Siamo lieti di riportare le parole del
Rabbino Capo di Roma, pronunciate nel corso della manifestazione di
solidarietà "Fiaccole della pace per Israele", davanti
all'Ambasciata dell'Iran - Roma, 3 novembre 2005
Prima di tutto desidero
ringraziare tutti voi presenti qui, un numero incredibile di persone,
senza distinzione di religione e di credo politico, uniti dal comune
desiderio di denunciare un evento gravissimo: la minaccia all’esistenza
stessa dello stato d’Israele. È il superamento grave e intollerabile di
un limite insuperabile. Ma vorrei salutare anche chi non è presente qui
questa sera. A chi dissente dai modi della protesta ma non dalla protesta
chiediamo che l’assenza non si trasformi in silenzio.
Che la scelta di
opportunità politica non prevalga sull’istanza morale. Perché è un’istanza
morale, quella che testimoniamo qui questa sera. A chi invece non c’è
perché è indifferente alle parole del presidente dell’Iran o magari le
condivide desideriamo spiegare con forza e pacatezza civile il senso del
nostro orrore.
Sappiamo che in Iran
qualcuno, pochi, stanno manifestando contro l’ambasciata d’Italia, in
segno di protesta per questa nostra manifestazione. Chissà se i
manifestanti potranno leggere liberamente quello che stiamo dicendo ora.
Ma almeno diciamocelo subito e chiaramente: la nostra non è una protesta
contro l’Iran, né contro il popolo iraniano, di cui ammiriamo la
civiltà e abbiamo seguito con trepidazione le vicende di questi ultimi
anni. Noi non bruciamo bandiere. La bandiera dell’Iran è qui esposta
nel palco, al posto di onore che merita, insieme a quelle d’Italia e di
Israele.
Se qui in occidente commentiamo quanto succede in quelle terre non lo
facciamo certo con lo spirito dell’imperialismo. Lo facciamo perché in
Europa abbiamo imparato a caro prezzo che cosa significano certe idee e
certi proclami. E di conseguenza non solo ci permettiamo di parlarne, ma
sentiamo il dovere di farlo.
Potrà sembrare in un certo senso ovvio e scontato, che a parlarvi del
diritto dello Stato d’Israele ad esistere sia un rabbino. Ma ciò che
cercherò di spiegare non sarà affatto ovvio e scontato. Sarà un invito
a riflettere sul significato angosciante delle parole del presidente
iraniano.
Preciso subito che non ho intenzione di dimostrare il diritto dello Stato
di Israele all’esistenza. Mettersi su questo piano significa ammettere
una distinzione preliminare tra questo e gli altri Stati. E questo non è
accettabile. Non si mette in discussione l’esistenza dell’Italia,
della Francia, dell’Iraq, dell’Iran e di qualsiasi altro Stato del
mondo. Non la si mette in discussione quali che siano i comportamenti dei
suoi governi, quale che sia l’antichità della sua fondazione o la
crudeltà delle guerre che hanno portato quello Stato all’indipendenza.
Ogni Stato europeo ha nel suo passato la memoria di guerre, di milioni di
morti, di confini che si spostano. Di nessuno si contesta l’esistenza,
di Israele invece sì.
Sappiamo bene quale sia il
livello di democrazia in Israele, quale sia la qualità delle sue
strutture parlamentari e giudiziarie, quanto sia forte la tensione del
dibattito sul rapporto con i vicini quasi sempre ostili. Eppure dello
Stato d’Israele si contesta il diritto ad esistere. Non lo si fa con le
peggiori dittature del mondo, con i governi più macellai. Non è strano?
Non c’è dietro a questo qualcosa di tenebroso, un male antico che
riemerge sempre in forme nuove?
Non si contesta nessuno
Stato della terra ma si contesta quello d’Israele, quello che ha il più
alto rapporto del mondo di libri rispetto al numero di abitanti; che ha
università di livello eccezionale, un sistema sanitario invidiabile e
aperto a tutti, un enorme progresso tecnologico, uno stato che continua a
produrre premi Nobel per la scienza invece che aspiranti kamikaze.
Con lo Stato d’Israele, a confronto con gli altri Stati, si adottano
spesso due pesi e due misure, quello che fanno i suoi governi è
immediatamente al centro dell’attenzione, mentre su ben altre cose del
mondo c’è indifferenza o silenzio; e subito c’è la corsa al giudizio
e alla condanna morale, spesso sostenuta dal pregiudizio religioso. I
metri di giudizio sono differenti perché il presupposto più o meno
confessabile è che gli ebrei siano differenti e da trattare in modo
negativo e differente. Prima di tutto negando al popolo d’Israele il suo
diritto all’autonomia politica.
