Ecumenismo e dialogo
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"Noè
camminava con Dio"
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Rabbino Giuseppe LARAS
Il ricordo del Patto
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Rabbino Umberto PIPERNO
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Noè.
l’uomo giusto
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P. Giovanni BOGGIO
Dalla riflessione sul tema della giornata
per il dialogo con gli ebrei, di un biblista cattolico
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“Noè camminava con Dio”
(Gen 6,9)
L'universalismo di Israele
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Rabbino Giuseppe LARAS
17 gennaio 2002 - XIII Giornata
per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra cattolici ed ebrei
La giornata
del 17 gennaio precede la settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani poiché se le Chiese cristiane riscoprono le comuni radici
nell’Israele di Dio, ritrovano la loro unità.
La figura dell’uomo giusto nel commento di un Rabbi sapiente , Il
Rabbino Capo di Milano Giuseppe Laras, e la riflessione sul tema della
giornata.
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Noè è presentato
dalla Bibbia come uomo "giusto e integro tra i suoi contemporanei
e camminava con Dio " (Gen 6,9). Dio decise di salvarlo dal
diluvio universale, affinché diventasse il capostipite di una nuova
umanità, in sostituzione di quella precedente fatta perire nelle acque
del diluvio, perché si era macchiata di ogni tipo di violenza: "Si
corruppe la terra di fronte a Dio e si riempì la terra di violenza...Dio
disse a Noè: ho decretato la fine di ogni carne, perché a causa di esse
la terra è piena di violenza" (Gen 6,11.13). I commenti
tradizionali rabbinici fanno notare a proposito di questi due versetti che
il primo mette in risalto due tipi di colpe: quelle verso Dio e quelle
degli uomini fra loro; il secondo versetto, che riporta le parole di Dio
stesso, cita solo la violenza come motivo di punizione. "Questo porta
a riflettere su una concezione
fondamentale dell'ebraismo: le colpe tra l'uomo e il suo prossimo sono considerate
più gravi delle colpe commesse dall'uomo nei riguardi di Dio. È noto che
il digiuno di Kippur serve ad
ottenere il perdono delle colpe commesse dall'uomo contro il
suo Creatore. Viceversa, per le colpe per le quali l'uomo lede il
prossimo, la penitenza non ha valore
finché non si sia ottenuto il perdono di chi si è offeso o
danneggiato"1.
Dio, prima di punire
manda diversi avvertimenti, perché le creature si convertano. Un midrash
sul versetto ''fatti un'arca di legno di pino" (Gen 6,14)
recita: ''Disse rav Huna, in nome di rabbi Josè: per centoventi anni
il Santo, benedetto Egli sia, ammonì gli uomini della generazione del
diluvio, nella speranza che si ravvedessero; ma poiché non ascoltarono,
disse a Noè: fatti un'arca di legno di pino. Allora Noè si mise a
piantare cedri. La gente gli domandava: cosa sono questi cedri? Ed egli
rispondeva: il Santo, benedetto Egli sia, sta per mandare un diluvio sulla
terra e mi ha ordinato di preparare un'arca per salvarmi insieme alla
mia famiglia. La gente rideva e si prendeva gioco delle sue parole.
Intanto Noè coltivava e faceva crescere i cedri. La gente continuava a
domandare: ma che cosa fai? Egli rispondeva sempre nello stesso modo e la
gente lo scherniva. Alla fine tagliò i cedri e ne fece delle assi. e la
gente a domandare: cosa fai? Egli rispondeva sempre nello stesso modo e li
ammoniva. Quando il Signore vide che, nonostante ciò, quella generazione
non si ravvedeva, decise di mandare il diluvio (Tanchuma Noach) 2.
