' autore
adduce prove convincenti, a livello sia linguistico che contenutistico, per la
sua datazione tra il II e IV sec., sicuramente prima del concilio di Nicea. L'
ambiente di origine dell'apocrifo è da cercare in Palestina, nelle comunità
vicine all'insegnamento dell'apostolo Giovanni, di cultura e mentalità
giudaica.18 Ma Manns distingue tra la data d'origine del racconto e la
tradizione che ne ha veicolato il contenuto a livello orale: questa risalirebbe
certamente a un periodo più remoto. L' apocrifo fa uso dei simboli legati alla
festa delle Capanne (succot) e presenta Maria come una donna che
osserva le prescrizioni della Legge: ad es. fa il bagno rituale in una miqueh
(ambiente per i bagni rituali prescritti per le varie circostanze) nella vigilia della festa. Il
linguaggio teologico dell'apocrifo, che è quello della comunità giovannea,
risulta molto vicino alla Bibbia e all'ermeneutica dei midrashim. Il racconto
dell'assunzione di Maria al cielo segue da vicino lo schema assunzionista comune
agli apocrifi dell' AT come la Vita di Adamo e di Eva, il Testamento
di Abramo e il Testamento di Giobbe. Tutto questo farebbe pensare
all'apocrifo della Dormizione di Maria come a un Testamento ispirato a Gv
19,27. L'ambiente delle «comunità giovannee in Palestina», conclude Manns,
«ha conservato un vivo interesse per la sorte finale di Maria, fino a metterne
per iscritto il racconto, approfondendo le Scritture alla maniera dei midrashim
e ricorrendo a motivi apocalittici propri della letteratura giudaica».19
Queste conclusioni sono importanti in quanto rimettono
in questione la tradizionale definizione degli apocrifi, e in quanto aprono il
discorso sulla tradizione cristiana orale coltivata negli ambienti giudaici.
Infatti, è proprio sulla base del racconto della Dormizione che si dovrebbe
ridefinire la categoria "apocrifo". Il termine non va cioè inteso
come il contrario di "canonico", bensì come un'espressione letteraria
diversa da quella "canonica", spesso complementare a quella e appartenente agli ambienti cristiani ortodossi. Questi scritti, intaccati ben presto da
errori dottrinali, sono stati poi esclusi, in tempi successivi, dalla
letteratura religiosa della Grande Chiesa.
Per quanto riguarda l'apocrifo in questione, esso
sarebbe da attribuire a cristiani provenienti dalla sinagoga, ed esprimerebbe,
con il ricorso a categorie e generi letterari giudaici, un' antica tradizione
delle comunità cristiane di Gerusalemme, che avevano una venerazione
particolare per Maria, celebravano la sua Dormizione e conservavano il ricordo
della sua tomba.
Si può allora affermare che l'apocrifo ci trasmette dei
ricordi autentici sulla fine della vita di Maria a Gerusalemme? È difficile
poterlo dimostrare in un racconto midrashico, dove possono sì esistere dati storici autentici, ma essi essendo
subordinati, in questo tipo di narrazione, alla finalità didattica, non si
lasciano punto individuare con certezza. Resta però il fatto che alcuni dati,
estrapolati dall'involucro narrativo-Ieggendario, hanno trovato curiosamente
conferma, anche se non in senso assoluto, nelle ricerche archeologiche. Così H.
Hagatti, studiando la disposizione e la struttura della tomba di Maria a
Gerusalemme, vi ha trovato gli elementi raccontati nell'apocrifo?O Da parte sua,
l'archeologo benedettino H. Pixner, scavando sotto la chiesa della Dormizione,
che conserva il ricordo della casa dove abitava Maria, ha trovato sotto il
tempio i resti di una povera casa giudaica del I sec., con una piccola vasca da
bagno per le abluzioni rituali. Identificando questi resti con la casa di Maria,
egli vi vede la conferma dell'apocrifo che parla del bagno rituale che Maria
aveva fatto nella sua casa alla vigilia della festa delle Capanne 21
Ovviamente, le interpretazioni dei dati accostati in
questo modo sono rischiose, in quanto non oggettivamente controllabili, ma
esse pongono la domanda circa il valore storico della tradizione orale
conservata nelle comunità cristiane giudaiche e sottostante al materiale
apocrifo.
H. Pixner difende in varie pubblicazioni la tesi
dell'esistenza di un'haggadah, cioè di un'interpretazione giudaica delle
Scritture, di carattere cristiano, che provava, sulla base scritturistica, il
compimento delle promesse veterotestamentarie nella persona di Gesù, il
Messia. Questa haggadah avrebbe avuto all'origine i fatti della vita di
Gesù conservati da Maria stessa e dai suoi parenti, e sarebbe stata tramandata
nell'ambiente del gruppo familiare di Gesù, abitante a Gerusalemme.22
Alcuni elementi dell' haggadah della famiglia del Salvatore avrebbero trovato posto nei vangeli canonici di
Matteo e di Luca; altri invece finirono nei vari racconti apocrifi. A conferma
di questo vi sarebbe il fatto che il Transitus Mariae, pur escluso dal
canone, è stato tenuto nella Chiesa sempre in grande considerazione sia per lo
sviluppo dei dogmi, che per la liturgia e per l'iconografia.