Gli analisti politici in questi giorni cercano di comprendere le complesse
ragioni che hanno portato la leadership di un grande paese come l’Iran
ad esprimere posizioni tanto radicali. In realtà certe idee circolavano
da decenni; la novità sta solo nella sconcertante sincerità con cui
questi propositi sono stati affermati ai massimi livelli. L’analisi
politica cerca poi di spiegare le ragioni di questo fenomeno, l’aspetto
più inquietante dello scenario del nuovo millennio, inaugurato dall’attacco
alle Torri Gemelle.
Accanto all’analisi
politica la visione ebraica propone altre prospettive: quella storica
millenaria, e quella religiosa. Anche chi non la condivide non potrà
sottrarsi a domande inquietanti. Perché in questa prospettiva il progetto
politico del presidente iraniano non è una novità. Sarà pure clash
of civilizations, sarà pure riscossa del mondo islamico, sarà quel
che si vuole in termini politici ma per noi è sempre la stessa cosa. È l’odio
primordiale contro il popolo d’Israele, che lo segue dalla sua nascita e
appena cerca di organizzarsi. È l’odio dei Filistei (la Palestina
prende il nome da loro) contro i Patriarchi; è l’odio del Faraone che
fa uccidere tutti i neonati Israeliti perché li considera una minaccia
militare; è l’odio di cui parla il salmo 83, di cui vorrei citare
alcuni versi: “O Signore i tuoi nemici sono in tumulto, contro il tuo
popolo, dicono: venite e distruggiamoli come nazione, e che il nome di
Israele non sia più ricordato. Sono le tende di Edom e gli Ismaeliti,
Moav e gli Hagariti, Gheval. Amon e Amaleq, Filistea e abitanti di Tiro e
anche l’Assiria con i figli Lot”. Fin qui le parole del salmo, che
descrive un bello scacchiere mediorientale, con molti riferimenti all’attualità.
Gli esempi biblici finiscono proprio con l’antico Iran, dove fu sventato
il progetto di genocidio del primo ministro Haman, che ancora ricordiamo
nella festa del Purim.
Non si creda alla favola che mettere in dubbio il diritto dello Stato d’Israele
sia solo un problema politico di anticolonialismo e non sia invece una
manifestazione di odio contro gli ebrei. Non si elimina lo Stato d’Israele
con una conferenza diplomatica; lo si elimina uccidendo i suoi milioni di
cittadini ebrei e non ebrei in una nuova shoah collettiva.
Il paradosso attuale è che mentre l’Europa e il cristianesimo si
riconciliano con il popolo d’Israele, il mondo islamico riscopre con la
religione l’ostilità antiebraica, e la usa a sostegno di
interpretazioni storiche rozze e grossolane, come il mito dello Stato d’Israele
avamposto della civiltà occidentale e ostacolo al risveglio musulmano.
Semplificazioni balorde, che tra l’altro ignorano il peso essenziale in
Israele della componente sefardita, cioè di ebrei di origine dai paesi
islamici.
Ma non siamo venuti qua per ascoltare un lamento o l’ennesima protesta
per l’odio antiebraico. La nostra presenza qui è per riaffermare il
diritto di tutti, e non solo d’Israele ad esistere come popoli liberi.
Per affermare diritti universali che vengono sistematicamente violati da
culture totalitarie e opprimenti. L’attacco a Israele è solo un
simbolo, una scusa e un pretesto per mascherare pulsioni violente e
micidiali contro tutta l’umanità e contro il suo progresso. Il popolo
ebraico che di nuovo si presenta come ferito e attaccato, è anche e
soprattutto un popolo ottimista, che crede fermamente nella vita, che si
pone al servizio del mondo portando luce, speranza e fermento di
libertà.
È con le parole di Isaia
che ci presentiamo questa sera, “per mandare libero chi è oppresso e
spezzare ogni giogo di schiavitù”. Ed è forse proprio per questa
istanza radicale che il mondo totalitario non può tollerarci. Ma è anche
perché speriamo fermamente in un mondo migliore che siamo qui a
testimoniare questa sera. Grazie a voi tutti.