Nessun credente in Gesù che senta declamare questo versetto del libro
della Genesi riesce a fare a meno di pensare a Paolo che, nel capitolo 4
della Lettera ai Romani, fa di questa affermazione riferita ad Abramo, la
chiave di volta di tutto il suo insegnamento sulla "giustificazione
per sola fede", come ripeterebbero volentieri i nostri amici 'evangelici'.
L'affermazione di Paolo, compiuta all'interno di un ragionamento polemico
molto serrato, tende a rivendicare l'assoluta sovranità di Dio che rende
"beato l'uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente
dalle opere" (Rm 4,6).
Un'affermazione di portata ecumenica straordinaria, perché relativizza,
alla radice, qualunque pretesa di legare l'azione di Dio alle
"opere" dell'uomo. E, si noti bene, anche a quelle
"opere" rivendicate come esecuzione di un comando ricevuto
espressamente da Dio. Le "opere" non sono infatti una
precondizione per l'appartenenza a Dio, ma semmai un sigillo di
riconoscimento dell'essere stati scelti da Lui.
Scrive Paolo: "Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad
Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era
circonciso o quando non lo era? Non certo dopo la circoncisione, ma prima.
Infatti egli ricevette il segno della circoncisione quale sigillo della
giustizia derivante dalla fede che aveva già ottenuta quando non era
ancora circonciso" (Rm 4,9b-11a).
Questa assoluta gratuità del dono dell'elezione da parte di Dio implica
anche un avvertimento nei confronti di chi pensa di poter disporre a suo
piacimento del dono ricevuto da Dio o comunque di sentirsi autorizzato a
definire i confini entro i quali circoscrivere l'azione di Dio. Nella sua
sovrana libertà Dio può infatti estendere il suo dono anche oltre i
confini intravisti o posti dall'uomo senza che, con questo suo modo di
comportarsi, si riveli ingiusto nei confronti di chi è stato gratificato
prima da Lui, o contradditorio con ciò che Lui stesso ha promesso
all'uomo.
Spiegando ulteriormente il suo pensiero Paolo afferma, per esempio, nello
stesso testo citato, che Dio si comportò nel modo appena descritto con
Abramo, "perché fosse padre di tutti i non circoncisi che
credono" (Rm 4,11b). E che il pensiero di Paolo sia l'eco, su questo
punto, del pensiero stesso di Gesù, lo potremmo verificare dalla finale
della parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna. Là dove il
padrone risponde agli operai chiamati alla prima ora del giorno che
protestano per aver ricevuto lo stesso salario dato ai chiamati all'ultima
ora: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me
per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a
quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio?
Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?" (Mt 20,13-15).
Su questa base, e solo su questa, si fonda la convinzione di tutti i
cristiani di essere stati inseriti nella stessa benedizione promessa da
Dio ad Abramo quando in Genesi 12,2-3 dichiarò: "Io farò di te un
popolo grande, ti benedirò, renderò grande il tuo nome e tu sarai
benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò quelli che ti
malediranno: in te saranno benedette tutte le famiglie della terra".
Da tutto ciò che abbiamo appena cercato di dire si può ricavare
anzitutto che è assolutamente inconcepibile la sostituzione di una
elezione ad un'altra. Paolo è chiarissimo su questo punto: "Essi
sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la
legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo
secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli.
Amen". (Rm 9,1-5).
Conseguenza ovvia di questo dovrebbe essere un estremo rispetto, almeno
altrettanto grande quanto quello di Paolo, nei confronti dei nostri
fratelli maggiori. Inoltre bisognerebbe che i cristiani si interrogassero
con maggiore profondità sul significato ultimo del pensiero di Paolo
quando afferma che "da essi proviene Cristo secondo la carne". E
cioé: cosa significa tenere presente fino in fondo, nella nostra teologia
e nella nostra vita, che Cristo è indissolubilmente legato alla
"carne" degli Israeliti?
Non si dovrebbe trattare infatti solo del necessario legame con la storia
di Israele, ma anche della connessione strettissima che Paolo vede fra i
"lombi" di Abramo e la natura umana di Cristo "che è sopra
ogni cosa, Dio benedetto nei secoli".
L'incorporazione a Cristo, che i cristiani ricevono con l'immersione
battesimale, comporta un vero e proprio innesto, attraverso Gesù, nel
tronco che proviene dalla radice santa identificata con Abramo. Dice
infatti Paolo: "Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la
pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni
rami sono stati tagliati e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al
loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa
dell'ulivo, non menar vanto contro i rami" (Rm 11,16-18).
Dovremmo dedurne che, grazie alla nostra incorporazione all'ebreo Gesù,
noi "Gentili" siamo stati ammessi a far parte di un albero che
è già santo a causa della sua radice. Ma dovremmo anche chiederci con
maggiore profondità quale sia il rapporto che intercorre fra la
"radice santa" e colui che, provenendo da essa "secondo la
carne", "è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli". Sarà
più possibile, una volta capito meglio questo, che si possa fare
autentica Cristologia cristiana senza chiedersi che cosa comporti il fatto
che "egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli", sia
nato da una radice già santa prima della sua venuta nella storia, dal
momento che "Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la
pasta"?
E cosa comporterebbe questo per i rapporti che noi cristiani siamo
chiamati a stabilire con i rami di questo albero che rimane
"santo", a prescindere dal riconoscimento o meno, da parte di
alcuni suoi rami, dell'identità ultima di Gesù di Nazaret? Cosa dire
infine della osservazione misteriosissima di Paolo che dice: "Se ti
vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la
radice che porta te"?
Garantire la comunione con Israele "secondo la carne", perché
santo comunque, a prescindere dalla sua scelta nei confronti di Gesù di
Nazaret, sembra appartenere, per i cristiani, a quelle realtà misteriose,
che abitualmente si chiamano "sacramenti", nelle quali Dio
agisce comunque con la sua presenza senza necessario riferimento alla
'fedeltà pratica' del ministro umano investito da Lui. C'è dunque una
sacramentalità permanente di Israele nella Historia salutis?
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