2.4. I «testimonia» giudeocristiani sulla nascita verginale di Gesù
Nella stessa linea sembra muoversi E. Norelli, che
in un recente studio. sull'apocrifo cristiano Ascensione d'lsaia individua alcuni dati provenienti dalle antiche tradizioni della vita di
Gesù,
tradizioni alle quali sono debitori anche i vangeli canonici di Matteo e di
Luca.23 A giudizio di Norelli queste tradizioni conservavano e veicolavano,
nelle prime comunità cristiane, materiali di origine e di orientamento
teologico diversi, riguardanti la nascita, la missione e l'insegnamento di Gesù.
Il racconto della concezione e della nascita verginale di Gesù presente nell' Ascensione
di Isaia non dipenderebbe dal Vangelo di Matteo, come comunemente si
afferma, ma da un racconto più antico, che sarebbe servito come fonte sia per
Matteo che per l'autore dell'apocrifo.24
Studiando queste tradizioni, presenti anche in altri
apocrifi, ad es. gli Atti di Pietro e Simone, Norelli dimostra come i
vari testi sviluppino la stessa dottrina sotto diversi punti di vista,
adoperando a tale scopo tutta una serie di citazioni della letteratura giudaica.
Ad es., per il racconto della nascita verginale di Gesù, Matteo fa uso di una
sola citazione (Is 7, 14 ), l' Ascensione d'lsaia ne sfrutta tre,
gli Atti di Pietro e Simone ricorrono a ben undici citazioni, di cui
sette dai libri canonici dell' AT e quattro da testi apocrifi sconosciuti. Di
qui la conclusione che già nel I sec. dovesse esistere una raccolta di
profezie sia canoniche sia apocrife relative alla nascita di GesÙ da Unii
vergine. Questa raccolta avrebbe veicolato l'insegnamento sulla concezione e
nascita verginale di Gesù in modo indipendente dai racconti di Matteo e di
Luca, i soli più tardi diventati canonici 25 La raccolta di Testimonia per
la cristologia da parte dei cristiani delle primissime comunità di
Gerusalemme sarebbe parallela, come genere letterario, all'haggadah cristiana
dell'ambiente della famiglia di Gesù supposta da B. Pixner.
2.5. La tradizione giudeocristiana del racconto apocrifo della passione di S.
Stefano
A conferma di queste considerazioni si aggiungono
ora altri dati provenienti dai racconti apocrifi attribuiti o relativi ai grandi
maestri d'Israele diventati cristiani. Come si è accennato sopra, vi sono
alcuni scritti sorti in ambiente giudeocristiano, che riguardano i grandi
rabbini d'Israele: Gamaliele, Nicodemo, Giuseppe di Arimatea, ed anche il
diacono Stefano, il protomartire della Chiesa di Gerusalemme. In alcuni
racconti del suo martirio, Stefano è chiamato esplicitamente «uomo saggio e
istruito, membro del Sinedrio».
Nel quadro dell'ampia ricerca che stiamo facendo sulla
tradizione della morte, della sepoltura e del ritrovamento del corpo del santo
Protomartire, abbiamo potuto analizzare anche il testo apocrifo della sua
Passione conservato in due manoscritti greci, ancora inediti, della Biblioteca
Ambrosiana di Milano e della Reale Biblioteca dell'Escorial di Madrid. I due
codici risultano essere recensioni diverse di una fonte comune, scritta o
orale.26 Confrontandoli con altre recensioni non greche, già conosciute, siamo
giunti alla conclusione che il testo dell' Ambrosiana è una rielaborazione posteriore
della versione più antica rappresentata dal testo dell' Escorial.
Prescindendo dal confluire di alcuni dati storici
molto antichi, di materiali dottrinali, di alcune allusioni di carattere
gnostico e di ricco materiale leggendario nella versione più antica, si nota il
carattere composito del racconto. I frammenti in origine indipendenti, ma
coagulati in un solo racconto, contengono alcuni elementi in comune, tra cui: la
dottrina cristologica di Stefano, il suo discorso sulla nascita verginale di
Gesù, il materiale anti-paolino e la tradizione di Pilato. I tratti spiccatamente
giudaici appaiono con chiarezza nel codice con il testo più antico. Il discorso
di Stefano sulla nascita verginale di Gesù si avvale di sei citazioni
considerate prese "da Profeti, Giudici e Salmi". Tra queste, tre
provengono dai testi canonici, mentre altre tre appartengono a fonti
sconosciute: un libro della Seconda Legge (deuteronomion «lasciato a noi» dice l'apocrifo), un libro di Natan e un libro di
Baruc, diverso dagli scritti
di Baruc, canonici o no, a noi noti. Una delle citazioni da fonte sconosciuta
è vicina tematicamente a quelle studiate da Norelli. Abbiamo quindi un'altra
prova delle testimonianze bibliche e pseudo-bibliche a favore della nascita
verginale di Gesù, facenti parte della raccolta in circolazione negli ambienti
giudeocristiani. Può darsi che la precisazione dell' apocrifo «il libro
lasciato a noi» si riferisca a questa raccolta di citazioni-testimonia.
I testimonia del nostro apocrifo contengono
un'altra preziosa informazione, l'unica di questo genere, e cioè la citazione di Sal 132,8 a prova della nascita dalla vergine. Nella citazione
del Salmo, Sorgi, Signore, Tu e l'arca della tua santità!, l'espressione
"l'arca della tua santità" viene riferita alla Madre di Cristo.