Dio è presentato
nell'ebraismo come un Padre, che tratta le sue creature a seconda dei loro
bisogni e delle loro capacità. In Bereshit Rabbà ( XXX, 10) nel
commento alle parole: "Con Dio camminava Noè" (Gen 6,9),
leggiamo: "È simile ad un principe che aveva due figli, uno grande
ed uno piccolo. Disse al piccolo: Vieni con me, e disse al grande: Vai,
cammina innanzi a me. Cosi Abramo che era forte: Cammina innanzi a me e
sii integro (Gen 17,1). Ma Noè, che era debole: con Dio camminava
Noè". Dice Rashi: "Di Abramo invece è scritto: Cammina
davanti a me, e: Il Signore, alla cui presenza io cammino
(Gen 17,1 e 24,40). Noè aveva bisogno di un sostegno che lo reggesse,
mentre Abramo era forte a sufficienza per camminare da solo nella sua
giustizia". Noè era come un bambino condotto per mano, Abramo,
invece, un adulto che sa camminare da solo.
Dante Lattes ha fatto una
affascinante presentazione di Noè: "È il primo tipo dello tzaddiq,
del giusto che passa incontaminato fra le tristizie dei contemporanei. La
figura dell'uomo giusto, che assumerà poi tanto significato etico e una
così vasta funzione redentrice nella ideologia ebraica, dalla Bibbia al
Chassidismo, ha in Noè il suo primo modello. Noè è uno dei tre giusti,
insieme a Giobbe e a Daniele, passati nella letteratura profetica
(Ezechiele, 14,12-21) a rappresentare il tipo del perfetto uomo... Noè è
l'uomo; l'uomo senza alcun altro aggettivo; non misurato secondo criteri
di razza, di lingua, di nazionalità, di religione, di classe, di partito,
ma secondo un criterio unicamente morale, e riconosciuto pieno di
perfezione dinanzi a Dio, o in modo assoluto, e quindi posto ad esempio
alle generazioni, per quanto remote e diverse dal suo tempo, o, se si
vuole, in modo relativo, secondo il grado di perversione del suo secolo.
L'ammaestramento è importante. Chi parla di progresso lento e tardivo
della concezione etica ed universalistica dell'ebraismo, oppure di un
monopolio o privilegio che gli ebrei si sarebbero attribuiti nella scala
delle perfezioni, delle elezioni, delle beatitudini, dimentica questo
primo ed antichissimo tipo di uomo tzaddiq il quale, pur essendo
vissuto prima di Mosè e prima della Torà, è rimasto modello di virtù
fino nei tardi tempi del profetismo"3.
Con Noè Dio stringe un
patto che vale per lui e per la sua discendenza, cioè per tutta
l'umanità; anzi il patto si estende a tutte le creature viventi:
"Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: Quanto a me, ecco io
stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi;
con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie
selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca. Io stabilisco
la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle
acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra. Questo è il
segno dell'alleanza che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente
che è con voi per le generazioni eterne: Il mio arco pongo sulle nubi ed
esso sarà il segno dell'alleanza fra me e la terra" (Gen 9,8-11).
Dio, prima di siglare
l'alleanza benedice Noè e i suoi figli e dà loro alcuni precetti (Gen
9,1-7). Tali precetti sono entrati nella tradizione ebraica come
''precetti noachici" o "noachidi" destinati a tutte le
genti, che sono considerate "giuste", se li mettono in pratica.
Qual è il contenuto di questa legge? Nel trattato Sanhedrin
(56-60) del Talmud babilonese ci sono diverse enumerazioni dei precetti
noachidi. La tradizione più comune è che siano sette, uno positivo e sei
negativi. Quello positivo prescrive l'obbligo della giustizia (di
istituire giudici e tribunali), gli altri proibiscono: l'idolatria, la
bestemmia, le relazioni sessuali illecite, l'omicidio, il furto, il
consumo delle membra di un animale vivo. Non esiste, però, l'unanimità
fra i maestri. Il Talmud riporta l'opinione secondo la quale "i figli
di Noè accettarono trenta precetti"4. Questo è dovuto anche
al fatto, come gli stessi maestri ebrei sottolineano, che non si tratta di
precetti puntuali, ma di categorie giuridiche ciascuna delle quali
comprende diverse prescrizioni, anzi, la loro caratteristica è proprio
quella di essere delle indicazioni passibili di sempre nuove
interpretazioni e applicazioni ai diversi tempi 5. Di fatto,
"le sette leggi noachidi sono più che sette rigidi
pronunciamenti"6. Benamozegh scrive: "Quale che sia il
numero dei precetti noachidi, è certo che ciascuno di essi rappresenta
non un comandamento unico, ma tutto un gruppo di obbligazioni della stessa
natura" 7.
