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Sr. Lucy, come è nata la la Congregazione di Nostra Signora di Sion? La congregazione è stata fondata nel 1843, dal sacerdote Theodore Ratisbonne, un giovane ebreo in ricerca della verità, diventato poi cristiano e perciò molto sensibile verso il popolo ebraico. È nata specialmente per educare le giovani, diventate cristiane o che lo erano già, nella loro formazione. L'atteggiamento delle suore era influenzato dal pensiero della Chiesa all'epoca, che era diverso da quello di oggi nei riguardi del popolo ebraico: si pregava ancora per la conversione degli ebrei e si accettava molti stereotipi di loro. Ma fin dalla fondazione, le suore non hanno mai fatto proselitismo. Questa visione teologica riguardo all'ebraismo è cambiata con il Vaticano II. Noi stesse, nella nostra congregazione, abbiamo fatto una grande trasformazione in questo senso nel nostro lavoro con il popolo ebraico, che è diventato piuttosto un rapporto di stima e di dialogo, secondo l'attuale pensiero della chiesa. La nostra congregazione è sorta per ricordare alla Chiesa l'amore fedele di Dio al popolo ebraico, che continua ancor oggi, e l'irrevocabilità dell'alleanza di Dio con esso. Questo è il nostro carisma nella chiesa, assieme al compito di ricordare ai cristiani le radici della nostra fede nella tradizione, nella preghiera, nella liturgia del popolo ebraico. Quali sono le attività in cui siete impegnate come congregazione? L'attività ha preso diverse espressioni. Abbiamo soprattutto cercato di dare a tutte le suore una formazione solida nella Bibbia e nella tradizione ebraica. Il nostro apostolato ha tre dimensioni caratteristiche: il rapporto con il popolo ebraico, con la chiesa e con il mondo di oggi. In passato abbiamo svolto il nostro apostolato nel campo dell'educazione: un modo di toccare gli atteggiamenti delle persone nei confronti delle altre religioni e soprattutto del popolo ebraico. Oggi abbiamo ancora centri specializzati per i rapporti ebraico-cristiani e l'apostolato biblico. Siamo anche impegnate nel campo di giustizia sociale. Si tratta quindi di un'opera rivolta in primo luogo ai cristiani? Sì, il nostro lavoro è soprattutto per i cristiani, per ricordare loro il valore permanente del popolo ebraico, far apprezzare la fede ebraica e riscoprire così le radici della nostra fede nella tradizione ebraica, come ricorda anche il Nostra Aetate "La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti". Un'affermazione precorritrice, considerando i tempi, no? Sì. Ma, come accennavo, il nostro carisma si è anche sviluppato nel tempo, l'idea di un dialogo con l'ebraismo non era così chiara per il nostro fondatore. Era presente, diciamo, a livello di intuizione. Per esempio, con lo sviluppo della teologia nella chiesa è diventata più chiara l'importanza dell'apprezzamento delle Scritture ebraiche e la tradizione ebraica. Forse ha contribuito a questo anche la riscoperta da parte della nostra chiesa della parola di Dio, di cui il Concilio raccomanda la lettura. In che modo la valorizzazione dell'Antico Testamento ci aiuta ad approfondire la nostra fede? In effetti, il background del Nuovo Testamento, cioè della Bibbia ebraica, è molto importante. Per esempio, possiamo imparare molto dall'interpretazione che gli ebrei stessi fanno delle Scritture, i commentari rabbinici. Un teologo come Bonhoeffer metteva in guardia dal precipitarsi troppo frettolosamente sul Nuovo Testamento, col rischio, secondo lui, di interpretarlo in modo spiritualistico e astratto. In che cosa la spiritualità dell'Antico Testamento, molto più concreta storica, può essere attuale per noi oggi? Dalle Scritture vediamo come l'esperienza di Dio del popolo ebraico è molto concreta. Per esempio quando loro celebrano le grandi feste della fede. Quando, ad esempio, vanno al Tempio, per le feste del pellegrinaggio, non si può mandare qualcuno al proprio posto, ma