Avremmo per la prima volta un riferimento esplicito dell'arca dell'alleanza a
Maria, riferimento presente solo implicitamente, secondo l'opinione dei biblisti,
in Lc 1,39ss e in Gv 1,12-14. 27
Quale potrebbe essere la data d'origine
dell'apocrifo della passione di S. Stefano? Alcuni dettagli
storici, come p.es. la menzione della «celebre città di Tiberiade», diventata
appunto celebre nel II sec. d.C. come sede del sinedrio, o la curiosa
citazione di Gen 3,28 come prova biblica della verginità di Maria,
attestata anche da Tertulliano, o ancora l' appellativo di «seduttore"
dato dai Giudei a Gesù, presente in alcuni apocrifi cristiani ma soprattutto
nel Testamento di Levi e nel dialogo di Giustino con Trifone,28
sembrerebbero far convergere sul II sec. Per prudenza tuttavia possiamo ampliare
la datazione ai secoli II-III, ma non oltre, perché nella cristologia del
discorso di Stefano mancano ancora alcuni articoli di fede formulati dal
concilio di Nicea.
Vi sono però chiari
indizi per sostenere che dietro il racconto scritto doveva esserci una
tradizione orale, la cui origine va ricercata nel I sec. Ne elenchiamo due:
-
Nella lunga
descrizione del giorno del giudizio, che fa da commento all'articolo di fede «Egli
veuà a giudicare i vivi e i morti», Stefano afferma: allora «si siederà il
Signore Dio, il Pantocrator, e il suo glorioso Figlio, il Signore nostro Gesù
Cristo, e lo Spirito dell'alleanza insieme con Lui». Il titolo «Spirito
dell'alleanza» invece di «Spirito Santo» si ispira all' AT, e siccome non
ricoue ne nel NT ne in altri scritti posteriori, potrebbe implicare un'
origine assai remota, se non addirittura pre-canonica; invece il titolo «Pantocrator»,
presente ben nove volte nell' Apocalisse,29 conferma le affinità lessicali tra
l'apocr'ifo e l'ambiente giudaico del I sec.<(li>
-
Il secondo
indizio è l'interpretazione midrashica dell'affermazione di Stefano: Vedo
i cieli aperti e il Figlio di , Dio che sta alla sua destra (Atti 7,56),
combinata con la citazione di Sal 110, 1: Siedi alla mia destra, finche io ponga i tuoi
nemici a sgabello dei tuoi piedi. Tale interpretazione si ha nelle parole di
Garnaliele: «Avete dunque conosciuto, o figli d'Israele, come l'uomo santo e
degno di onore ha visto il Figlio di Dio, ritto alla sua destra, che sdegnato
dice al Padre: "Guarda, Padre, come ancora impazziscono i Giudei contro di
me! E non cessano di tormentare coloro che confessano il mio nome." E il
Padre gli dice: "Siedi alla mia destra finche io ponga i tuoi nemici a
sgabello dei tuoi piedi"». Nel primo dei due discorsi di Stefano la
suddetta citazione del Sal 110 ricorre nel contesto del giorno del
giudizio, presentato non come la Parusia, ma, secondo l'apocalittica giudaica,
come la fine dell'universo consumato nel fuoco; fino a quel giorno il Figlio
rimane ritto alla destra del Padre. Ora, secondo le parole di Gamaliele,
Stefano vede il Figlio di Dio ritto alla destra del Padre e sdegnato perché i
Giudei «ancora impazziscono» contro i suoi fedeli, mentre il Padre gli
risponde: «siedi ( ora) alla mia destra». L' avverbio "ancora",
da una parte, e l'atto ormai imminente di mettersi seduto alla destra del
Padre, dall'altra, indicano che siamo nella prospettiva del giorno del
giudizio ormai vicino. Non si può non vedere qui lo stesso clima di attesa
dell'imminente giudizio, che Paolo nota, attorno agli anni '50,
nell'atteggiamento dei Tessalonicesi, e al quale allude la seconda Lettera di
Pietro (3,8-10).
2.6. Conclusioni
L'apocrifo della Passione di Stefano, come i vangeli apocrifi di
Gamaliele, di Nicodemo e di Giuseppe di Arimatea, mette in risalto la
conflittualità tra i Giudei che credono in Cristo e quelli che Lo rifiutano.
Questa conflittualità, nota anche da altre fonti antiche, determina la linea
di divisione all'interno del popolo giudaico: è la cristologia che divide i
Giudei. Nel nostro apocrifo, gli uni, specialmente il sinedrio, i sommi
sacerdoti e una folla anonima con Saulo in testa, non accettano Gesù, Figlio di
Dio glorificato alla destra del Padre;
gli altri, pure una folla sempre più crescente, ma
soprattutto i grandi maestri come Gamaliele, Nicodemo e Stefano stesso, lo annunciano con convinzione come Figlio di Dio, pronti a patire per questa verità.