Non si deve guardare alla
legge noachide come se fosse un codice basato sulla ragione umana, poiché
è anch'essa, come la Torà di Mosè, una rivelazione divina. Dice
Maimonide: "Chiunque accetti i sette comandamenti e li osservi con
cura è considerato un gentile devoto, e ha parte alla vita eterna, a
condizione, però, che riceva e segua tali precetti perché Dio li ha
imposti nella sua Legge e ci ha rivelato tramite Mosè, nostro maestro,
che quelli sono i comandamenti ricevuti in origine dai figli di Noè"8. La distinzione tra gli obblighi ai quali è tenuto chi appartiene al
popolo ebraico e quelli che sono propri degli appartenenti agli altri
popoli, anche se non si parlava ancora esplicitamente di precetti noachidi,
risale ad epoca assai precedente alla stesura del Talmud. Ne abbiamo
un'eco nel capitolo 15 degli Atti degli Apostoli dove nel cosiddetto
concilio di Gerusalemme l'assemblea degli apostoli e degli anziani decide
di non chiedere ai credenti in Cristo provenienti dal paganesimo di farsi
circoncidere, ma di seguire solo quattro precetti fra quelli della Torà
obbligatori per tutti i figli di Israele: "astenersi dalle sozzure
degli idoli (cf Lv 17, 3-9), dall'impudicizia (cf Lv 18), dagli animali
soffocati (cf Lv 17, 15-16) e dal sangue (cf Lv 17, 10-14)" (At
15,20).
Legge mosaica e legge
noachide non sono in contrasto, i precetti contenuti in quest'ultima fanno
parte dei 613 precetti, che gli ebrei sono obbligati ad osservare per
compiere la missione particolare loro affidata da Dio in vista del bene di
tutta l'umanità: "In te si benediranno tutte le famiglie della
terra" (Gen 12,3). "Ecco perché l'ebraismo vede nella figura di
Noè la fonte di salvezza per tutti i popoli, e la premessa a tutte le
successive alleanze bibliche... E sull'arcobaleno ci sia permesso di
raccontare, a conclusione, una storia rabbinica del primo o secondo secolo
della nostra era: secondo i maestri, l'arcobaleno non appare se nel mondo
c'è qualche giusto così giusto da placare l'ira del Signore. In quei
giorni c'era un giusto così, e l'arcobaleno non apparve. Ma al giusto fu
chiesto se avesse visto l'arcobaleno, ed egli, nella sua profonda umiltà,
mentì e disse di averlo visto, per stornare da sé ogni 'sospetto' di
santità. Non importa, dunque, che nel mondo tutti siano giusti: importa
che sempre ci sia qualche giusto. Noi tutti abbiamo visto molte volte i
bei colori dell'arcobaleno, quasi il sorriso di Dio. Ora sappiamo che se
un capo dell'arcobaleno poggia su di lui, l'altro poggia su un umile,
sconosciuto giusto" 9.
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Note:
1. J.ZEGDUN, Guida allo studio della
Torà. I. Genesi, a cura dei Rabbini d'Italia, pp 22s.
2. R. PACIFICI, Midrashim fatti e
personaggi biblici, Marietti, Casale Monferrato 1986, p 21.
3. Nel solco della Bibbia, Laterza,
Bari 1953, p 39.
4. Avodah Zarah 8, 4-6.
5. Una trattazione moderna ed esauriente
sul significato del "noachismo" è stata fatta da ELIA BENAMOZEG
(1823-1900), Israele e l'umanità, Marietti, Genova 1990; cf. in
particolare, 209-240.
6. A. LICHTENSTEIN, Le sette leggi di
Noè, Lamed, Milano s.d.
7. E. BENAMOZEGH, Israele e l'umanità,
Marietti, Genova 1990, p 220.
