Ebrei-Islam: storico incontro in Sinagoga 
tra rabbini e imam moderati
Roberto Beretta

Milano. Storico incontro (il primo in Italia) alla Sinagoga tra rabbini e imam moderati. Laras: «Oggi inizia il dialogo con i musulmani». Pallavicini: «Siete fratelli in Abramo, ma anche modello di lotta per avere il riconoscimento dallo Stato»

Il dialogo islamo-ebraico in Italia ha una madrina niente male: Afef. Consapevolmente o no, la modella tunisina di religione musulmana ha infatti tenuto a battesimo ieri il primo incontro ufficiale tra le due «religioni del Libro» nel nostro Paese. Incredibile che sia avvenuto solo nel 2005? Beh, ce n'era stato un altro nel preistorico 1989, in realtà, però questa era la prima volta assoluta in un luogo di preghiera: come appunto la Sinagoga di Milano, sede del convegno su «I giovani nella tradizione ebraica e islamica».

Ma forse i due monoteismi abramitici si possono definire anche religioni dei copricapi rituali, viste le kippah ebraiche e gli amama islamici mescolati in modo quasi indistinguibile nei sotterranei della Sinagoga. Il pretesto per lo storico evento («Che spero inizi una serie di incontri per il dialogo - ha introdotto il presidente della Comunità ebraica milanese Roberto Jarach -, per finirla con antisemitismo e islamofobia») era l'unica tappa italiana di un «Tour dell'Amitié» proposto dal rabbino francese Michel Serfati.

«Oggi si inaugura il dialogo islamo-ebraico - ha dunque esordito il rabbino capo Giuseppe Laras -. Abbiamo in comune l'esperienza abramitica e questo da solo dovrebbe darci garanzie di successo; così non è, però, a causa di elementi politici (i palestinesi, il Medio Oriente...) che intralciano il cammino». Al suo fianco annuiva vistosamente lo sceicco Abd al-Wahid Pallavicini, il quale del resto ha fondato e rappresenta il Coreis: la Comunità Religiosa Islamica, co-organizzatrice dell'incontro, che significa nello Stivale una delle ali moderate ed «ecumeniche» dell'islam nonché molti musulmani di origine italiana. «Il nostro dialogo sia almeno una testimonianza di fede - poteva dunque auspicare Laras -, che non intendiamo cioè fermarci di fronte alle difficoltà della violenza, una sovrastruttura transitoria».

Però, pur se tutti gli interventi successivi terminavano regolarmente con la par ola «pace», qualche «sovrastruttura transitoria» sembrava aleggiare sull'uditorio. Già l'ingegner Jarach aveva annunciato l'intento di veder «ufficialmente riconosciuta dallo Stato una presenza islamica con tanto di scuole, 8 per mille, eccetera»; poi l'intervento dello sceicco Pallavicini ha aggiunto elementi a un'interpretazione "politica" dell'incontro: «Col musulmano italiano la Chiesa cattolica non dialoga. È dunque dagli ebrei che noi possiamo partire, per farci riconoscere i nostri diritti sia nella religione sia nella nazionalità». Il riconoscimento giuridico, che il Coreis - unica in questo tra le entità islamiche in Italia - chiede da un decennio allo Stato, è spesso rientrato come un ritornello, condito da qualche accenno polemico alla «confessione venuta a predominare in Occidente»: «Il ritrovato accordo fra esponenti dell'ebraismo e dell'islam - ha detto ad esempio Pallavicini senior - possa invitare anche la Chiesa cattolica a rifuggire dalla tendenza a chiudersi in un esclusivismo confessionale».

La Chiesa era infatti l'assente costantemente presente al tavolo dei relatori. Ne ha dato l'impressione anche l'imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini: «Noi italiani musulmani ci troviamo a condividere con i nostri fratelli ebrei gli sforzi tesi al riconoscimento di un'identità religiosa specifica, minoritaria ma non per questo priva della stessa dignità, e di una partecipazione attiva all'identità nazionale o ai doveri della nostra cittadinanza». Per un millennio gli ebrei sono stati «un modello storico di qualificata partecipazione nello sviluppo della società» e nello stesso tempo sono «riusciti a preservare» la loro tradizione; dunque sono un esempio pratico per «l'islam italiano che auspica di vedere le proprie istanze religiose riconosciute dallo Stato», compresi «corsi di formazione per imam italiani». Per cui «la nostra fratellanza con gli ebrei non si iscrive solo nel riconoscimento di una comune discendenza spirituale, ma soprattutto in quello di responsabili della testimonianza religiosa nell'attualità italiana».

L'islam moderato d'Italia intende dunque giovarsi dell'alleanza con gli ebrei come di una «sponda» per ottenere il sospirato riconoscimento politico? La domanda è d'obbligo e Ahmad Abd al-Waliyy Vincenzo, altro esponente italiano del Coreis, in privato non si fa pregare: «La questione del riconoscimento è una vergogna nazionale: è stato concesso persino a gruppi minuscoli, anche della medesima confessione, e il Consiglio di Stato ha già espresso parere favorevole nei nostri confronti. Dunque non abbiamo bisogno di farci spalleggiare dagli ebrei per avere una cosa che ci è dovuta per giustizia». Ma davvero la Chiesa vi ostacola in ciò? «Non esiste una prova per dirlo. Certo c'è una difficoltà della Chiesa italiana a intavolare un dialogo con i musulmani italiani; è più facile con gli immigrati: così si dà l'idea che l'islam è ancora straniero».

Per fortuna il rabbino Laras allenta i toni: «Da noi i rapporti tra islam e cristianesimo non sono certo idilliaci, per cui si capisce l'obiettivo del Coreis di farsi riconoscere e accedere all'8 per mille. Però gli ebrei non si coinvolgono in queste operazioni contingenti; il nostro intento di dialogo è molto più alto, non roviniamolo con le strumentalizzazioni».
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[Fonte: Avvenire 29 giugno 2005]

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