Essi diventano personaggi-bandiera per le comunità cristiane di ceppo giudaico,
ed anche, in certo senso, la veritas hebraica per i cristiani venuti dal
paganesimo. La loro testimonianza si aggira attorno a poche, ma fondamentali
verità-chiave: Gesù è il Messia promesso ai padri; Gesù è il Figlio di Dio
nato da una vergine secondo la carne, essendo la sua nascita annunziata dalla
Legge, dai Salmi e dai Profeti; Gesù patì sul legno della croce per togliere
I'ignominia dell'antico legno del paradiso, ma risuscitando ridonò a tutti la
vita; infine, «Colui, che voi avete appeso sul legno», verrà a giudicare i
vivi e i morti.
Il fatto che noti uomini saggi d'Israele professino
queste verità significa che tutta la controversia si concentra sull'accoglienza o non-accoglienza della vera sapienza d'Israele già preannunciata
nell' AT. Non si tratta di essere o non essere Giudeo, ma di essere Giudeo nella
verità o Giudeo nell'errore. È molto significativo l'appello di Saulo fatto
a Stefano: «Ti piaccia che siano custodite le nostre tradizioni patrie!», al
quale il diacono risponde: «Smettila, Saulo! Non contaminare la nostra razza
apostatando dal Dio vivente e rinnegando il Figlio di Dio, speranza della
salvezza del mondo». L 'uno e I'al-tro si appellano alla tradizione e alla
razza, ambedue vogliono difenderle, ma la verità sta dalla parte dei maestri
istruiti e saggi, tanto che anche a Saulo, pure lui maestro della Legge, Stefano
predice: «Dopo non molti giorni dovrai anche tu bere questo calice e diventare
servo di Gesù il Nazareno».
Stando a questi dati, possiamo dire che dalla
letteratura apocrifa emerge un'immagine di cristiani di origine giudaica
radicati sì nelle loro tradizioni patrie, ma, forti delle prove scritturistiche,
attaccati anche alla verità di Gesù il Nazareno, il Figlio di Dio nato,
secondo la carne, da una vergine, dalla loro stirpe.
3. Testimonianze archeologiche a favore del giudeo-cristianesimo
Mentre i dati letterari sono in grado di offrire alcuni lineamenti della struttura teologica "giudaica" dei giudeocristiani, i dati archeologici si limitano a fornire prove della loro presenza
nello spazio e nel tempo della Palestina "romana". L' archeologia ha
infatti un certo vantaggio, ma anche un grosso limite nel rendere il suo
servizio di appoggio alle ricerche bibliche e post-bibliche in Palestina. Il
vantaggio sta nel fatto che l'archeologia può fornire delle prove inconfutabili in quanto verificabili; nello stesso tempo però essa
denuncia i propri
limiti, perché spesso incapace d'interpretare i dati in modo univoco e
oggettivo. I reperti archeologici non sono corredati, ordinariamente, di
informazioni che ne indichino la funzionalità in riferimento a una determinata struttumt' ra
culturale o teologica.
I dati archeologici che possono essere riferiti ai
giudeocristiani riguardano essenzialmente due periodi: a) quello tra la
risurrezione di Gesù e l'anno 70 d.C.; b) quello tra la dispersione
degli Ebrei dalla Palestina e Costantino.
3.1. Dati archeologici sul giudeo-cristianesimo nella Palestina nel primo sec. d. C.
Alcuni dati archeologici hanno gettato luce sulla presenza
della comunità giudeocristiana a Gerusalemme, tra l'altro grazie alla possibilità di una loro interpretazione più attendibile,
perché sostenuta dalle informazioni di Giuseppe Flavio e dagli scritti di Qumran. Cosl dalle scoperte archeologiche è scaturita la convinzione della
presenza di giudeocristiani nel quartiere sud-ovest di Gerusalemme, sul
cosiddetto Sion cristiano, nella vicinanza immediata del quartiere esseno. I
dati archeologici hanno riproposto a livello topografico lo stesso quadro che si
era notato attraverso gli studi degli scritti di Qumran. Come nelle fonti
letterarie si sono rilevate qua e là somiglianze lessicali e talvolta tematiche tra l'insegnamento
degli Esseni ed alcune espressioni della teologia cristiana, così anche i dati
archeologici hanno rivelato, se non altro, almeno la vicinanza topografica tra
la comunità essena e quella cristiana. Sempre da questi dati si apprende che i
primi cristiani di Gerusalemme avevano una loro sinagoga, come luogo di
culto, la vera Chiesa-Madre, perché primissima in ordine di tempo, e
probabilmente continuavano la prassi delle abluzioni rituali giudaiche, come
dimostrano alcune miqueh trovate nel loro quartiere. I titoli
cristologici "Gesù", "Salvatore", "Signore dell'autocrator",
trovati incisi sul pavimento della chiesa-sinagoga situata nel luogo
dell'attuale Cenaco10,30 alludono ad alcuni temi del primo discorso di Pietro
a Gerusalemme (Atti 2,14-36). Diversi segni trovati sugli ossari della
vasta necropoli del Monte degli Ulivi (Dominus Flevit) sono stati
interpretati come crittogrammi giudeocristiani dai PP. Bagatti e Testa.31 L
'interpretazione dei PP. Francescani, accolta all'inizio con una certa
diffidenza, ha trovato successivamente conferme in altri scavi. Perciò è
legittimo sostenere che la necropoli Dominus Flevit appartenesse in gran
parte ai giudeocristiani del I e della prima metà del Il secolo.