8. Maimonide, Hilkhot Melakhim, 8,
11 citato in E. BENAMOZEGH, op. cit., p 219,
9. P. DE BENEDETTI, "II Dio
dell'arcobaleno", in Annali di Studi religiosi I (2000), p
27-35.
Noè. l’uomo giusto
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P. Giovanni BOGGIO
Dalla riflessione di un biblista cattolico
sul tema della giornata
per il dialogo con gli ebrei
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La figura di Noè
rappresenta uno dei pilastri sui quali è costruito il racconto del libro
della Genesi, che vede in lui il. secondo padre di tutta l'umanità, dopo
Adamo. Il suo nome può essere interpretato o come «colui che è stato
prolungato» si intende nella sua vita (cf i nomi del protagonista dei
racconti mesopotamici), in riferimento al diluvio dal quale è scampato
per l'intervento di Dio, oppure, secondo l'interpretazione di Gn 5,29
messa sulle labbra del padre Lamech: «Costui ci consolerà del nostro
lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore
ha maledetto», dove il riferimento è al tempo precedente il diluvio e
riguarda l'aiuto che il padre si aspetta di ricevere dal figlio. È facile
però riferire la «consolazione» alla benedizione che Dio gli ha dato
all'inizio della nuova era del mondo susseguente al cataclisma che,
secondo il racconto biblico, ha cancellato dalla terra ogni traccia di
vita che può continuare soltanto grazie a Noè e ai suoi figli (cf Gn
9,1). Un'altra possibile interpretazione collega il nome ad una radice
ebraica che significa «respirare» con richiamo evidente alla
sopravvivenza di Noè e della sua famiglia.
Il racconto che il
redattore della Genesi sta costruendo, pone il patriarca in un contesto
evidente di universalismo, collocandolo all'ultimo posto nelle Genealogie
che risalgono ad Adamo (Gn. 5,29) e
quindi al primo in quelle che seguono il diluvio (Gn 10,1),
facendo derivare da lui tutta l'umanità post diluviana.
Ma non solo dal punto di
vista della generazione fisica Noè si trova al centro di una vicenda
universale. Ancora più importante è la dimensione delle benedizioni di
Dio che lo collegano direttamente al primo uomo. A Noè è ripetuta la
benedizione data agli animali (Gn 1,22 e 8,17) e alla razza umana (Gn
l,28ss e 9,1 ss). Quest'ultima benedizione contiene anche un elemento
nuovo che ne estende la portata, cioè il permesso di cibarsi delle carni
degli animali (Gn 9,3) insieme al divieto di alimentarsi con il sangue e
di versarlo, in quanto considerato sede della vita (Gn 9,4).
Sulla stessa linea va
posto il racconto dell'alleanza che Dio stringe con tutta la creazione
attraverso Noè. L'impegno di assicurare il succedersi regolare dei
diversi tempi che scandiscono la vita dell'umanità, con la garanzia di
poter raccogliere i frutti delle stagioni, era già stato assunto da Dio
che escludeva cosi il ripetersi di uno sconvolgimento generale delle leggi
che lui stesso aveva dato alla natura (Gn 8,21-22).
In Gn 9,9-11 si introduce
il termine «alleanza» «berit» che qui indica un impegno solenne
da parte di Dio senza che sia richiesto all'uomo alcun corrispettivo.
Questo particolare garantisce la realizzazione di quanto promesso, in
quanto dipende unicamente dal partner divino e non dalla volontà o
dall'osservanza di qualche clausola da parte dell'uomo, cosa che avrebbe
introdotto un elemento di debolezza nel patto stesso. Noè riceve da Dio
una parola solenne che riguarda tutto il creato e gli assicura la
sopravvivenza.
L'arcobaleno, per il suo
verificarsi in ogni parte del mondo, è interpretato come segno universale
di questo giuramento pronunciato da Dio e garanzia del mantenimento della
promessa che non è rivolta soltanto a Noè ma all'umanità intera (Gn
9,12-16). La forma assunta dal fenomeno naturale (quasi un ponte che
congiunge la terra al cielo), e il momento in cui si manifesta (la quiete
della natura dopo la violenza di un temporale) hanno suggerito
l'interpretazione poetica e religiosa che ha riscontri in quasi tutte le
culture. L'altra immagine rievocata, quella dell'arco riposto dopo un
combattimento (il nubifragio con i fulmini e le saette scoccate dalla
divinità), ha portato a pensare all'annuncio di un periodo di pace,
anticipato dal segno comparso nel cielo.