sei tu stesso che devi andare: è importante fare esperienza della preghiera, perché è il momento di incontro nella comunione con Dio. Ancora un esempio è l'importanza dei simboli nella Bibbia, un altro modo che ci aiuta a incontrare Dio concretamente. Questo è un valore che abbiamo in comune con i nostri fratelli maggiori nella fede. Un altro valore in comune è quello della persona umana e quello della libertà. Per esempio oggi si parla tanto di libertà religiosa: questo è un valore già presente nella Bibbia, molto concretamente, nell'Esodo. Pensiamo poi alla liberazione dalla schiavitù: ad esempio la festa di Pesah (Pasqua ebraica), con quel forte senso della memoria, che non è soltanto ricordare un evento del passato, ma rendere presente e attualizzare questo evento nell'oggi: così per esempio nel seder pasquale, si tratta di rivivere oggi l'esperienza dell'esodo. Il memoriale è un concetto centrale anche nella liturgia cristiana! Credo sia importante ricordare che le Scritture ebraiche non si possono concepire solo come una preparazione al Nuovo Testamento, ma che hanno un valore in sé. Un altro aspetto centrale dell'ebraismo, in comune con noi, è il senso della storia, un valore che solo la teologia più vicina a noi nel tempo ha cominciato a recuperare. In questo senso hanno svolto un ruolo importante nella riscoperta delle radici ebraiche della fede cristiana il movimento liturgico e biblico nella prima metà del secolo. Ma oggi voi svolgete anche un'attività non solo all'interno della cristianità, ma anche di dialogo interreligioso e interculturale, con l'ebraismo in particolare. Questo è un aspetto che abbiamo sviluppato molto a partire dal Concilio, ispirati in particolare dal documento Nostra Aetate par. 4(1965). Qui c'è ancora molto da fare, nonostante i passi compiuti. Credo che dobbiamo ricominciare a ogni generazione. C'è, innanzitutto, un interesse da parte della Chiesa a entrare in dialogo con le altre religioni. Certo la storia non ha favorito questo dialogo. Noi cristiani abbiamo una lunga storia alle nostre spalle nel rapporto con il popolo ebraico, non sempre facile nei diversi periodi, segnato da colpe ed errori, negli insegnamenti e nella prassi. Per fortuna non siamo più a questi livelli, la mentalità come la prassi sono cambiate molto, così come il modo di presentare e di avvicinarsi all'altro, in questo caso gli ebrei. In passato lo si presentava a partire dal nostro punto di vista. Oggi invece si parte da come loro vedono se stessi. E penso che la situazione del dialogo oggi si è sviluppata molto, perché c'è anche la possibilità di collaborare insieme, ad esempio nel campo della giustizia sociale. Abbiamo infatti le stesse radici nei valori della Bibbia e questo favorisce la collaborazione. Un esempio di queste iniziative? L'impegno per i diritti umani, soprattutto per quelli delle minoranze: il diritto dei rifugiati, i diritti delle minoranze nelle scuole, una realtà che ormai c'è in tutto il mondo. La nostra congregazione ha naturalmente sviluppato una sensibilità particolare alla sofferenza del popolo ebraico nella storia, che ci spinge a lavorare oggi anche per gli altri. La sofferenza che il popolo ebraico ha patito sulla propria pelle ha creato questa sensibilità alle altre minoranze. Gesù si rivolge a Dio Padre chiamandolo "Abba": Padre. Che effetto ha questo su un ebreo credente? Anche gli ebrei hanno il senso della paternità di Dio e si rivolgono a lui chiamandolo Padre nella preghiera. Quest'espressione in bocca a Gesù esprime un'intimità particolare con il Padre, che non è in contraddizione con la concezione ebraica: piuttosto ne rappresenta uno sviluppo, in continuità con l'esperienza di Israele. Ma nella persona di Gesù vediamo la radicalità di questo rapporto: lui è il Figlio unico del Padre. In questo senso, è la persona di Gesù che fa la differenza! Che cosa oggi crea più difficoltà nel rapporto tra ebraismo cristianesimo? Un