Quattro giorni di incontri, letture, eventi e proiezioni, a cui
hanno partecipato oltre seimila persone. Il Festival Internazionale
della Letteratura Ebraica, che si è tenuto a Roma, alla Casa
dell’Architettura dal 20 al 24 settembre, alla sua prima edizione è
già un grandissimo successo: si sono alternati sul palco autorevoli
penne della letteratura ebraica internazionale, raccontando le loro
storie, confrontandosi con un pubblico che ha partecipato
attivamente ad ogni incontro, dimostrando e rinnovando l’interesse
verso questo particolare ambito. Lo scrittore americano Nathan
Englander e l’israeliano Etgar Keret hanno aperto la rassegna, poi
hanno partecipato niente meno che il grande scrittore Sami Michael,
Agi Mishol, Lia Levi, Lizzie Doron, Shira Geffen, Adin Steinsaltz,
Erri De Luca e molti altri.
Il Festival Internazionale della Letteratura Ebraica (prodotto da
“Publica – Organizzazione e strategia” e coordinato da Francesco
Marcolini, neo Presidente di Zètema) ha presentato un programma
studiato seguendo nuclei tematici, che ha visto accesi dibattiti,
approfondimenti, incontri con gli studenti. “Possiamo dire che già
con questa prima edizione del festival abbiamo raggiunto il nostro
obiettivo - spiegano i curatori della rassegna Ariela Piattelli,
Raffaella Spizzichino e Shulim Vogelmann - quello di far conoscere
al grande pubblico lo straordinario e millenario universo della
letteratura ebraica. Abbiamo avuto importanti ospiti, e registrato
un grande successo di pubblico che testimonia l’interesse della
collettività per la cultura ebraica.” E per dare spazio alle “penne
giovani”, nell’ambito del festival, un concorso letterario per
racconti brevi intitolato Con gli occhi del racconto: tra i trecento
inediti sul tema ebraico ha vinto Una cosa da nientedi Mario
Pacifici, giudicato “un racconto intenso che, grazie all’orgoglio e
alla forza spirituale dei protagonisti, con grande sensibilità,
riscatta l’offesa delle leggi razziali” (i dodici scritti giudicati
più interessanti verranno pubblicati inoltre in un’antologia
dall’Editrice La Giuntina).
Non solo letteratura, ma anche l’incontro di quest’ultima con le
altre arti: allora cinema (è stato proiettato Medusedi Keret e
Geffen), musica (con il progetto “Jewish Experience” a cura di
Gabriele Coen), e cucina: a chiudere il festival infatti, una cena a
base di piatti tipici giudaico romaneschi alla Taverna del Ghetto
(in collaborazione con Arsial), alla quale hanno partecipato ospiti
selezionatissimi (come il presidente della Provincia di Roma Nicola
Zingaretti, l’assessore alla Cultura del Comune di Roma Umberto
Croppi, il presidente dell’Arsial Massimo Pallottini, Riccardo
Pacifici e Renzo Gattegna). Per l’occasione, per consolidare il
legame tra letteratura e cucina nostrana, è stata anche stampata una
piccola guida alla cucina giudaico romanesca a cura di Donatella
Limentani Pavoncello. “Siamo molto soddisfatti del risultato
raggiunto - continuano i curatori -, e vorremmo ringraziare
soprattutto la Comunità Ebraica di Roma che, coordinando il
progetto, ci ha dato la possibilità di realizzare questo sogno. Poi
le istituzioni che ci hanno sostenuto congiuntamente, quali il
Comune di Roma, la Provincia di Roma, la Regione Lazio e Camera di
Commercio.
Il successo che ha ottenuto la prima edizione del Festival
Internazionale della Letteratura Ebraica rinnova il nostro impegno a
continuare e così l’appuntamento è per l’anno prossimo: stiamo
infatti già lavorando alla seconda edizione, che riserverà grandi
sorprese”. Elena è una donna. Le donne non possono pregare in
sinagoga in mezzo agli uomini. Ma Elena è l’unica rappresentante
della sua famiglia, tutta sterminata nella Shoah. Quindi Elena sta
in piedi nel centro della sinagoga e dice il Kaddish: non è più una
donna, è tutta la sua famiglia. E continuerà a farlo anche quando la
sinagoga verrà spostata, resterà sola, a recitare il Kaddish. Questo
è uno dei momenti più salienti del libro, tradotto in Italia dalla
Casa editrice Giuntina, “Perché non sei venuta prima della guerra?”
della scrittrice israeliana Lizze Doron, che è intervenuta al
Festival Internazionale di Letteratura Ebraica presso la Casa
dell’Architettura a Roma. Marino Sinibaldi ha messo in evidenza come
Elena sia vittima della solitudine, ma a tratti sia ella a
ricercarla, in una mescolanza di tragedia ed ironia. Doron ha
raccontato al pubblico il suo imbarazzo e pudore per il fatto che i
suoi racconti siano stati pubblicati. Infatti, la scrittrice non
avrebbe mai pensato che i suoi lavori sarebbero diventati un libro,
ha solamente e semplicemente cercato di venire in aiuto della figlia
alla quale, a scuola, chiedevano dei racconti sulla sua famiglia: ma
lei non aveva più nessuno della sua famiglia, né foto, né documenti,
se non i ricordi filtrati tramite la memoria della madre di Doron,
Elena. Una madre, e nonna, che non celebrava mai i compleanni, che
non parlava mai di sé, del passato, che si comportava sempre in modo
diverso dagli altri, la cui presenza ed influenza è stata
pesantissima, come lo è sempre per la cosiddetta seconda e terza
generazione della Shoah. Questa sensazione di diversità è forse la
più forte e più detestata da Doron: “In questo libro ci sono tutti i
miei segreti e tutt’ora non è facile parlarne. Adesso comprendo
tanti comportamenti di mia madre, ma, da piccola, avrei
semplicemente voluto avere una famiglia ed una vita normali.
Malgrado tutto, io mi sento fortunata, anche se questo può sembrare
strano: per un figlio di un sopravvissuto alla Shoah le categorie
sono diverse da quelle degli altri”. Il rapporto tra Doron e la
madre fu molto stretto, anche perché il padre si era allontanato
prima che lei nascesse poiché ammalato di tubercolosi. Nel libro, la
vita, le sofferenze, sono viste tramite gli occhi di una donna che
porta un carico troppo pesante per le sue spalle, ma che non vuole
arrendersi: “Di fronte al peso enorme della Shoah - ha raccontato
Doron - le donne hanno reagito, anche in modo bizzarro, mentre gli
uomini non erano altro che le loro ombre, lavoravano tutto il
giorno, io non ricordo le loro voci, ricordo solo quelle delle
donne.”
[Fonte: Shalom dicembre 2008]