Il privilegio di cui gode
Noè è attribuito al fatto che «era uomo giusto e integro tra i suoi
contemporanei e camminava con Dio» (Gn 6,9). Questa sua caratteristica
giustifica quanto detto nel versetto precedente, e cioè che «trovò
grazia agli occhi del Signore» (Gn 6,8). La benevolenza di Dio si
manifesta verso quello che viene presentato come l'unico «giusto» in
mezzo ad una umanità depravata. Non si tratta dunque di un atteggiamento
di favoritismo immotivato, ma del riconoscimento di un complesso di
qualità, sintetizzate nel termine tzaddiq che nel linguaggio
biblico indica l'uomo che corrisponde in tutto ai progetti di Dio nei suoi
riguardi.
Non è fuori luogo
sottolineare che nel racconto del Pentateuco le «dieci parole» non sono
state ancora consegnate a Mosè. Quella «Torah» che costituirà il vanto
di Israele (cf Dt 4,6-8; Bar 4,1-4) non può ancora separare un popolo
privilegiato dal resto dell'umanità. Noè appartiene ad una massa
degenerata destinata all'annientamento totale, ma nonostante ciò non è
intaccato dalla corruzione generale e continua a «camminare con Dio» (Gn
6,9), espressione usata anche per descrivere la vita di Enoch (Gn
5,22.24), l'altro patriarca premiato per la sua fedeltà a Dio.
L'atteggiamento religioso
di Noè è messo in evidenza anche dopo il diluvio. Il primo atto che
compie dopo aver rimesso in libertà gli animali che popolavano l'arca è
l'offerta di un sacrificio in ringraziamento. Il racconto sembra insinuare
che Noè era tanto fedele a Dio da anticipare le prescrizioni riguardanti
gli animali che si potevano offrire in sacrificio: solo quelli che in
seguito la legislazione contenuta nel Levitico avrebbe indicato come
«mondi» (cf Lv 11).
Questa preoccupazione era
già stata attribuita a Dio stesso quando si trattava di introdurre
nell'arca le coppie di animali. Era stata fatta distinzione tra quelli
puri, di cui dovevano essere salvate sette coppie, e gli altri per cui era
sufficiente mettere in salvo una sola coppia (Gn 7,2-3). Il motivo di
questa variante risulta chiaro nel momento del sacrificio, che avrebbe
rischiato di essere il primo e l'ultimo della storia umana, se fossero
stati uccisi gli unici superstiti degli animali destinati all'offerta
sacrificale.
La promessa che Dio fa di
non alterare il corso delle stagioni umane (8,22) sembra voler riconoscere
la correttezza e la bontà di un atto di culto condiviso e praticato da
tutti i popoli, anche se con modalità differenti (a volte anche in modo
radicale, vedi ad esempio l'uso dei sacrifici umani) da quelle praticate
dal popolo ebraico. L'ottimismo derivante da questa promessa è però
velato dalla motivazione che ha spinto Dio a farla: la malvagità radicale
dell'uomo (Gn 8,21). È uno spiraglio drammatico che apre la strada alle
narrazioni successive nelle quali emergono il particolarismo e l'odio che
nemmeno il diluvio è riuscito a cancellare dall'animo della nuova
umanità.
Nel seguito della storia,
Noè viene presentato come agricoltore e scopritore delle possibilità e
qualità della vite e del suo derivato: il vino (Gn 9,20-24). È visto
anche come la prima vittima delle conseguenze sgradevoli dovute all'uso di
bevande alcoliche, qui rappresentate da quella che nei paesi mediterranei
è la più diffusa e gradita, benché non sia universale nel vero senso
del termine.