3.2. Le testimonianze archeologiche sul giudeo-cristianesimo nella Palestina
pre-bizantina
Per quanto riguarda il periodo tra l'anno 135 e il
IV sec., l'archeologia non dispone di molti dati per contribuire alla conoscenza
del giudeo-cristianesimo. Le ricerche dei PP . Francescani di Gerusalemme hanno
messo in luce vario materiale epigrafico, in gran parte composto di segni
simbolici e di crittogrammi, che risalgono a questo periodo. Forse la loro
interpretazione ha esagerato nell'etichettare vari oggetti come "giudeocristiani",
ma non si può negare che la tipologia di alcuni segni e la loro presenza nei
luoghi venerati più tardi dai bizantini si spiega solo se attribuita a quei
cristiani, che, scomparsi nel IV -V sec., hanno portato con se nella tomba
l'arcano linguaggio della loro simbologia. È in base all'interpretazione di
questi segni che gli archeologi francescani hanno constatato la presenza di
giudeocristiani a Gerusalemme, Betlemme, Emmaus, Nazaret, Cafarnao, Cana,
Sefforis e un po' dappertutto in Giudea e in Galilea (fig. 1).32
Purtroppo dai
dati molto frammentari non si può ricavare altro, oltre il fatto che i
cristiani del ceppo giudaico usavano la ricca simbolica trinitaria, cristologica,
soteriologica e sacramentaria. Non si può dedurre nulla circa la loro
osservanza o meno della Legge giudaica, ne circa il modo in cui si effettuò
il passaggio dal giudeo-cristianesimo al cristianesimo dei Gentili. L 'ipotesi
di uno slittamento soft, sostenuta dalla scuola francescana, si basa
sulla continuità dello stesso culto. Ciò indicherebbe un passaggio quasi
naturale; le comunità giudeo-cristiane sarebbero state gradualmente assorbite
dai cristiani della grande Chiesa. Tuttavia non è da escludere che il fenomeno
religioso fosse rimasto legato di più ai fenomeni politici e sociali, dei quali
i resti archeologici non hanno conservato traccia, e perciò non si può dire se
il passaggio sia stato pacifico o più sofferto e marcato da conflitti.
Archeologi israeliani hanno trovato in due cimiteri antichi, presso Beit Guvrin e a Gerusalemme, simboli giudaici e cristiani
incisi gli uni accanto agli altri e risalenti al III e IV secolo.33 Secondo la
loro interpretazione si tratta però di due fasi cronologicamente diverse, così che i segni della
religione mosaica sono propriamente giudaici, mentre quelli cristiani sarebbero
stati aggiunti successivamente da nuovi e diversi proprietari. Ci sarebbe quindi
una chiara cesura tra il giudaismo e il cristianesimo in Palestina.
L' archeologa francese Claudine Dauphin interpreta simile
fenomeno, notato in alcune località del Golan, in senso esattamente opposto.
Studiando i simboli giustapposti sugli stessi oggetti, come la croce e il
candelabro a sette braccia (menorah), il ramo di palma (lulav) e
il pesce, il grappolo d'uva e il calice, ella ha concluso che essi sono
contemporanei e appartengono alla stessa popolazione.34 Questa popolazione
giudeocristiana, risalente al periodo tra il Il e l'inizio del V sec.,
sarebbe, secondo l'archeologa, non ortodossa, da identificare con quegli
Ebioniti che ancora ai tempi di Epifanio abitavano a nord-est del Lago di
Genezaret. Avrernrno dunque una prima testimonianza archeologica della
presenza di cristiani di ceppo giudaico sopravvissuti fino all'inizio del V
sec., ma separati dalla grande Chiesa per motivi dottrinali. La loro scomparsa fu occasionata dal confronto non tanto con altri
giudeocristiani
ortodossi, quanto con l'ortodossia della Chiesa. Contrariamente a quanto
sostengono gli archeologi israeliani, la cesura in questo caso non sarebbe tra
il giudaismo e il cristianesimo, ma tra il giudeo-cristianesimo eretico e il
cristianesimo ortodosso.
3.3. Recenti dati archeologici degli scavi a Khirbet Fattir {Beit Jimal)
Un nuovo e recentissimo contributo per questa
ricerca viene dagli scavi a Beit Jimal, presso Bet Shemesh in Israele, condotti
da 6 anni sotto il patrocinio di questa Università Salesiana. La campagna
dell'anno scorso, realizzata sotto la direzione di P. Piccirillo e mia, ha
offerto alcuni risultati di particolare interesse per il giudeo-cristianesimo, che vorrei
presentare in anteprima in questa pubblicazione.
La ricerca a Beit Jimal riguarda innanzitutto la tradizione
bizantina del culto di S. Stefano Protomartire. Beit Jimal potrebbe essere il
luogo della sepoltura del Santo e l'identificazione con Beit Jimal della
località della sepoltura, conosciuta nella tradizione bizantina sotto il nome
di Caphar Gamala,35 è stata proposta da vari studiosi nel secolo scorso e
all'inizio di questo secolo, Gli scavi condotti nell'area di Khirbet Fattir,
distante 1,3 km da Beit Jimal, hanno messo in luce una chiesa bizantina del V-VI
sec. con la cappella delle reliquie e con numerose testimonianze dei
pellegrinaggi fatti a questo piccolo santuario. Tuttavia non si è potuto
precisare a chi era dedicata la chiesa e quali santi furono oggetto di
venerazione da parte dei pellegrini.