aspetto difficile, ma importante in questo momento, è a livello della teologia. Se già, a volte, non è facile collaborare a livello di iniziative umane di giustizia o altro, ancora di più a livello teologico: e questo chiaramente è legato alla storia. Per forza gli ebrei hanno una certa esitazione, avendo alle spalle l'esperienza dell'apologetica cristiana nel loro confronto. Ma ci sono anche ebrei aperti a questo tipo di dialogo che valorizza ciò che abbiamo in comune. Un altro problema è costituito dal fatto che abbiamo molti documenti ufficiali della Chiesa, ma che la pratica spesso è ancora lontana dall'aver assunto questi nuovi princìpi. Molti cristiani neppure conoscono questi cambiamenti della loro chiesa. Non se ne parla nelle omelie. Così non si conosce la nuova comprensione del rapporto con l'ebraismo. Molti dei principi del Vaticano II in teologia, storia, liturgia, ecclesiologia non sono ancora stati recepiti e tutto questo è legato a una carente formazione ed educazione. Ma penso che oggi, dopo 35 anni, cominciamo a vedere veramente alcuni suoi frutti del Nostra Aetate. Che idea ha del cristianesimo e dei cristiani un ebreo? Naturalmente questo dipende molto dalle singole persone: tanti si sono fatti una certa idea del cristianesimo a partire da quello che leggono nei libri di storia. Oggi diversi studiosi ebrei approfondiscono il carattere ebraico di Gesù, contribuendo così a conoscere meglio il Gesù della storia. La maggioranza degli ebrei, credo, conosce il cristianesimo attraverso il contatto con le persone: magari non hanno il Nuovo Testamento, ma è la testimonianza, positiva o negativa, delle persone che dà loro l'immagine del cristianesimo. Credo che sia importante, anche, far conoscere al popolo ebraico l'insegnamento attuale della Chiesa, che su alcuni punti ha subito revisioni importanti, dopo il Vaticano II. In Israele, ad esempio, sono stati tradotti in ebraico tutti i documenti della Chiesa riguardo al rapporto tra il popolo ebraico e la chiesa. C'è questa sfida anche per loro di conoscere come anche la Chiesa ha cambiato nel suo modo di vedere il popolo ebraico. Ci vuole molto tempo per entrare nel dialogo con noi e creare fiducia: per molto tempo gli ebrei hanno avuto un'esperienza negativa del cristianesimo. Perché tante persone rimangono scandalizzate di fronte all'ammissione delle proprie responsabilità da parte della Chiesa, come è stato fatto ad esempio nel recente documento Memoria e riconciliazione? Senz'altro il Papa è stato coraggioso nell'affrontare questo argomento e di riconoscere gli errori commessi dalla chiesa e di chiedere perdono a Dio. Una testimonianza importante. Questo gesto di riconciliazione non è però finito. Credo che il Papa abbia fatto questo gesto anche a partire dalla sua esperienza in Polonia durante la guerra: è stato vicino agli ebrei, ha sofferto con loro. Ha infatti una sensibilità incredibile verso il mondo ebraico e ha dato una priorità a questo argomento durante il suo pontificato. In questo senso è veramente un personaggio profetico. Ci insegna a riconoscere quello che è stato senza scandalizzarsi. Come influire oggi per creare una mentalità nuova? Come sappiamo, la visita del Papa in Israele, attraverso la sua persona e i suoi gesti, ha colpito gli ebrei e i cristiani e ha mostrato nuove comprensioni del rapporto della chiesa con l'ebraismo e il popolo ebraico. Mentre gesti simbolici sono importanti, il modo più fondamentale per cambiare mentalità è l'educazione in tutte le sue forme. Conta anche avere un'esperienza condivisa, creare relazioni. Questa è la mia esperienza in questi anni di lavoro in Israele: prima di tutto i rapporti interpersonali che si possono instaurare, l'atteggiamento di apertura, la disponibilità ad ascoltare e a ricevere dall'altro. Un tale rapporto può essere una sfida anche per me, per la mia fede cristiana.
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