Il racconto, che si
sofferma sul comportamento dei figli nei confronti del padre, denota
un'accentuata caratteristica eziologica soprattutto per il riferimento
sorprendente a Canaan (Gn. 9,25) maledetto al posto del padre Cam, il
diretto responsabile dell'irriverenza verso Noè. Sembra evidente la
preoccupazione dell'autore del racconto di spiegare (e giustificare) la
situazione storica determinatasi nel territorio abitato dai Cananei dopo
la conquista operata da Israele, collegato esplicitamente alla discendenza
di Sem attraverso il patriarca Abramo (Gn 11.10-30). La condizione di
sudditanza politica delle popolazioni locali ai conquistatori non solo
Ebrei ma anche Filistei questi ultimi collegati a Iafet (Gn 10,1-5). viene
spiegata come conseguenza di una maledizione che non ha colpito tutti i
discendenti di Cam, ma solo le tribù il cui territorio si affacciava sul
Mediterraneo (Gn 10,15-19).
Con questa eziologia,
dall'universalismo che contraddistingue il racconto sulla vita di Noè si
restringe l'orizzonte al particolarismo di una piccola regione, con le sue
lotte fra tribù locali che cercano faticosamente di trovare una ragione
per la propria sopravvivenza. E la motivazione viene indicata in un
peccato che ha violato il precetto del rispetto verso l'autorità patema.
La figura di Noè
mantiene invece la sua caratteristica di universalità nelle presentazioni
che ne vengono fatte negli altri libri della Bibbia.
Ezechiele presenta Noè
come il prototipo dell'uomo giusto (Ez 14,14-20) e vede nell'arcobaleno
una componente della manifestazione della «gloria» con cui Dio si rende
presente nel mondo (Ez 1,28). Il Siracide è ammirato per il suo splendore
e bellezza che rivelano la potenza di Dio (Sir 43,11-12) e, parlando dei
giusti del passato, ricorda Noè come colui che ha assicurato il futuro
dell'intera umanità (Sir 44,17-I8). Lo stesso concetto è espresso nel
libro della Sapienza che chiama Noè «la speranza del mondo» perché ha
lasciato «la semenza di nuove generazioni» (Sap 14,16).
Per l'autore della
seconda Lettera di Pietro, Noè non è soltanto personalmente giusto ma anche «banditore di
giustizia» (2 Pt 2.5), idea che troviamo anche nella tradizione rabbinica
ricordata nella riflessione del Rav Laras. La giustizia di Noè ha il suo
fondamento nella fede che lo ha portato a fidarsi ciecamente nella parola
che Dio gli aveva comunicato, senza richiedere prove o dimostrazioni della
verità. Cosi afferma l’autore della Lettera agli Ebrei nel suo excursus
sulla fede dei grandi uomini della storia (Eb 11,7). Infine
nell'Apocalisse si riprende l'immagine dell'arcobaleno per descrivere lo
splendore della gloria nella Gerusalemme celeste (Ap 10,1) e soprattutto
quello del trono su cui siede il dominatore della storia (Ap 4,3).
Anche gli apocrifi hanno
esaltato Noè per le caratteristiche messe in evidenza nei testi biblici,
spesso ampliando con leggende le notizie scarne del testo sacro.. L’iconografia
cristiana ha rappresentato volentieri la scena del diluvio mettendo in
luce la figura del protagonista, spesso rappresentato da solo in
atteggiamento di preghiera.
Il Corano gli intitola la
sura 71 che presenta Noè con la caratteristica di predicatore,
appena accennata nella seconda Lettera di Pietro e qui invece molto
sviluppata, con una polemica anti-idolatrica già presente nella sura
7, 59-64. In altri passi si ritorna sulla rivelazione che Dio gli ha
consegnato e sulla fedeltà di Noe nel mettere in pratica i suoi comandi.
La figura di questo
patriarca ha offerto e continua ad offrire spunti molto interessanti per
una riflessione sui rapporti tra Dio e l'umanità, indipendentemente da
rivelazioni particolari vantate dall'una o dall'altra fede. Collocato nel
racconto biblico in una fase iniziale della storia umana, Noè sintetizza
in sé un messaggio universale proprio perché precede le divisioni
dolorose che si sono create nel corso dei millenni. Il messaggio di unità
del genere umano, derivante dalla comune origine da una sola famiglia,
mantiene intatto il suo valore, anche se questo è velato dalla vicenda
infelice che ha avuto per protagonista Cam.