Durante la campagna del 1994 abbiamo scoperto, oltre a
vari resti del periodo bizantino, reperti del periodo anteriore al bizantino.
Questi reperti sottostanti alle strutture bizantine hanno documentato la
presenza di due livelli di architettura sovrapposti in rapporto di discontinuità.
I risultati del confronto dei due livelli, quello bizantino del V -VI sec. e
quello romano del secolo IV (terminus ad quem), hanno evidenziato una
radicale ristrutturazione dell'ambiente. Fino al IV sec. vi era un'ampia sala
con un arco a fianco, una particolare finestra in funzione di collegamento con
una misteriosa tomba, un grande tavolo di roccia con un antistante canale
all'interno dell'edificio; più tardi questo complesso è stato trasformato in
due stanze adibite a scopi agricolo-industriali, precisamente a mulino per
macinare le ulive. La chiusura maldestra della finestra con il muro
appositamente spostato ha confermato la supposizione che si tratta di
cambiamento fatto di proposito, per eliminare la memoria dell'uso precedente
dell'edificio.
Una moneta del periodo
costantiniano,
trovata al livello romano, ha permesso di datare la presenza dei primi occupanti del sito fino al secolo
IV. Tre altri oggetti con iscrizioni
hanno offerto indizi per l'identificazione degli abitanti del luogo fino al IV
secolo. Si tratta di un manico di anfora con il monogramma composto delle
lettere greche chi e iota, di un tappo di ampolla con la lettera
ebraica het, e di un frammento di un peso di bilancia con inciso sopra un
crittogramma. I segni del crittogramma sono stati identificati con le lettere
greche mi, alfa, ni, omicron, ypsilon, eta, lambda, affiancate dalle
lettere iota e chi. Le lettere del crittogramma potrebbero quindi
rappresentare i nomi lesous, Xristos, lmanouel. Secondo la tipologia
dei crittogrammi dei giudeocristiani, il monogramma del manico contiene
l'abbreviazione dei nomina divina «lesous, Xristos». Quanto alla
lettera ebraica het, l'unica interpretazione che si impone è quella
del valore simbolico della cifra 8, anche questa utilizzata presso i cristiani di ceppo giudaico come un simbolo sacro, e cioè il
simbolo dei nomi Xreistos
e lmanouel. In conclusione, i tre oggetti trovati nella tomba e
sotto il banco di roccia, quindi a livello romano, portano i segni di una
tipologia giudeocristiana. Siccome essi si lasciano interpretare in senso
religioso, la loro presenza in un luogo, la cui struttura non indica l'uso industriale o di abitazione, può confermare il carattere religioso dell'ambiente. |
Le iscrizioni di Khirbet Fattir (1994,
disegno di U. Mazzilli):
a) Un manico di giara;
b) Un tappo di ampolla;
c) Frammento di un oggetto di uso domestico
(peso di bilancia?). |
Sulla base dei dati biblici e dell'
Onomasticon di
Eusebio risulta che la località di Fattir, con i segni di una presenza
giudeocristiana, ha molte probabilità di poter essere identificata con
l'antica Fatura menzionata da Eusebio e Girolamo, e ancora ricordata dai
pellegrini del XVI e XVII sec.36 Un villaggio di nome Fatura appare una sola
volta nella Bibbia, ed è collegato con il profeta e mago Balaam (Nm 22,5
Il Dt 23,5), conosciuto per la profezia della stella di Giacobbe di carattere messianico.
Questo potrebbe indicare che i giudeocristiani di Fatura avevano qualche legame
con la Mesopotamia e con il ricordo di Balaam. Ci chiediamo se non si tratti
della setta degli Elchasaiti, giudeocristiani eterodossi, sorti in Mesopotamia
e conosciuti per la pratica delle abluzioni rituali che ricordano il battesimo
per immersione, e per le divi nazioni e la magia. Allo stato attuale degli scavi
non siamo in grado di dare una risposta soddisfacente. Una cosa è certa: quei
giudeocristiani sono scomparsi nel primo periodo bizantino e i loro ambienti
di culto furono rimpiazzati con strutture agricoloindustriali.
4. Conclusioni
Per concludere, ci permettiamo alcune considerazioni
generali:
- I giudeocristiani erano parte attiva della complessa
realtà ecclesiale di Palestina, e vi sono rimasti fino al IV o agli inizi del V
sec. Dalla letteratura che hanno prodotto e dalla simbologia che hanno adoperato
risulta che la cristologia costituiva il perno della loro fede.
- Non è facile chiarire per quale motivo la loro
teologia divenne terreno particolarmente adatto per la penetrazione delle varie
speculazioni gnostiche; ma dagli apocrifi loro attribuiti si deve concludere
che vari di questi gruppi hanno assunto posizioni teologiche eterodosse,
dichiarate più tardi dalla Grande Chiesa. La presenza in Palestina di
giudeocristiani eterodossi è confermata dai dati archeologici.
- Il passaggio dal giudeo-cristianesimo alla Chiesa dei
Gentili si è effettuato in Palestina verso la fine del IV sec., in parte in
modo pacifico, in parte con un confronto ostile, specialmente nel caso dei
giudeocristiani eretici. Rimane tuttavia poco chiaro quale fu il loro rapporto
con il giudaismo tradizionale, e quale influsso essi ebbero sui rapporti tra
la Chiesa e il Giudaismo in genere.
