Piero del Giudice, su Avvenire del 2 aprile 2004

È l'unico sopravvissuto fra i capi della rivolta nel quartiere ebraico di Varsavia. A 85 anni Marek Edelman ricorda quei giorni

I registri della comunità documentano oggi poco meno di mille nomi. Gli ebrei di Varsavia erano 360.000 prima della occupazione tedesca, tre milioni e mezzo in tutta la Polonia. Una piccola sinagoga, un istituto di Storia, via Prozna dove due fabbricati compresi nel primo ghetto - il "grande" - sono rimasti intatti. Stessi mattoni rosso scuro, le stesse finestre, gli stessi portoni di legno, gli stessi androni. E il grande cimitero ebraico. Ha tre secoli, le date sulle tombe cessano a metà del secolo scorso. È il cimitero di un popolo scomparso.

Marek Edelman è l'ultimo grande testimone della partenza, della estinzione e della rivolta degli ebrei di Varsavia. Ha 85 anni, è l'ultimo comandante ancora vivo della rivolta del ghetto, vive a Lodz dove esercita ancora come cardiologo. Nella sua lunga vita - "troppo lunga" dice - come militante del Bund (1) organizza l'ultima resistenza del ghetto, sfugge allo sterminio con una lunga fuga attraverso le fogne e partecipa poi alla insurrezione di Varsavia. Testimone scomodo, isolato dal regime. Rompe apertamente con l'apparato durante i moti antisovietici del '68, fa parte dei circoli intellettuali di opposizione ed è delegato di Solidarnosc per la città di Lodz alla nascita del movimento.

Dottor Edelman, gli ebrei di Varsavia un popolo scomparso. Non rimane che il grande cimitero…
«Anche il cimitero comincia a scomparire. Quando non c'è il popolo, non ci sono le famiglie che si occupano delle tombe, tutto viene abbandonato e coperto dalla foresta. Malgrado ci fosse un grande antisemitismo prima della guerra in Polonia, le grandi culture si mescolavano. Tradizionalmente i cimiteri ebraici hanno la pietra tombale dritta senza nessuna decorazione, è dalla cultura cristiana che sono trasmigrate le tendenze ad abbellire, a costruire ornamenti e architetture. È un esempio della osmosi tra le varie culture. A Suwaicki, una cittadina al nord della Polonia, quasi al confine della Lituania, c'erano sino alla guerra delle pietre tombali dei discendenti del grande Maimonide».
In un libro Lei viene definito "il guardiano" della memoria del Suo popolo. È così?
«Quando si è accompagnato un popolo alle camere a gas, ai vagoni che lo portano nelle camere a gas, bisogna avere il dovere di ricordare. L'impegno che ho preso è rimanere sino alla fine con quel popolo. Sotto le macerie del ghetto e sotto i quartieri e le case dove oggi la gente abita e vive, ci sono le ossa del popolo ebreo e anche queste ossa vivono finchè c'è qualcuno che ricorda quello che è avvenuto. Purtroppo debbo essere con loro, il mio impegno è di essere con loro. Soprattutto in un paese come questo dove ci sono persone che debbono vergognarsi. Quando si ricorda loro il passato qualcuno diventa meno arrogante».
C'è ancora lo spiazzo di Umschlagplatz, c'è ancora via Stawki. Lì, Lei, inserviente dell'ospedale, li vedeva partire per Treblinka...
«Non è vero ciò che raccontano o fanno vedere nei filmati: persone che protestano, si lamentano, piangono, urlano. No. Era una massa di persone rassegnate che saliva sui treni. La sopraffazione, la violenza della sopraffazione è un elemento che distrugge l'uomo non solo fisicamente ma anche psicologicamente, moralmente. E la fame è un alleato prezioso della sopraffazione. Per convincere gli ebrei a partire i tedeschi distribuivano anche tre chili di pane e marmellata. E c'erano lunghe file per farsi mettere sui convogli».
Lei, uno dei comandanti quando il ghetto combatte dal 19 aprile al 10 maggio del '43. Come guarda a quei giorni?
«Ci fu un periodo di alcuni mesi, dall'ottobre del '42 fino alla insurrezione, in cui io e due-tre amici avevamo la responsabilità di tutta la popolazione sopravvissuta, ancora viva nel ghetto. Noi eravamo il potere reale. Lo Judenrat, l'amministrazione e la polizia ebrea che collaborava con i tedeschi, esisteva ufficialmente, ma non contava più nulla. Eravamo noi gli amministratori del ghetto. La popolazione ascoltava noi, aspettava le nostre istruzioni e ci ha consegnato la propria vita. Per quello noi siamo responsabili, io mi sento responsabile».
Lei entra a 14 anni nel Bund - la Lega dei lavoratori ebrei - e nel ghetto è un responsabile del Bund. Quando si legge il programma del Bund si pensa a una grande occasione storica mancata. È d'accordo?
«Non sono d'accordo. Malgrado il Bund non esista più, il Bund ha vinto tutto. Questo bacino compreso tra la Vistola e il Dnjeper, era il focolaio delle menti più importanti, più vive. Il Bund, nato nel 1897 è il pilastro delle grandi socialdemocrazie del secolo. Cosa voleva il Bund? L'uguaglianza per le minoranze nazionali, la giornata di 8 ore di lavoro, l'uguaglianza delle donne, i diritti dell'uomo. I postulati del Bund sono un dato di fatto in Europa».
Il Bund è sempre stato contrario alla costruzione di uno Stato ebraico, ma Israele c'è. Problema non da poco, Le pare?
«Sì, purtroppo. Ma ci sono cinque milioni che vivono lì e debbono continuare a vivere. Lì c'è la guerra e durante la guerra avvengono cose atroci, tremende. Gli ebrei lì non hanno una grande politica e neanche Arafat è una grande testa politica. Dal '48 fanno errori politici tutti quanti. Si sono messi in un vicolo cieco. Quando uno stupido butta la pietra nell'acqua, dieci saggi non riescono a tirarla fuori. Questa è la disgrazia. Adesso lì si incrociano gli interessi di tutto il mondo».

_______________________

1. Con il termine tedesco Bund, che significa associazione, si è soliti indicare in forma abbreviata il movimento socialista ebraico Algemeiner Jidisher Arbeterbund in Lite, Poilen un Russland (espressione jiddisch che significa Federazione generale dei lavoratori ebrei in Lituania, Polonia e Russia). Il Bund fu fondato a Vilna nel 1897 soprattutto come sindacato operaio, ma in seguito svolse una funzione di vero e proprio movimento politico. Tenace avversario del sionismo, si batteva per la salvaguardia della lingua jiddisch e per i diritti degli operai ebrei nell’Europa orientale. Mentre in Russia, nel 1921, confluì nel partito bolscevico, in Polonia continuò a esercitare un importante e autonomo ruolo fino all’invasione nazista. 

| home | | inizio pagina |