Purtroppo questo
particolare realistico, dovuto al comportamento dei figli, ha assunto nei
rapporti tra i popoli una dimensione tale da far passare in secondo piano
i valori universali legati alla figura del padre.
Il
ricordo del Patto
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Rav Umberto Piperno
Il ricordo
del Patto nel commento di un altro Rabbi sapiente , Il Rabbino Capo dilla
Comunità ebraica di Trieste Umberto Piperno, e la riflessione sul
tema della giornata.
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L 'immagine dell'arcobaleno è da sempre sinonimo di pluralismo,
varietà di colori provenienti da un'unica fonte nonché immagine di
tranquillità, del ritorno del sole dopo la tempesta.
L 'uomo antico al pari di quello moderno
prova ogni volta uno stupore che lo ricollega alla sua dimensione
esistenziale.
L'Arco,
segnale inequivocabilmente minaccioso, da segno di guerra e
dichiarazione di belligeranza tra due oppositori così come era sentito
nella cultura pagana diviene simbolo di unione e di pace tra il cielo e
la terra.
Questo
passaggio appare chiaramente nel discorso biblico. Il valore semantico
della parola Arco - keshet è riferito comunque alla parola divina che
la riferisce alla Sua persona ed alla Sua azione: "ho posto il Mio
arco nella nube, avverrà quando porrò le nuvole, sarà il segno del
patto"
E' chiaro che non ci si riferisce solo al
fenomeno naturale. La nube (anan) è la dimensione della divina presenza
che accompagna il popolo ebraico nel suo cammino nel deserto, il segno
di una Rivelazione che non può manifestarsi senza l'interposizione di
un filtro immateriale che aiuti a comprendere la spiritualità. .
Nel momento in cui Mosé implora il perdono
divino dopo il Vitello d'Oro, il Signore gli rivela i tredici attributi
dietro una nube: i momenti del nascondimento di D-o, compresi tra
l'esilio e l'eclisse della Shoah vengono definiti dal Deuteronomio il
"Nascondimento del Volto"..
Mai come adesso gli eventi recenti ci
inducono a riflettere su questo fenomeno nella fiducia incrollabile che
dopo la nube, dopo l'esilio e l'eclissi debba necessariamente lasciarsi
intravedere la Luce del Suo volto, la Luce dell'arcobaleno, segno del
Patto.
Per la prima volta nella Bibbia appare con
l'arcobaleno la parola Berit, patto sacrale tra 1'uomo e la Divinità. Si
tratta di un patto unilaterale o piuttosto di un covenant, convenzione
stipulata tra le due parti, con impegni specifici? .
La parola "OT", segno, è riferita
già nel quarto della creazione ai luminari, posti sul cielo come
"segno" per le feste e per il computo del tempo. Definire l'
arcobaleno come segno accanto agli astri significa sottolineare un segno
di tempi nuovi di un rinnovamento nel rapporto tra costruttiva della
Creazione.
Nel Pentateuco tre elementi fondamenti del
mondo delle Mizvoth, obblighi relazionali tra Israele ed il Signore,
sono chiamati "Segno del Patto" e ciascuno di questi è in
relazione all'arcobaleno: la circoncisione, il Sabato ed i Tefillin
(filatteri) che contengono brani biblici dello Shemà e dell'uscita
dell'Egitto.
Mettere in relazione il braccio e la mente,
coordinare le proprie azioni con la dignità della libertà nel ricordo
della Schiavitù d'Egitto e dell'intervento divino liberatorio "con
braccio forte e mano distesa", collega quotidianamente l'uomo con
gli OTOT, segni dei prodigi divini che escono dal corso degli eventi
naturali e dai condizionamenti "atmosferici" che stravolgono
il corso dell’esistenza. L'uomo adulto legando a sé i Tefillin pone su
di sé un suggello che lo collega alla storia non solo negli eventi
passati bensì ad un controllo quotidiano dell'accordo tra la teoria e
la prassi.