- Da vari scritti apocrifi risulta
che, almeno nel primo periodo, si è polarizzata la conflittualità tra loro e
i loro fratelli di fede mosaica, causa la cristologia, e precisamente la nascita
verginale di Gesù e la sua risurrezione. A dividerli dai Giudei non cristiani
non è stata tanto la fedeltà o meno alle pratiche della Legge quanto piuttosto
l' annuncio di Gesù Nazoreo/Nazareno come Messia e Emmanuele, nato da una vergine secondo la carne, e sentito da loro in modo molto
personale, in
quanto Messia promesso ai loro padri e venuto al mondo nella loro razza.
________________________
1 Cf. At 9,20; 13,14ss; 16,3; 21,24-26; 24,18.
2 Cf. Rm 14,14-23.
3 Circa le testimonianze della tradizione cristiana
riguardanti Giacomo il Minore, "fratello del Signore", vedi B. PIXNER, lakobus der
Herrenbruder, in: R. RIESNER (ed.), Wege des
Messias und Stiitten der Urkirche, GieBen, Brunnen Verlag 1991, 335-347; ID.,
Simon BarKleopha, der zweite Bischof lerusalems, in Wege des Messias,
358.
4 Theologie dujudeo-christianisme, Paris 1958.
5 La definizione di Danielou è evidentemente più
articolata perché considera il giudeo-cristianesimo come un' ombrella che copre
tutte le forme di cristianesimo legato in qualche modo al giudaismo. Essa include particolarmente: un gruppo eterodosso, rappresentato dagli Ebioniti
che non ammettevano la figliolanza divina di Gesù Cristo; un gruppo ortodosso,
identificato con la comunità gerosolimitana di Giacomo; altri gruppi di
pensiero fondamentalmente giudaico: cf. R.A. KRAFf , In Search of "lewish
Christianity" and its "Theology", in: Judeo-christianisme. Recherches historiques et theologiques offertes en hommage au Cardinal
lean Danielou (= Recherches de Sciences Religieuses 60), Paris, Beauchesne
1972, 87s.
6
lewish Christianity or Christian ludaism: Toward a Hypothetical Definition, in
«JSJ» 7 (1976) 46-57.
7
lewish Christianity: Definitions and Terminology, in «NTS» 24 (1978)
410-415.
8
ludentum und Gnosis, in: K.-W. TROGER (ed.), Altes Testament
FriihjudentumGnosis, Giltersloh, Mohn 1980,262-265. L'autore propone due tratti
distintivi del giudeo-cristianesimo: a) la fede in Cristo; b) la struttura
giudaica della teologia e dell'atteggiamento personale: cf. p.263.
9 Cf. S.C:. MIMOUNI, Pour une definition nouvelle de
ludeo-christianisme ancien, in «NTS» 38 (1992) 161-186.
10 Un buon esempio di tale categoria religiosa e culturale in seno alI'ebraismo
possono essere i gruppi di cristiani ebrei moderni, assai numerosi attualmente
in Israele, ma non appartenenti alla Chiesa cattolica. Essi riconoscono il NT e
la sua dottrina, sono in accordo con la più parte della verità della fede
cristiana, ricevono alcuni sacramenti, ma nello stesso tempo osservano lo
shabbat e le grandi feste della religione ebraica, senza essere tuttavia
rigorosi osservanti della Legge, cf. F. Rossi DE GASPERIS, Un nouveau
judeo-christianisme, in «Etudes» 378/6 (1993) 795-804.
11 Un'ottima opera su questo argomento è la monografia
di A.F.J. KLIJN -G.J. REININK, Patristic Evidence for lewish-Christian Sects,
Leiden, Brill 1973.
12 Un'eccellente rassegna degli studi
sull'argomento pubblicati negli ultimi 20 anni è offerta da P. MANNS, A Survey of Recent
Studies on Early Christianity, in: P. MANNS -E. ALLIATA (ed.), Early
Christianity in Context. Monuments and Documents. Essays in Honour of E. Testa, (=
SBP, Collectio Maior 38), Jerusalem 1993, 17-25.
13 J.E. TAYLOR, Christians and the Holy Places. The
Myth of Jewish-Christian Origins, Oxford, Oxford University Press 1993. Una
serrata critica delle conclusioni della Taylor riguardo a Cafarnao in S.
LOFFREDA, La tradizionale casa di Simon Pietro a Cafarnao a 25 anni
dalla sua scoperta, in: Early Christianity, 43ss.
14 Per la datazione dei due ultimi scritti vedi
rispettivamente: F.S. JONES, The Pseudo-Clementines: A History of Research l,
in «Sec Cent» 2 (1982) 1-33; L. MoRAlDI, "Primo incontro tra
Cristianesimo e lslamismo". Da un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, in:
Early Christianity, 503.
15 T. MORALDI Primo incontro, 507
16 Ibid, 507
17 P. MANNS, Le recit de la Dormition de Marie (Vatican
grec 1982) (= SBP, Collectio Maior 33), Jerusalem 1989.
18
Ibid.,118;204.