Questa scelta, tipica dell'adulto,
perfeziona l'altro segno del patto, suggellato nella carne dell’ottavo
giorno di vita, il patto della circoncisione.
Questo patto di Abramo santifica l'uomo
proprio nella parte fisica più soggetta agli istinti per elevarle nella
santità della creazione in una discendenza che portava il messaggio di
"giustizia e diritto" della Casa di Abramo.
I
discendenti di Isacco, insieme a quelli di Ismaele attraverso il patto
della Milà (circoncisione) sottolineano ancora una volta un'eredità
comune da custodire e diffondere, per costruire e non per distruggere.
L'elemento
centrale del patto, il segno che si pone tra questi due segni portati
sul corpo è invece di natura spirituale e corrisponde in toto alle
aspirazioni di Israele.
Ci
riferiamo al segno del Sabato, settimo giorno della Creazione, fine
ultimo ed obiettivo degli sforzi precedenti.
Il giorno del Sabato "segno eterno per
le generazioni" segna, contraddistingue l'ebreo che acquista la
sacralità e la libertà attraverso il tempo.
L 'astensione dal lavoro creativo permette
di proiettare la nostra attrazione su un elemento spirituale che
letteralmente ci dona un'anima supplementare che irradia la sua
luminosità sull'intera settimana.
Il Sabato dell'uomo in collegamento con la
sua osservanza, l' atmosfera creata dallo studio e dalla preghiera, si
trasforma nel Sabato della Storia, I' attesa dei tempi messianici.
Nel
giorno del Capodanno ebraico, Rosh Ha Shanà definito dal Pentateuco
"Giorno del Ricordo" oltre al ricordo della Creazione,
dimensione universale - termine a quo - si contano gli anni, assume un
ruolo centrale, il ricordo del Patto. Il personaggio di Noè viene
interpretato nella preghiera aggiuntiva del Capodanno nella prospettiva
storica ed universale che emerge dalla continuità nel presente del
messaggio biblico.
Hai
ricordato Noè con amore portando le acque del diluvio come è detto:
"si calmarono le acque", quando? Dopo che il S. fece
attraversare la terra da un vento, soffio, spirito del S."
Noè procedette con il S. Questa frase va
riportata ad un modo di procedere relativo ad Abramo "cammina di
fronte a Me e sii integro".
Il Midrah fa l'esempio di un bambino. Finché
è piccolo, il padre deve tenerlo per mano, mentre quando cresce, può
lasciarlo camminare davanti.
La stessa domanda è posta dai Maestri
quando commentano il verso " Noè era un uomo giusto nella sua
generazione ".
Questo
è il dilemma della modernità, sapere vivere il proprio tempo nella
propria generazione senza assumere gli elementi negativi, senza farsi
coinvolgere, se infatti, Noè fosse vissuto nella generazione di Abramo?
Sarebbe passato inosservato oppure avrebbe esaltato le sue qualità.
Il
racconto del diluvio risulta curiosamente parallelo a quello della
visione di Sodoma e Gomorra.
Cambia
la punizione, proprio per mantenere il patto con l'umanità ma cambia
soprattutto il comportamento dei due personaggi nei confronti del
decreto.
Abramo riesce a contrattare la salvezza
delle città fino al limite di dieci Giusti.
Salvando inoltre la Città di Zoar, mentre
Noè pone in salvo solo la sua famiglia, nella certezza o speranza che
la stessa costruzione dell'Arca servisse da richiamo per l'intera
generazione, mentre Abramo preferisce impegnare le sue risorse per
adoperarsi per gli altri, per fare un fuoco presso cui fare riscaldare
tutti.
Noè
rappresenta un profeta disarmato o meglio un profeta muto che non ha la
capacità di gridare come Abramo 'Il Giudice di tutta la terra non farà
giustizia?" Noè ha la forza di agire con atti dimostrativi per
rifondere fiducia a chi è emerso dal diluvio, persino attraverso nella
piantagione della vigna.
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