19 Ibid., 224.
20 Cf. B. BAGATTI, M. PICCIRILLO, A. PRODOMO,
New
Discoveries at the Tomb of Virgin Mary in Gethsemane, Jeru8alem 1975.
21 B. PIxNER, Maria sul Sion dopo la Risurrezione, in:
A. STRUS (a cura), Maria nella sua terra, Cremisan-Betlemme 1989, 128.
22 B. PIXNER, ibid., 20-23; Lukas und
Jerusalem in: Wege des Messias, 3808.
23 Cf. E. NORELLI, Avant le canonique et l'apocryphe:
aux origines des rè'cits de la naissance de Jèsus, in «Revue de Theol.
et de Phil.» 126 (1994) 306.
24
bid., 3068.
25 lbid., 319.
26 La pubblicazione di ambedue i manoscritti apparirà in «Salesianum» 58/l (1996) sotto il titolo La passione di Santo Stefano in due
manoscritti greci.
27 Cf. R. LAURENTIN, Structure et théologie de Luc
I-II, Paris
1957, 68-71; 79-81; 136-137.
28 Cf. F. MANNS, Le
recit de la Dormition, 110.
29 Una sola volta
questo titolo appare fuori del1' Apocalisse, cioè in 2Cor 6,18, in una
citazione di testi del1' AT. Per l'uso del titolo nel1'antica letteratura cristiana,
cf. F. BERGAMELLI, Sulla storia del termine "pantokrator": dagli inizi
fino a Teofilo di Antiochia, in «SalesianulD» : 46 (1984) 439-472.
30 Cf. E. PuECH, La synagogue judeo-chretienne du
Mont Sion, in «Le Monde de la Bible» 57 (1989) 18-19.
31 B. BAGAlTI, The Churchfrom the Circumcision (= SBF, Collectio Minor 2),
Jerusalem, Franciscan Printing Press 1971; E. TESTA, The
Faith of the Mother Church (= SBF; Collectio Minor 32), Jerusalem,
Franciscan Printing Press 1992.
32 Cf. I. MANCINI, L' archeologie judio-chretienne.
Notices historiques (= SBF, Col1ectio Minor 10), Jerusalem, Franciscan
Printing Press 1977.
33 Cf. A. KLONER, Maresha, in «JEJ» 36 (1986)
277-279; O. AVNI, Christian Secondary Use o! lewish Burial Caves in lerusalem
in the Light o! New Excavations at the Aceldama Tombs, in: Early
Christianity,265-276.
34 C. DAUPHIN, Encore des judeo-chretiens au Golan?, in:
Early Christianity, 69-84.
35 Per la storia dell'invenzione della tomba di S.
Stefano a Caphar Gamala e per l'identificazione di questa località, cf. A.
STRUS, Beit-Gemal può essere il luogo di sepoltura di Santo Stefano?, in
«Salesianum» 54 (1992) 453-478
36 Il nome Fatura si ritrova nelle carte
geografiche del XVI e del XVII sec., collocato nella zona degli scavi di Kh.
Fattir: cf. K. NEBENZAHL, Maps o/the Holy Land. lmages of Terra Sancta through
Two Millennia, New York, Abbeville Press 1986, le carte a pp. 97, 110,
119, 132, 140.
Indicazioni di alcune opere relative all'argomento trattato:
-
Le pubblicazioni più note dello Studium Hiblicum Franciscanum a!avore
dei giudeocristiani sono:
TESTA E., Nazaret giudeocristiana, Gerusalemme, Franciscan Printing
Press 1969.
HAGATTI H., The Church from the Circumcision (= SHF, Col1ectio Minor 2),
Jerusalem, Franciscan Printing Press 1971.
MANCINi I., L 'archeologie judeo-chretienne. Notices historiques (= SHF,
Collectio Minor 10), Jerusalem, Franciscan Printing Press 1977.
HRIAND I., L 'Eglise Judeo-Chretienne de Nazareth, Jerusalem, Franciscan Printing Press 31979.
-
Tra altre pubblicazioni del campo archeologico pro e contro i
giudeocristiani vanno annoverate:
PIXNER H., Wege des Messias und Stiitten der Urkirche. Jesus und das
Judenchristentum im Licht neuer archaologischer Erkenntnisse, Giessen,
Hrunnen Verlag 21994.
DAUPHIN C., Farj en Gaulanitide: refuge judeo-chretien?, in «Proche-Orient
Chretien» 34 (1984), 233-245.
ID., De l'Eglise de la Circoncision à l'Eglise de la Gentilité. Sur une
nouvelle voie hors de l'impasse, in «Liber Annuus» 43 (1993) 223-242.
TAYLOR J.E., Christians and the Holy Places. The Myth of Jewish-Christian
Origins, Oxford, Clarendon Press 1993.
-
Sulla problematica della presenza dei giudeocristiani in
Palestina:
PRlTZ R.A., Nazarene Jewish Christianity. From the End of the New
Testament Period Until Its Disappearance in the Fourth Century, Jerusalem
Leiden, Magnes Press -E.J. Bri11 1988.
F. MANNS, A Survey of Recent Studies on Early Christianity, in: F. MANNSE. ALLIATA
(edd.), Early Christianity in Context. Monuments and Documents.
Essays in Honour of E. Testa, OFM (= SBF, Collectio Maior 38), Jerusa1em,
Franciscan Printing Press 1993,17-25.